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Laterizi e manufatti, intesa per rinnovo contrattuale


11 maggio, presso la sede dell’Andil di Roma, si è raggiunta l’intesa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei lavoratori addetti alla produzione di laterizi e manufatti in cemento, scaduto il 31 marzo 2010. Lo riferisce una nota della Filela. Al rinnovo si è giunti dopo un lungo confronto tra le parti, reso ancor più difficile dalla pesante contrazione del mercato che sta interessando il settore. L’intesa, rafforzando il sistema di relazioni sindacali, introduce importanti novità per il settore, a partire dal sistema contrattuale, con il contratto che avrà durata triennale, così come la contrattazione di secondo livello; un ruolo più importante viene dato all’osservatorio paritetico nazionale, mercato del lavoro, formazione professionale, sicurezza, welfare e la Rsi e partecipazione dei lavoratori.

Si rafforza la contrattazione di secondo livello, e viene definita un’indennità di 6 euro mensili per i lavoratori di aziende prive di accordi aziendali. Viene istituita la sanità integrativa, a partire dal 2012, con un contributo a carico delle imprese di 5 euro mensili per ogni lavoratore che vi aderirà.

Sono estesi i termini per il diritto al godimento dei permessi e delle ferie per tutti i lavoratori, inoltre viene incrementato il contributo per la previdenza complementare di un ulteriore 0,10% per i lavoratori al fondo di previdenza integrativa Arco. L’incremento economico delle retribuzioni mensili ottenuto è di 116,00 euro al livello C (parametro 136). Soddisfazione è espressa dalle segreterie di Feneal, Filca e Fillea che hanno condotto il negoziato partito da tre piattaforme e concluso con un’intesa unitaria. Ora verranno convocate le assemblee per un’illustrazione dell’intesa e per raccogliere una valutazione dei lavoratori e lavoratrici sui contenuti della stessa.

CONTRATTO DI LAVORO PART TIME

Con il Decreto Legge del 10 Settembre 2003 n.276, attuativo della nota Legge Biagi, è stata resa la precedente normativa sul lavoro part-time più flessibile e meno formale.

La precedente normativa non viene di fatti né abrogata né sostituita, ma modificata in vari punti con la principale finalità di rendere la stipulazione e la modifica del contratto di lavoro part time più snella con l’intento di facilitare realmente l’utilizzo di questa forma contrattuale da parte delle aziende.

Il contratto di lavoro a tempo parziale (part-time) mantiene le tre tipologie esistenti:

Orizzontale: se la riduzione di orario viene effettuata all'interno dell'orario giornaliero (ad es. 4 ore anziché 8, tutti i giorni).
Verticale: : se la riduzione di orario viene effettuata nell'ambito di periodi concordati (settimana, mese, anno). Ad esempio si concordano 3 giorni pieni a settimana.
Misto: : è una combinazione delle due tipologie sopra descritte. Ad esempio, in alcuni periodi dell'anno si può concordare una riduzione dell'orario di lavoro del 50%, in altri del 20%.
In tema di orario eccedente quello pattuito e in merito alla tipologia di clausole, il part time verticale e quello misto vengono accomunati a differenza del part time orizzontale che conserva un trattamento differenziato.
Di seguito, le modifiche a quanto è necessario conoscere del contratto di lavoro part-time, alla luce dell’ultimo decreto legislativo 276/2003.
Definizione del contratto e modalità

Il contratto di part-time rimane un contratto individuale, stipulato in forma scritta, nel quale deve essere contenuta sia indicazione della durata della prestazione lavorativa che riportato l'orario di lavoro (con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno).
La forma scritta è obbligatoria ai fini probatori dell’esistenza della tipologia di contratto (il datore che non ottempera a questa norma è passibile, su richiesta del lavoratore, di dover dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno), ma viene meno l’obbligo per la direzione del personale di inviarne copia, entro 30 giorni dalla data di stipulazione alla Direzione Provinciale del lavoro. Permane comunque l'obbligo per il datore di lavoro di inviare, entro 30gg, copia del contratto ai Centri dell'impiego per la registrazione dell'avvenuta assunzione.


L'assunzione a part-time può avvenire anche a tempo determinato e può essere espressamente indicato il termine dell’accordo stesso, se ragioni di tipo organizzativo o produttivo lo richiedono.

Con il Decreto del Settembre 2003, non è più obbligatorio stabilire all’interno del singolo contratto il limite massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili al giorno o nell'anno, le causali obiettive e i provvedimenti per il superamento, per le quali è ammesso il ricorso al lavoro supplementare. Per la definizione di questi aspetti si rimanda al contratto collettivo nazionale, se da esso trattati.


Le clausole elastiche e clausole flessibili

Il decreto 276/2003 modifica le precedenti clausole elastiche (ossia la possibilità che un datore di lavoro, modifichi, dandone congruo preavviso, l'orario di lavoro) distinguendo tra

-  clausole flessibili
-  clausole elastiche in senso stretto

Le prime sono relative alla possibilità delle modifiche dell’orario di lavoro del contratto a tempo parziale orizzontale, mentre le seconde si riferiscono al contratto part time verticale o misto.

Tali clausole devono essere formalizzate per iscritto anche contestualmente alla stipula del contratto e se richiesto dal lavoratore, in presenza di un Rappresentante Sindacale Aziendale, da lui scelto.

Per la stipulazione delle suddette clausole è necessario il consenso del lavoratore che può rifiutare il patto elastico senza che ciò costituisca giustificato motivo di licenziamento.

Spetta alla contrattazione collettiva nazionale stabilire in che misura e per quali motivi può essere modificato l’orario di lavoro dal patto elastico e che compenso deve essere corrisposto al lavoratore che si rende disponibile ad accettare tale flessibilità d’orario. Il compenso non necessariamente ha impatto sulla retribuzione, ma può consistere, ad esempio, nella possibilità di recupero delle ore aggiuntive, come riposo compensativo.
Se non è previsto nulla all’interno del c.c.n.l., è lasciata autonomia alle parti che possono anche decidere diversamente da quanto visto.


Con il decreto 276/2003 viene meno anche il diritto di ripensamento, con il quale il lavoratore aveva diritto di recedere, presentando documentazione scritta, dal patto di clausola elastica per le seguenti motivazioni:

 necessità familiari
tutela della propria salute, esibendo il certificato del servizio sanitario pubblico
per lo svolgimento di un'altra attività lavorativa subordinata od autonoma
Una volta dato il consenso alle clausole elastiche, il lavoratore non può dunque recedere dalla disponibilità data.

L'inquadramento dei lavoratori part time

Il trattamento del lavoratore part-time viene differenziato rispetto a quello ricevuto da un lavoratore a tempo pieno, inquadrato nello stesso livello contrattuale.

Non solo la retribuzione, ma anche altri diritti del lavoratore a tempo pieno, vengono proporzionati all’orario di lavoro del lavoratore a tempo parziale.

Il lavoratore a tempo parziale non è più considerato come un’unità “intera”, ma commisurato all’orario di lavoro effettivamente svolto.

Ciò risulta valido quindi per i benefici ottenibili in tema di retribuzione oraria, periodo di prova, ferie, e tutela della salute e sicurezza, accesso ai circuiti di formazione professionale e ai servizi sociali offerti dall'azienda. Lo stesso dicasi per diritti sindacali (es. numero di ore di sciopero a disposizione del lavoratore), maternità, malattia, infortunio e malattia professionale e trattamento previdenziale.

Dal part time al tempo pieno e viceversa: come si trasforma il rapporto.
A fronte dell’accordo scritto tra datore di lavoro e lavoratore, è possibile modificare il rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro part time anche in assenza di un Rappresentante Sindacale Aziendale.

Il rifiuto da parte del lavoratore a trasformare il proprio rapporto da tempo pieno a parziale (e viceversa) non costituisce giusta causa per il licenziamento.

Il datore di lavoro, a differenza dell’obbligo prima esistente, non è tenuto a:

motivare il proprio rifiuto a trasformare il rapporto da tempo pieno a tempo parziale;
convertire obbligatoriamente il contratto di lavoro da part time a tempo pieno, dei lavoratori che ne hanno fatto richiesta, in caso di nuove assunzioni a tempo pieno, a meno che non espressamente previsto nel contratto individuale.
In merito a questo secondo punto, citando testualmente il decreto legislativo “Il contratto individuale a tempo parziale può prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione”.

L'orario supplementare

Oltre l'orario normale di lavoro fissato, è data la possibilità al datore di lavoro di chiedere ore di lavoro eccedenti quelle stabilite. In precedenza tali ore aggiuntive venivano definite, per tutte le tipologie di part time come “orario supplementare”.

Il decreto 276/2003 opera una distinzione definendo “orario supplementare” quello richiesto ai lavoratori con part time orizzontale, ed “orario straordinario” quello richiesto ai lavoratori con contratto a tempo parziale verticale o misto. Per quest’ultimo dunque viene applicata direttamente la disciplina relativa al lavoro straordinario contenuta nei contratti collettivi nazionali.

Per quanto riguarda l’orario supplementare invece, viene data maggiore autonomia alla trattativa individuale laddove non specificato nei c.c.n.l.

In prima istanza è stato abrogato l’obbligo di non superare con la richiesta di lavoro supplementare il 10% dell’orario di lavoro stabilito.
Anche in assenza di tale percentuale, il tempo supplementare richiesto ha, chiaramente, come limite massimo il numero di ore del contratto a tempo pieno (40 ore settimanali).

La contrattazione collettiva nazionale ha la possibilità di stabilire il tetto massimo di ore di lavoro supplementare, le causali per le quali può essere richiesto, unitamente ai provvedimenti per il superamento di tale orario. Capita però spesso che questi vincoli non siano volutamente previsti o specificati per lasciare maggiore autonomia alle parti.

Infatti, qualora tali elementi non siano previsti dal c.c.n.l, viene data autonomia alle parti che può decidere anche la retribuzione per l’orario supplementare prestato.

Il consenso del lavoratore a prestare lavoro supplementare è tuttavia sempre richiesto e necessario e deve risultare da atto scritto. Può essere anche contestuale alla stipula del contratto e su richiesta, può essere reso alla presenza di un Rappresentante Sindacale Aziendale indicato dal lavoratore stesso.

E’ bene sapere che il rifiuto a prestare lavoro supplementare non costituisce giustificato motivo per il licenziamento.

L’orario supplementare è soggetto a dei vincoli ed è retribuito. Con il decreto 276/03 viene tolto il vincolo della maggiorazione del 50% rispetto alla retribuzione ordinaria e, in assenza di precise disposizioni collettive specifiche sulla questione, si lascia nuovamente autonomia alle parti.

Il datore di lavoro può esercitare il proprio diritto di richiedere una modifica dell’orario di lavoro in aumento dandone preavviso, sia in caso di part time orizzontale che verticale/misto con almeno due gg lavorativi di anticipo.

LE FERIE

Le ferie non godute non possono essere monetizzate. E’ quanto detta il decreto legislativo n. 66 dell' 8 aprile 2003, che ha recepito alcune direttive europee in materia di diritto del lavoro. Per quanto rigurda il periodo di ferie dovuto al lavoratore, rientra l’impossibilità per i lavoratori dipendenti di ricevere un indennizzo sostitutivo per le ferie non godute.

Il periodo annuale di ferie retribuite, non si può "convertire" in denaro. La disposizione, tuttavia, non interessa i casi di cessazione dal lavoro per i quali le ferie non sfruttate vengono liquidate nel trattamento di fine rapporto. Inoltre il periodo di ferie di cui può usufruire un lavoratore non può essere inferiore a quattro settimane.

I contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore. Il decreto ha modificato quanto precedentemente disposto dalla legge 159 del 1981, di ratifica della convenzione Oil 146/1976, che aveva previsto che il lavoratore aveva diritto a minimo tre settimane di riposo lavorativo.

Ulteriori modifiche a quanto stabilito dal D.l 66/03 sono state apportate dal decreto legislativo numero 213 del 19 luglio 2004. Delle quattro settimane di riposo, il lavoratore ha diritto a godere almeno di due settimane consecutive nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.

Quello alle ferie retribuite è un diritto riconosciuto dal Codice Civile e dalla Costituzione che, all'art. 36, stabilisce che il lavoratore "ha diritto a ferie annuali retribuite e non può rinunciarvi. Quello che quindi, indiscutibilmente, è un diritto per tutti, non opera però per tutti allo stesso modo. Per alcune particolari categorie di lavoratori o in alcune fasi del rapporto lavorativo ci sono, infatti, delle eccezioni.

I dirigenti sono gli unici lavoratori dipendenti che possono rinunciare volontariamente alle ferie. Lo ha stabilito la Cassazione considerando la grande autonomia di cui dispongono per organizzare il loro lavoro. Dunque, se in questa auto-organizzazione, i dirigenti decidono di non inserire un periodo di riposo, è da intendersi che vi abbiano rinunciato.

Lavoratori a domicilio, ovvero quei lavoratori - a tutti gli effetti subordinati - che svolgono la loro attività a casa o loro o comunque in locali di loro pertinenza, non possono godere delle ferie. Alla loro retribuzione viene comunque sommata un'apposita percentuale, stabilita dai contratti collettivi, a titolo di indennità per le ferie e le festività non godute.

Per i lavoratori domestici che prestano la loro attività per meno di quattro ore continuative al giorno, il Codice Civile provvede la fruizione di un minimo di otto giorni di riposo retribuito. Giorni che salgono a 15, 20 o 25 (a seconda dell'anzianità di servizio o di inquadramento), nel caso di lavoratori che prestano la loro opera per più di 4 ore giornaliere.

I ragazzi di età inferiore a 16 anni, che lavorano come apprendisti, hanno diritto a un periodo più lungo di ferie, pari a 30 giorni. Il legislatore infatti ha particolare cura nel cercare di garantirne il sano sviluppo psico-fisico.

Considerando le lavoratrici in maternità, bisogna distinguere il congedo obbligatorio, che precede il parto, in cui matura il diritto alle ferie, e il periodo successivo, facoltativo, in cui invece questo diritto non matura. Vanno esclusi agli effetti della maturazione delle ferie, anche i congedi parentali, ottenuti dal lavoratore padre o dalla lavoratrice madre per accudire il bambino nei suoi primi anni di vita. Il periodo trascorso in cassa integrazione guadagni, sia ordinaria che straordinaria, non dà diritto alle ferie se è a zero ore. Se invece è a orario ridotto, matura il diritto alle ferie e alla relativa retribuzione.

Il diritto alle ferie retribuite vale, ovviamente, anche per i lavoratori part-time, ma bisogna fare una distinzione tra contratto a tempo parziale "orizzontale" e "verticale". Nella prima ipotesi, la riduzione dell'orario di lavoro, rispetto a quello dei lavoratori full-time, risulta in relazione all'orario giornaliero complessivo (si lavora, ad esempio, 4 ore invece di 8). Nel part-time verticale invece, l'attività lavorativa è svolta per tutto il normale orario di lavoro giornaliero, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell'anno.

Nel caso del part-time orizzontale, il principio di non-discriminazione comporta che la durata delle ferie non sia diversa da quella riconosciuta ai lavoratori a tempo pieno.
Nel caso di part-time verticale il periodo di godimento delle ferie, previsto dalla contrattazione collettiva per i lavoratori full-time, non viene riconosciuto integralmente, ma viene ridotto in proporzione all'attività lavorativa effettivamente svolta.

Il lavoro temporaneo per sua natura è difficilmente compatibile con l'effettivo godimento delle ferie: difficilmente l'impresa assegnerà periodi di ferie a lavoratori dei quali ha esigenza solo per un determinato periodo di tempo. In tema di ferie, quindi, il principio di parità di trattamento tra lavoratori interinali e lavoratori dipendenti, vale solo ai fini del calcolo della retribuzione delle ferie maturate e dell'indennità per le ferie non godute. Diversa la situazione per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato che hanno diritto a godere delle ferie previste in favore dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, in proporzione al periodo lavorativo prestato, salvo che ciò non sia incompatibile con le esigenze aziendali.

Salari, Italia in fondo alla classifica Ocse


La media è di oltre 26mila euro, Corea del Sud e Gran Bretagna ai primi posti. Nel nostro paese siamo a quota 22mila, con la crisi c'è stato un calo dell’1,1%. Tasso di disoccupazione all’8,6% nel primo trimestre, oltre un punto in più rispetto al 2009


L’Italia è agli ultimi posti nella classifica dei salari tra i paesi dell'area Ocse. Per l’esattezza, sulle 30 maggiori economie mondiali siamo al 23mo posto. È quanto emerge dal rapporto “Taxing Wages” pubblicato oggi (11 maggio) dall’organizzazione internazionale con sede a Parigi. Nel dossier si prende in considerazione il salario netto medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia, calcolato in dollari e a parità di potere d’acquisto. Stesso posto della classifica, 23mo, occupa il salario netto medio di un lavoratore italiano quando è unico percettore di reddito, con coniuge e due figli a carico.

La classifica vede al primo posto (oltre 40mila euro) i lavoratori della Corea del Sud. Seguono Gran Bretagna, Lussemburgo, Svizzera, Norvegia, Paesi Bassi e Giappone. L’Italia, con un salario medio di 22.027 euro, precede solo a Portogallo, Repubblica Ceca, Turchia, Polonia, Repubblica Slovacca, Ungheria e Messico. La media dei salari Ocse è di 26.395 euro, mentre quella della Ue a 15 è di 28.454 euro.

L’Ocse ha diffuso anche altri dati. Nel primo trimestre 2010 il tasso di disoccupazione in Italia è salito all’8,6%, con un aumento dell’1,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Sempre nel 2009, l'anno della crisi economica internazionale, i redditi reali, prima di tasse e contributi, sono diminuiti in dieci paesi su trenta. Tra questi anche l’Italia, dove il calo è stato dell’1,1%. Il calo maggiore dei salari reali, prima cioè della tassazione, si è verificato in Islanda (-7,5%), mentre gli aumenti maggiori sono stati registrati in Grecia (+3,8%).

Stando al rapporto, il carico di tasse e contributi sui salari italiani è meno pesante se il lavoratore ha famiglia: il cuneo fiscale per un lavoratore, unico percettore di reddito, con a carico coniuge e due figli, e’ del 35,7%. In questo caso l’Italia si colloca al nono posto su 30. I paesi in cui la fiscalità è più generosa con le famiglie risultano Nuova Zelanda, Islanda e Lussemburgo. Dal 2008 al 2009 “la preferenza fiscale per le famiglie è cresciuta in quindici paesi Ocse” tra i quali figura l’Italia.

Salari: Ocse, Italia 23esima su 30 Paesi

'Italia è agli ultimi posti tra i Paesi Ocse nella classifica della consistenza dei salari netti dei suoi lavoratori. Precisamente il nostro Paese è al 23/o posto su 30. E' quanto emerge dalla tabella del Rapporto 'Taxing Wages' dell'Ocse, che considera il salario netto medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia, calcolato in dollari e a parità di potere d'acquisto. Stesso posto della classifica, 23/o occupa il salario netto medio di un lavoratore italiano, unico percettore di reddito, con coniuge e due figli a carico.

La classifica stilata dall'Ocse vede al primo posto (oltre 40mila euro) i lavoratori della Corea del Sud. Seguono quelli di Gran Bretagna, Lussemburgo, Svizzera, Norvegia, Paesi Bassi, Giappone (33.395). L'Italia come detto è 23esima con un salario medio di 22.027 euro, migliore soltanto di quelli di Portogallo, Repubblica Ceca, Turchia, Polonia, Rep. Slovacca, Ungheria e Messico. La media dei salari Ocse è di 26.395 euro, mentre quella dell'Ue a 15 è di 28.454 euro.

Lavoro minorile, 215 milioni di bambini sfruttati - Rassegna.it - Sito di informazione su lavoro, politica ed economia sociale


Tra il 2004 e il 2008 il numero globale dei bambini lavoratori è sceso da 222 milioni a 215 milioni, circa il 3 per cento, un calo molto lieve che indica un rallentamento del ritmo di riduzione globale. E con la crisi economica che potrà frenare ulteriormente i progressi raggiunti, si allontana l'obiettivo di eliminare le forme peggiori forme di lavoro minorile entro il 2016. E' quanto emerge dal nuovo rapporto globale che l'Ilo, l'agenzia dell'Onu che si occupa di lavoro, dedica ogni quattro anni a questo argomento. “I progressi sono irregolari, non abbastanza rapidi, né sufficientemente ampi per raggiungere gli obiettivi prefissati”, ha dichiarato il direttore generale dell’Ilo, Juan Somavia, che chiede nuovi sforzi su più ampia scala. La recessione economica non può essere una scusa per ridurre le ambizioni. "Al contrario, è un’occasione per attuare misure politiche che siano efficaci per le persone, per la ripresa e per uno sviluppo sostenibile”. Il nuovo rapporto, “Accelerare l’azione contro il lavoro minorile”, arriva alla vigilia della conferenza globale sul lavoro minorile che si terrà a L’Aia il 10 e l'11 maggio, nel corso della quale sarà presentata la tabella di marcia per l’eliminazione del lavoro minorile entro il 2016.

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Donne inattive, la famiglia è il primo motivo - Rassegna.it - Sito di informazione su lavoro, politica ed economia sociale


Perchè non lavori?". Questo il titolo dell'indagine presentata oggi (7 maggio) dall'Isfol, sulla partecipazione femminile al mercato del lavoro. Lo studio, a cura di Roberta Pistagni, ricercatrice dell’area analisi e valutazione delle politiche per l’occupazione, è stato iniziato nel 2007 su proposta del ministero del Lavoro, con l’obiettivo di analizzare gli elementi determinanti il fenomeno dell’inattività femminile in Italia con un approccio multi disciplinare. La ricerca è stata condotta su un campione di 6mila donne tra i 25 e i 45 anni d'età.

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ANCORA SUL GIUSTIFICATO MOTIVO DEL LICENZIAMENTO( il cd. repechage, l’onere della prova ex art. 5 l. 604/1966 )

A) È noto agli operatori giudiziari che, a supporto di un giustificato motivo oggettivo, le unanimi giurisprudenza e dottrina impongano all’impresa recedente l’onere della prova liberatoria dell’impossibilità di un’utile (e perciò senza sacrificio apprezzabile) reimpiegabilità del lavoratore nel comparto aziendale in mansioni diverse da quelle precedentemente rivestite, in tal modo conferendo all’atto espulsivo la natura di extrema ratio.

Cfr., sul punto, Cass., sez. lav., 11 agosto 1998, n. 7904:

«La legittimità del licenziamento presuppone la dimostrazione, da parte del datore di lavoro,. . . delle. . . ragioni ostative ad un impiego del medesimo (il lavoratore, n.d.r.) con mansioni almeno equivalenti in luoghi diversi» (conff., ex multis, Cass., sez. lav., 20 novembre 2001, n. 14592, idd., 4 settembre 1997, n. 8505, inDir. lav., 1998, II, 178, 19 luglio 1993, n. 6814, inMass. giur. lav., 1993; tra la in Giur. merito, Trib. Roma, sez. lav., 12 febbraio 2003, id., 19 luglio 2002, Trib. Milano, sez. lav., 27 dicembre 2001, id., 31 ottobre 2000, 30 ottobre 2000. In dottrina, per tutti, Ichino, Sulla nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, 474).

E’ parimenti noto che, ad avviso dei citati indirizzi, pienamente condivisi dal Tribunale, la menzionata prova dell’impossibilità di repêchage del dipendente, concernendo un fatto negativo, possa essere assolta mediante l’allegazione dei corrispondenti fatti positivi contrari (Cass., sez. lav., 16 maggio 2003 n. 7717, idd. 13 novembre 2001 n. 14093, 25 agosto 2000 n. 12221, 29 marzo 1999, n. 3030, nonché le risalenti Cass., 11 agosto 1998 n. 7904, 28 aprile 1981, n. 2586 e 15 giugno 1982, n. 3644; tra la giurisprudenza di merito, Trib. Roma, 12 febbraio 2003, cit., Trib. di Milano, sez. lav., 23 giugno 1999, id., 31 ottobre 2000, 22 novembre 2001).

B) Quanto all’onere probatorio ex art. 5 l. 604/1966, valga la pena di trascrivere la norma:

«L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro».

In premessa, è noto che secondo il diritto vivente l’art. 5 della l. 604/1966 costituisca applicazione della regola generale dell’art. 2697 c.c. e non contempli un’ipotesi d’inversione (cfr., ex plur., Cass., sez. lav., 27 giugno 1994, n. 6172, Pret. Milano 22 settembre 1984; in dottrina, per tutti, Grandi – Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro, comm. all’art. 5 l. 604/1966, Padova, 2001, 965, Centofanti, La Cassazione e i licenziamenti disciplinari, in Giur. it., 1977, I, 1).

Ancora, è del pari noto che, in difetto di prova del fatto che si pretende d’introitare nel processo, esso dovrà considerarsi come giammai accaduto se essa non viene fornita, del che è riprova la piena inerenza della prova al merito della res controversa.

Da ultimo, la giurisprudenza è assolutamente unanime nell’assicurare al giudicante la possibilità di dare preferenza, nella formazione del proprio convincimento, a quelle prove che ritenga più idonee allo scopo, conferendo massima espansione al principio ex art. 116, comma 1, c.p.c..

Cfr., in tema, Cass., sez. lav., 17 luglio 2001 n. 9662:

«La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull'attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un'esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. Consegue che il controllo di legittimità da parte della Corte di cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova».

Dello stesso tenore, Cass., sez. lav., 10 maggio 2002 n. 6765:

«Il giudice del merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, a quelli utilizzati» (conff., ex plurimis, Cass. civ., sez. lav., 7 aprile 2003, n. 5434, Cass. 10 novembre 2003 n. 16831, id., 26 ottobre 1993 n. 10620).

C)Sulla sindacabilità giudiziale dei motivi di recesso, è noto che l’unanime giurisprudenza, pur concorde nell’affermare che il magistrato non possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa – pena la violazione dell’art. 41 Cost. –, ritiene censurabile il licenziamento difforme dai canoni di buona organizzazione aziendale e razionalità tecnica, con il risultato che, nel quadro di una gestione ottimale dell’impresa, l’atto espulsivo assume sempre il carattere di extrema ratio (Cass., sez. lav., 20 novembre 2001, n. 14604; conf, id., 30 gennaio 1998 n. 398; conformi, sulla natura di estrema ratio del licenziamento idd., 3 giugno 1994 n. 5401, 28 novembre 1992 n. 12746, 28 febbraio 1992 n. 2461, 23 novembre 1990 n. 11312, 30 ottobre 1990 n. 10461).

Ancora, Cass., sez. lav., 30 gennaio 1998, n. 938, è stata rigorosa nel richiedere al giudice di merito un esame globale e non solo limitato al periodo coevo al licenziamento:

«Il giudice, nell'indagine sulla sussistenza di un giustificato motivo dilicenziamento,non puòrivolgerelasuaattenzione,con formalisticavalutazione,allasola situazione aziendale alla data dellicenziamento,mal'accertamento di merito deve riguardare, in particolareneicasi caratterizzati da aspetti di non trasparenza o didubbia interpretazione, un intero arco temporale, in modo che sia svelataogni possibilepredeterminazionedi circostanze di fatto finalizzate ad una scelta soggettivamente orientata del lavoratore da licenziare.(Nellaspecieildatoredi lavoro, in presenza di un unicopostodicuoco,avevapromosso alla relativa qualifica, un secondolavoratore-impegnatonellerelativemansioni solo per sostituzionitemporanee-epoiavevalicenziatolapersona ordinariamenteaddettaataleposto-peraltrorappresentante sindacale-assumendoaltrilavoratori di inferiore qualifica per completare l'organico)».

Adesivamente, la dottrina, ha sancito l’illegittimità del licenziamento fondato su esigenze contingenti, pretestuose od occasionali:

«. . . deve anzitutto escludersi con sicurezza che il giustificato motivo oggettivo possa essere costituito da una perdita attesa di entità qualsiasi: se infatti per giustificare il licenziamento fosse sufficiente anche una perdita attesa minima, la norma ne risulterebbe svuotata di ogni effetto limitativo della facoltà di recesso del datore (Ichino, Sulla nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, in Riv. it. dir. lav., 2002, I, 474).



D) Per chiudere il tema, sia il caso di dar conto della dottrina e giurisprudenza in tema di comunicazione dei motivi del recesso, da comunicarsi dal datore a richiesta del lavoratore ex art. 2, comma 2, l. 604/1966, che si vogliono caratterizzati da specificità e completezza.

Cfr., Cass. civ. sez. lav., 23 dicembre 1996, n. 11497:

« . . . la motivazione del licenziamento deve essere, perché risponda al fine cui è destinata e il datore di lavoro ottemperi realmente all’obbligo posto a suo carico dal 2° comma del citato art. 2 (l. 604/66), sufficientemente specifica e completa, e tale cioè da consentire al lavoratore di individuare con chiarezza e precisione la causa del provvedimento espulsivo, sì da poter esercitare un’adeguata difesa, svolgendo ed offrendo idonee osservazioni o giustificazioni. In tale situazione di fatto . . . le conseguenze giuridiche dell’inefficacia del licenziamento dovuta comunque ad assoluta genericità dei motivi, equivalente a mancata contestazione degli stessi, devono rinvenirsi . . . nelle conseguenze previste dall’art. 8 l. n. 604 del 1966, come innovato dall’art. 2 l. n. 108 del 1990, per il caso di licenziamento intimato senza che ricorrano gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo: conseguenze consistenti nell’obbligo di riassunzione o, in alternativa, di risarcimento del danno mediante pagamento di una indennità di importo compreso tra un minimo di due mensilità e mezzo ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, importo da specificarsi secondo parametri stabiliti nella stessa norma e con possibilità di elevazione del massimo in presenza di condizioni pure legalmente prefissate».

In termini, Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 1998, n. 6091:

«Lamotivazionedellicenziamento-nel caso in cui il lavoratore licenziato chieda al datore di lavoro la comunicazione dei motivi del recesso-deveessere sufficientemente specifica e completa, ossia taledaconsentireallavoratorediindividuare con chiarezza e precisionelacausadelsuolicenziamento sì da poter esercitare un'adeguatadifesasvolgendoedoffrendoidoneeosservazionio giustificazioni» (conf.,id., 20 aprile 1985, n. 2364; in dottrina Mazziotti, Forma e procedure dei licenziamenti, in La disciplina dei licenziamenti, a cura di Carinci, 77).

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO

NOZIONE GENERALE

Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell’impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa; ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, né essendo necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite;
Presupposti della legittimità del licenziamento sono l'effettività delle ragioni organizzative e/o produttive poste a fondamento del recesso, che devono trovare fondamento in situazioni oggettive , e la sussistenza di un nesso causale tra tali ragioni e la soppressione del posto di lavoro, mentre la motivazione della scelta imprenditoriale di procedere alla riorganizzazione non è sindacabile dal giudice, rientrando nella libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. e può anche essere costituita da finalità di innovazione, risparmio dei costi o incremento dei profitti;
Per giustificato motivo oggettivo deve intendersi quel motivo derivante da una riorganizzazione o ristrutturazione che ha condotto alla soppressione di attività o posizioni e non la mera crisi aziendale o la redistribuzione delle attività su altri addetti; inoltre, qualora le posizioni rimaste siano fungibili rispetto a tutti i dipendenti, l'impresa ha l'obbligo di agire, nell'individuazione dei lavoratori da licenziare, nel rispetto dei principi di correttezza e di buona fede e nel rispetto di criteri oggettivi predeterminati da modellare su quelli previsti per i licenziamenti collettivi, così da escludere che il licenziamento delle persone selezionate possa essere il risultato di una scelta a contenuto discriminatorio;
Ai fini della sussistenza del giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ferma restando la prova dell'effettività e della non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, le ragioni inerenti all'attività produttiva possono sorgere, oltre che da esigenze di mercato, anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali che ne siano le finalità, quindi anche quelle dirette a un risparmio dei costi o all'incremento dei profitti, quale che ne sia l'entità.

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

NOZIONE GENERALE

La giusta causa di licenziamento si configura in relazione a una mancanza del dipendente che, valutata nel suo contenuto oggettivo oltre che nella sua portata soggettiva, in relazione alle circostanze in cui è posta in essere nonché all’intensità dell’elemento intenzionale, risulta gravemente lesiva della fiducia che il datore di lavoro deve riporre nel proprio dipendente rendendo il rapporto improseguibile anche solo provvisoriamente;
Il licenziamento per giusta causa costituisce la più grave delle sanzioni applicabili al lavoratore e può considerarsi legittimo solo quando la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro.

La giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi di rapporto di lavoro ed in particolare dell'elemento della fiducia che deve sussistere tra le parti. Tale valutazione va effettuata non con riferimento al fatto astrattamente considerato bensì agli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente nonché alla portata soggettiva del fatto stesso, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi ed alla intensità dell'elemento intenzionale e di quello colposo.

In ipotesi di licenziamento per giusta causa (comminato a dipendente di impresa operante nel settore della grande distribuzione per avere consumato in due mattinate successive alcuni pasticcini), la complessiva valutazione della gravità dell’infrazione, ai fini della proporzionalità della sanzione, è da condurre sulla base dei seguenti criteri: esistenza o meno di precedenti disciplinari, posizione del dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, modalità della commissione del fatto, entità del danno provocato all’impresa; ove, in applicazione di tali criteri, risultino l’inesistenza di precedenti disciplinari durante il lungo periodo di servizio prestato, lo svolgimento di mansioni non implicanti particolari responsabilità e delicatezza, modalità di commissione del fatto implicanti indici minimali di intensità dolosa, nonché la particolare tenuità del danno provocato, il licenziamento deve considerarsi illegittimo, trattandosi di infrazione inidonea a minare irreparabilmente l’elemento fiduciario, sia sotto il profilo della giusta causa, sia sotto quello del giustificato motivo soggettivo;
Ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento non è necessario che la condotta del prestatore di lavoro comporti un danno effettivo per il datore di lavoro, avendo rilevanza anche il solo danno potenziale;
Qualora il licenziamento per giusta causa venga illegittimamente comminato sulla base di un addebito particolarmente offensivo della professionalità del dipendente, della sua dignità e decoro nell'ambiente sociale, lo stesso ha diritto ad uno specifico risarcimento da determinarsi in via equitativa (nella specie è stato ritenuto congruo un risarcimento pari a metà dell'indennità supplementare liquidata al dirigente).

IL LICENZIAMENTO

NOZIONI GENERALI

La forma del licenziamento

A norma dell’art. 2 della legge n. 604/1966, il licenziamento deve essere intimato per iscritto e la forma scritta del licenziamento è richiesta ad substantiam, per cui è stata considerata irrilevante la circostanza che il lavoratore destinatario del provvedimento abbia avuto conoscenza del provvedimento estintivo con mezzi diversi.
La comunicazione dei motivi

L'obbligo del datore di lavoro, sancito dall'art. 2, 2° comma, L. 15/7/66 n. 604, di comunicare al lavoratore i motivi del licenziamento, se richiesti, sussiste solo nel caso di recesso da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato ;
I motivi del licenziamento devono contenere le necessarie precisazioni per consentire al lavoratore di esercitare il suo diritto di difesa, che non si risolve nella sola difesa giudiziaria, ma anche nel diritto di impugnare consapevolmente il licenziamento nei termini previsti dalla legge.

La revoca del licenziamento

La revoca del licenziamento del lavoratore subordinato non richiede la forma scritta; parimenti, e per lo stesso motivo, è libera la forma dell’accettazione della revoca del licenziamento, che comporta la rinunzia del lavoratore a far valere i diritti scaturenti dal licenziamento;
La revoca di un licenziamento comporta l’inapplicabilità delle conseguenze di cui all’art. 18 SL solo ove vi sia stata immediata e piena restitutio in integrum dei diritti derivanti al lavoratore dal rapporto di lavoro o comunque l’offerta, da parte del datore di lavoro di un risarcimento pieno, tale da eliminare tutti gli effetti pregiudizievoli del licenziamento.

IL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO ( The relationship of employment )

Nel nostro ordinamento il rapporto di lavoro subordinato viene trattato separatamente dagli altri contratti perché in esso non è tanto rilevante la fase della formazione della volontà contrattuale quanto lo svolgimento del rapporto stesso. Vi è inoltre la necessità pubblicistica di tutelare il lavoratore, quale contraente più debole.
La principale caratteristica del rapporto di lavoro subordinato è infatti la subordinazione del lavoratore al datore di lavoro, che non implica solo inferiorità economica e sociale dello stesso ma anche la sua estraneità all’organizzazione produttiva in cui è inserito, nonché la soggezione al potere direttivo del datore di lavoro.
Dal punto di vista formale, il rapporto di lavoro è un rapporto di scambio, oneroso, a prestazioni corrispettive. Da una parte c’è l’obbligazione del lavoratore di eseguire la prestazione per il quale è stato assunto, dall’altra c’è quella del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione, in proporzione alla qualità e la quantità del lavoro prestato. E’ inammissibile nel nostro ordinamento un contratto di lavoro a titolo gratuito.
Attorno a queste due obbligazioni fondamentali, si dispongono a carico di entrambe le parti una serie di obbligazioni accessorie, strumentali o integrative, quali, per il lavoratore, l’obbligo di non trattare affari in concorrenza con l’imprenditore (c.d. obbligo di fedeltà), gli obblighi di collaborazione, diligenza ed obbedienza, d’altra parte, per il datore di lavoro, l’obbligo di garantire condizioni di lavoro sicure ed i poteri disciplinare, gerarchico e di controllo.
L’obbligazione di lavoro al momento della stipula del contratto è determinata solo in maniera generica; sarà poi il datore di lavoro a riempirla di contenuto (mansioni), attraverso l’esercizio del proprio potere direttivo. Il luogo della prestazione di lavoro viene stabilito dall’imprenditore nell’esercizio del potere direttivo, mentre per quello che riguarda l’orario vi sono una serie di limitazioni stabilite dalla legge a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.
Il potere direttivo del datore di lavoro è tuttavia soggetto ad una serie di limiti legali, in quanto non è attribuito al datore di lavoro solo per il soddisfacimento dei propri interessi ma soprattutto nell’interesse dell’impresa. I lavoratori hanno quindi un interesse legittimo che venga esercitato con imparzialità e senza abusi, da qui la necessità per il datore di lavoro di motivare i provvedimenti presi, ogni volta che venga fatto un trattamento differenziato tra i lavoratori.
Accanto al potere direttivo, il datore di lavoro ha in via strumentale anche il potere di vigilanza sui lavoratori. Tale potere tuttavia deve essere esercitato nel rispetto della riservatezza, libertà e dignità del lavoratore. Sono vietati quindi i controlli a distanza mediante impianti audiovisivi, le indagini sulle opinioni politiche, sindacali o religiose, mentre gli accertamenti sulle infermità fisiche possono essere espletati solo tramite strutture pubbliche.
Qualora il lavoratore non osservi le disposizioni impartite, il datore di lavoro può fare uso del potere disciplinare e comminare sanzioni proporzionali alla gravità dell’infrazione. A tutela del lavoratore è però previsto il principio della predeterminazione delle infrazioni e delle sanzioni corrispondenti in modo che il lavoratore possa fondare la propria responsabilità su una ragionevole prevedibilità della sanzione e anche che il datore di lavoro non abbia troppa discrezionalità nell’applicazione delle stesse. La normativa disciplinare deve essere pubblica e conoscibile a tutti i lavoratori e contro le sanzioni illegittime è possibile fare ricorso.
Oltre al principale obbligo di retribuzione, si è detto che il datore ha il dovere di garantire le condizioni di sicurezza del lavoratore, pertanto il lavoratore ha un vero e proprio diritto soggettivo a condizioni di lavoro sicure. Le condizioni di sicurezza non sono dalla legge stabilite a priori, bensì il datore di lavoro è tenuto ad attuare tutte le precauzioni rese di volta in volta possibili dal progresso tecnico. Si tratta di un obbligo preventivo e si considera violato ogni volta che le misure non vengono approntate, anche se in concreto non sia capitato nessun danno al lavoratore.
Venendo ad analizzare le possibili modifiche apportabili al rapporto di lavoro vediamo che dal lato del lavoratore il contratto di lavoro non è cedibile ne per atto tra vivi , né per successione. Questo perché la persona del prestatore di lavoro non è fungibile. Dal lato del datore di lavoro è invece possibile la cessione, perché l’obbligazione retributiva è invece perfettamente fungibile. Il codice civile disciplina infatti espressamente la sorte dei contratti di lavoro in caso di trasferimento d’Azienda.
Per quello che riguarda invece le modificazioni dell’oggetto del contratto vediamo che le mansioni del lavoratore non possono essere modificate unilateralmente dal datore di lavoro e comunque, anche con l’accettazione del lavoratore non possono mai essere modificate in senso peggiorativo. Il trasferimento del lavoratore può essere invece disposto unilateralmente dal datore di lavoro ma solo per comprovate esigenze organizzative.
Il rapporto di lavoro è suscettibile di periodi di sospensione (dovuti ad esempio a malattia, gravidanza, puerperio, scioperi,ecc.). In tutti questi casi viene meno l’obbligo della prestazione lavorativa ma non necessariamente quello della retribuzione e tutte le obbligazioni accessorie. Le sospensioni per potersi considerare tali devono però essere espressamente previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, altrimenti costituiscono inadempimento degli obblighi contrattuali.
Il rapporto di lavoro si estingue per scadenza del termine in caso di contratto a tempo determinato, mentre nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato si può estinguere per morte del lavoratore, licenziamento o dimissioni dello stesso. Mentre le dimissioni non sono sottoposte ad alcun obbligo formale tranne quello del preavviso, il licenziamento può avvenire solo per giusta causa (ragioni attinenti a gravi mancanze del lavoratore ) o giustificato motivo (ragioni attinenti all’organizzazione aziendale). In entrambi i casi va motivato per iscritto ed è impugnabile dal lavoratore davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
In ogni caso di risoluzione, al lavoratore spetta il trattamento di fine rapporto, che è costituito da una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto stesso. Oltre ad avere natura retributiva, il trattamento di fine rapporto ha anche natura previdenziale in quanto serve a far fronte ai bisogni immediati che possono presentarsi al lavoratore nel momento in cui si trovi senza lavoro. Questo diritto matura solo alla cessazione del rapporto, perché solo in quel momento diventa certo il suo ammontare. Le anticipazioni in corso di rapporto sono circoscritte ad esigenze eccezionali.
Le regole fin qui enunciate valevano fino a pochi anni fa solo per il rapporto di lavoro tra privati. In seguito al decreto legislativo n. 29 del 1993 invece anche il rapporto di pubblico impiego è stato assoggettato alla disciplina privatistica. Si è parlato di privatizzazione del pubblico impiego, è però più corretto parlare di contrattualizzazione dello stesso. Il rapporto alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni resta infatti pubblico, ma ora trae la sua fonte da un contratto e non più da un atto unilaterale di nomina ed è regolato contrattualmente. Gli atti di gestione del rapporto non sono pertanto più da considerare atti amministrativi ma sono “degradati” ad atti autoritativi privati e le eventuali controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

LA TUTELA DELLA MATERNITA

La normativa sulla maternità mira da un lato a tutelare la salute della donna e del bambino e dall'altro a garantire alla donna e più in genere ai genitori, una tutela economica per i periodi di assenza dal lavoro.

La normativa sulla maternità mira da un lato a tutelare la salute della donna e del bambino e dall'altro a garantire alla donna e più in genere ai genitori, una tutela economica per i periodi di assenza dal lavoro. La normativa prevede un congedo obbligatorio ed uno facoltativo.
Il congedo si applica a tutte le lavoratrici comprese quelle a domicilio, nonché alle lavoratrici autonome.
La lavoratrice ha l'onere di produrre la certificazione medica attestante lo stato di gravidanza.
L'indennità economica durante il periodo di astensione obbligatoria che è complessivamente pari a mesi cinque (due mesi prima del parto e tre mesi successivi al parto) è subordinato all'intervenuto regolare versamento contributivo.

La misura è pari all'80% della retribuzione convenzionale.
Sono previste sanzioni penali per il datore di lavoro che adibisce la lavoratrice ad attività lavorative durante tale periodo.

Durante il periodo di astensione facoltativa (congedo parentale) il trattamento retributivo e pari al 30% della retribuzione convenzionale ed è subordinato all'effettiva astensione dall'attività lavorativa.
Questo tipo di congedo non può eccedere il limite massimo di mesi dieci durante i primi otto anni del bambino.

Essendo il congedo parentale rimesso alla discrezione della lavoratrice è necessaria la richiesta scritta. La richiesta va formulata prima che il bambino compia gli otto anni di vita nel rispetto del termine di preavviso come previsto dai contratti collettivi e comunque il preavviso non può essere inferiore a giorni 15.

Anche in caso in cui vi sia adozione o affido la lavoratrice avrà diritto all'astensione obbligatoria per tre messi successivi all'ingresso del minore in famiglia a condizione che il minore non abbia superato i sei anni.

Se la madre rinuncia a tale diritto lo stesso potrà essere esercitato dal padre.
Sia la madre che il padre dell'adottato o affidato godono del congedo parentale negli stessi termini già esaminati.

La lavoratrice in stato di gravidanza viene anche tutela a mezzo il divieto di svolgere lavori particolarmente faticosi, pericolosi ed insalubri dall'inizio della gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto.
br />Diverse sono le norme che regolano tali divieti, tra le più importati ricordiamo il D.P.R. 432/76, il D.P.R. 303/56; il D.P.R. 1124/65 ed il D.P.R. 185/64.
Se la lavoratrice svolgeva in precedenza una delle mansioni vietate, il datore di lavoro ha l'obbligo di mutare la mansione della lavoratrice. Se tanto non è possibile la lavoratrice avrà diritto ad astenersi dal lavoro.

E' vietato adibire la donna in stato di gravidanza e sino al compimento di un anno del bambino al lavoro notturno (h. 24/06).
Inoltre le lavoratrici in stato di gravidanza, previa domanda, hanno diritto ad ottenere permessi retribuiti per esami prenatali ed accertamenti clinici di varia natura.
Durante il primo anno di età del bambino la lavoratrice ha diritto a due ore giornaliere di riposo (una se l'orario di lavoro è inferiore a sei ore) per allattamento.

Anche in questo caso, se la lavoratrice non ne usufruisce, il diritto potrà essere esercitato dal padre.
In caso di parto plurimo, le ore sono raddoppiate. Fino all'età di tre anni del bambino, senza limiti di tempo, entrambi i genitori potranno assentarsi dal lavoro, in caso di malattia del bambino debitamente certificata da medico specialista del SSN.
Tra i tre e gli otto anni di età del bambino l'astensione è possibile solo nel limite di cinque giorni lavorativi all'anno .
Tali assenze non sono retribuite e servono ai fini dell'anzianità di servizio.

Sono stati introdotti benefici normativi ed economici per i genitori, ed in via alternativa tra loro, nel caso in cui il minore sia affetto da grave handicap.
Gli stessi si sostanziano:

nel prolungamento dell'astensione facoltativa con diritto all'indennità economica giornaliera nella misura del 30% sino al compimento del terzo anno di età del bambino;
nel diritto ad ottenere tre giorni di permesso mensile retribuito, coperti da contribuzione figurativa.

La concessione del beneficio avviene previa domanda all'INPS (mod. HAND1/genitori) allegando la documentazione sanitaria attestante la grave infermità.
E' fatto assoluto divieto di licenziare la lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza e sino al compimento di un anno di vita del bambino.
Il licenziamento che intervenga durante tale periodo è nullo.
Tale divieto non opera se il licenziamento interviene per:

colpa grave della lavoratrice;

cessazione dell'attività d'azienda;
per scadenza del termine se il rapporto non era a tempo indeterminato;

per esito negativo della prova.
Se a dimettersi è la lavoratrice durante il periodo in esame sarà necessario che le stesse siano convalidate dal servizio ispettivo della direzione provinciale del lavoro.

IL MOBBING

La parola mobbing è entrata nell’uso comune grazie al premio Nobel Konrad Lorenz (1903-1989) l’etologo che la coniò nei primi anni ’70 per descrivere il comportamento di alcune specie di animali che assalgono, circondandolo, un proprio simile costringendolo ad abbandonare il gruppo. Ma è solo dopo il lavoro di ricerca dello psicologo svedese Heinz Leymann, sulla fine degli anni ’80, che il termine mobbing assume l’accezione attuale e cioè “una comunicazione ostile, non etica, diretta in maniera sistematica da parte di uno o più individui generalmente contro un singolo”.
Scopo principale del mobbing è l’allontanamento dal posto di lavoro della vittima, cercando di costringerla a dare le dimissioni ed evitando così il ricorso al licenziamento. Per definire una situazione di mobbing aziendale occorre quindi essere in presenza di una serie di atti vessatorî e prolungati nel tempo (almeno sei mesi) che producono nella vittima conseguenze negative di carattere psicologico (depressione, perdita di fiducia in se stessi, problemi di relazioni, in casi limite addirittura il suicidio) e anche fisiche (malattie psicosomatiche, ulcere, indebolimento delle difese immunitarie, ecc.). Quindi il mobbing, per essere riconosciuto come tale, deve ricondursi a una violenza psicologica (talvolta si arriva persino alla violenza fisica) che ha il carattere di sistematicità e intenzionalità.
Si parla di mobbing verticale quando i comportamenti vessatorî provengono dai superiori della vittima, mentre si ha mobbing orizzontale quando le vessazioni sono originate dai colleghi.
Nel caso il mobbing sia una vera e propria strategia aziendale (ad es., per allontanare personale in esubero a seguito di una fusione tra società) si parla di bossing.

Per attuare in concreto il mobbing vengono impiegati diversi comportamenti che fanno leva sull’autostima della vittima che viene minata fino a giungere all’ansia, alla depressione e alla sensazione di isolamento, di essere sola di fronte alle ingiustizie subite. Tra le tecniche più diffuse si possono citare: la sottrazione sistematica di mansioni di responsabilità (dequalifica del lavoro fino a livelli considerati umilianti), l’esclusione dai processi aziendali (decisionali, operativi), l’aumento di richiami e rimproveri anche per le questioni più banali, il rifiuto sistematico di richieste varie (permessi, ferie, materiale per lavorare meglio, ecc.). Il tutto per acuire nel vessato la sensazione di ostilità e isolamento, per indurlo a presentare le dimissioni.
Le motivazioni che spingono a esercitare il mobbing sono tra le più disparate: si va dall’antipatia nei confronti del vessato a comportamenti legati a mancanza di rispetto nei confronti di appartenenti a minoranze (stranieri, soggetti diversamente abili, ecc.), a ritorsioni vere e proprie per dipendenti che hanno manifestato dissenso, che hanno scoperto e denunciato magagne e inefficienze dell’azienda o che si sono rifiutati di piegarsi a richieste ingiuste, immorali (come, per es., nel caso di avances sessuali) o addirittura illecite.

Difendersi dal mobbing non è semplice per la stessa natura subdola del fenomeno e perché l’onere della prova ricade sulla vittima del mobbing. Se i comportamenti di colui che mette in atto il mobbing non sono riconducibili a fattispecie previste dal codice (lesioni volontarie, minacce, abuso d’ufficio, ecc.) occorre provare il nesso tra questi comportamenti e l’effettivo danno patito dalla vittima. Già si è detto del limite temporale: occorre dimostrare che il mobbing, oltre che sistematico (e quindi non a carattere episodico), è durato oltre 6 mesi e che ha prodotto conseguenze negative sulla vittima. Queste conseguenze sono principalmente di natura psicologica (ansia, depressione, ecc.) e vanno documentate con certificati medici emessi da psicologi iscritti all’Albo Professionale. Naturalmente anche le eventuali patologie derivate direttamente dalla situazione di mobbing vanno documentate con certificati medici.

Ricerche recenti hanno evidenziato che in Italia circa un milione di persone sono interessate, a vari livelli di gravità, dal fenomeno mobbing. In parte ciò è dovuto al fatto che in Italia, per via della legislazione vigente, è molto più difficile licenziare o trasferire il personale dipendente. Per questo motivo, il mobbing assurge a modalità largamente diffusa per ottenere l’allontanamento di personale non desiderato senza cadere nelle difficoltà burocratiche legate ai licenziamenti senza giusta causa. Naturalmente il mobbing, se viene riconosciuto in sede di tribunale, è fonte di responsabilità civile che genera, nell’azienda colpevole di mobbing, l’obbligo di risarcimento del danno biologico (più difficile il riconoscimento del danno morale o esistenziale, anche se la recente giurisprudenza si sta orientando anche verso questa direzione).

INDENNITA DI DISOCCUPAZIONE (scheda aggiornata con le modifiche apportate dalla Legge 247/07 di attuazione del protocollo sul Welfare del 23 luglio 20

Cos’è l’indennità di disoccupazione
L’indennità di disoccupazione è un sostegno economico che spetta al lavoratore assicurato contro la disoccupazione involontaria.

A chi spetta
Al lavoratore con contratto a tempo determinato alla scadenza del termine del contratto. Al lavoratore a tempo indeterminato che è stato licenziato anzitempo (ristrutturazioni aziendali, massimo di assenze per malattia, ecc.)

A chi non spetta
In base alla legge finanziaria del 1999 l’indennità di disoccupazione non spetta a chi si dimette volontariamente. Fanno eccezione le lavoratrici madri e coloro che si sono dimessi per giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, modifica delle mansioni, mobbing)

L’indennità di disoccupazione è di due tipologie:
␣ con requisiti ordinari. ␣ con requisiti ridotti.

A - INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE CON REQUISITI ORDINARI
Termini di presentazione della domanda: La domanda va presentata alla sede INPS della propria città, anche tramite la sede circoscrizionale per l’impiego, entro il 68° giorno dal licenziamento. NB: è bene però presentarla subito, poiché l'indennità decorre: dall'8° giorno dal licenziamento, se la domanda è stata presentata entro i primi 7 giorni. dal 5° giorno successivo alla presentazione della domanda negli altri casi.
Requisiti ordinari:
Almeno una settimana di contributi versati o dovuti che risalgono a 2 anni prima della data della cessazione dal lavoro Almeno un anno di contribuzione (52 contributi settimanali o 12 mensili, ovvero un corrispondente periodo di attività soggetta all'obbligo dell'assicurazione per la disoccupazione) nei 24 mesi precedenti la data di cessazione dal lavoro
N.B. nelle 52 settimane rientrano anche i giorni retribuiti di ferie, malattia, infortunio, maternità, festività.

Moduli da presentare: ␣ Mod DS 21 compilato dal lavoratore ; ␣ Mod DS 22 compilato dal datore di lavoro; ␣ autocertificazione che accerti lo stato di disoccupati.
L'indennità di disoccupazione viene corrisposta ogni mese con assegno ed è concessa per un periodo massimo di 8 mesi (per 12 mesi per chi ha compiuto 50 anni). Essa è corrisposta nella misura del 60 % per i primi 6 mesi, del 50 % per i successivi due mesi e al 40 % per gli ulteriori mesi della retribuzione percepita nei tre mesi precedenti la cessazione dal lavoro. Il diritto a ricevere l'indennità decade se si è destinatari di un nuovo contratto o si diventa titolare di un trattamento pensionistico diretto (pensione di vecchiaia, di anzianità, pensione di inabilità, pensione di invalidità)

A chi si può fare ricorso
Nel caso in cui la domanda venga respinta, l'interessato può presentare ricorso, in carta libera, al Comitato provinciale dell'INPS, entro 90 giorni dalla data di ricezione della lettera con la quale si comunica il mancato accoglimento. Il ricorso va presentato, o spedito con Raccomandata A/R, alla sede INPS che ha respinto la domanda.
Informazioni più dettagliate: presso il patronato INCA - Cgil o presso gli uffici dell’INPS.
Modulistica: E’ possibile scaricare la modulistica necessaria al sito http://www.inps.it/ Il modulo DS 22 deve essere fornito e compilato dal datore di lavoro Bisogna presentare anche un'autocertificazione che accerti lo stato di disoccupazione

B - INDENNITÀ DI DISOCCUPAZIONE CON REQUISITI RIDOTTI.
Sono considerati requisiti ridotti
avere svolto almeno 78 giornate effettive di lavoro nell’anno precedente a quello in cui si presenta la domanda e avere almeno un contributo settimanale entro la fine del biennio precedente.
Termini di presentazione della domanda
tra il 1 gennaio e il 31 marzo di ogni anno presso la sede dell’INPS. I termini sono prescrittivi.
I giorni di festività, ferie e maternità valgono purché siano stati retribuiti e quindi siano stati pagati i relativi contributi.
Modalità di pagamento
l’indennità viene corrisposta con erogazione di un unico assegno. L’importo dell’assegno è pari al 35 per cento per i primi 120 giorni e al 40 per cento per i successivi giorni fino a un massimo di 180 giorni della retribuzione media percepita giornalmente nel precedente anno, moltiplicata per i giorni lavorati nell’anno solare di riferimento, fino ad un massimo di 156 giorni.
L’assegno viene recapitato presso il domicilio del lavoratore. www.flcgil.it 2
Modulistica E’ necessario presentare:
␣ il mod. DS 21, sottoscritto dal lavoratore; ␣ il mod. DL 86/88 bis, compilato dal datore di lavoro; ␣ un’autocertificazione in cui si dichiari lo stato di disoccupato e dalla quale risulti la
dichiarazione di disponibilità presentata ai Centri per l’Impiego; ␣ il mod. 01M, certificazione del datore di lavoro della settimana di contribuzione nel
biennio precedente; ␣ il mod. Anf/Prest, (reddito del nucleo familiare) se si ha diritto a trattamenti di
famiglia.
Ricorso
Se la domanda viene respinta, è possibile presentare ricorso, in carta libera, al Comitato Provinciale dell’INPS entro 90 giorni dalla data di ricevimento della lettera in cui l’INPS comunica il rifiuto. Il ricorso può essere presentato direttamente agli sportelli della sede Inps che ha respinto la domanda o inviato tramite raccomandata A/R o presentato tramite l’Inca (Ente di Patronato riconosciuto per legge). Riferimento legislativo: D.lvo n. 297 del 19 dicembre 2002.
Si ricorda che l’indennità di disoccupazione è un reddito che va dichiarato nella apposita sezione del Mod 730 o Mod Unico riservata ai redditi assimilabili al lavoro dipendente. Informazioni più dettagliate: presso il patronato INCA – Cgil o presso gli uffici dell’INPS.
Modulistica
E’ possibile scaricare la modulistica necessaria al sito: http://www.inps.it/ Il modulo DS 22 deve essere fornito e compilato dal datore di lavoro. Bisogna presentare anche un'autocertificazione che accerti lo stato di disoccupazione.
Contributi
I periodi per cui si è percepita l’indennità di disoccupazione sono considerati contribuzione figurativa. I contributi figurativi sono accreditati dall'INPS d’ufficio (non serve alcuna domanda) e possono essere ricongiunti ai fini pensionistici ai sensi della legge 29/1979 al pari degli altri periodi con assicurazione Inps.

LA BUSTA PAGA


La busta paga è il documento che indica nel dettaglio la somma che il lavoratore e la lavoratrice percepiscono in un dato periodo come compenso della loro attività, le imposte versate allo Stato e le trattenute previdenziali.
Si tratta di un prospetto fondamentale per verificare se è stato corrisposto quanto dovuto in applicazione del contratto di lavoro e delle leggi vigenti in materia di previdenza, fisco, ecc..
La busta paga infatti ha validità giuridica e, in caso di vertenze, ha valore di prova davanti all'autorità giudiziaria per certificare la giustezza della retribuzione, del trattamento di fine rapporto, dei versamenti previdenziali.
È quindi molto importate controllarne sempre l'esattezza del contenuto, e soprattutto conservare le buste paga ricevute, per tutto il tempo della vita lavorativa, anche dopo aver eventualmente cambiato il posto di lavoro.
La Legge n. 4/53 obbliga i datori di lavoro a corrispondere la retribuzione con un prospetto paga su cui devono essere indicati tutti gli estremi relativi al lavoratore, alla retribuzione, alle trattenute. Tale prospetto deve portare la sigla o il timbro dei datore di lavoro ed essere vidimato dagli organismi competenti.
La prima parte della busta paga, in genere quella in alto, contiene alcuni dati relativi a:
Azienda denominazione, indirizzo, posizione INPS e INAIL
Lavoratore cognome e nome, data di nascita, posizione INPS, codice fiscale
Rapporto di lavoro tipo di rapporto, data assunzione, qualifica, livello professionale
Periodo mese, ore e giorni lavorativi e retribuiti
Retribuzione paga base, contingenza, EDR, eventuale superminimo
Scatti anzianità importo e decorrenza nuovo scatto di anzianità.
Nella parte sottostante:
Imponibile previdenziale utile per il calcolo della pensione ecc.
Imponibile fiscale sul quale si applica la trattenuta IRPEF (tasse)
Deduzioni fiscali ciò che non incide sul reddito
Detrazioni fiscali ciò che viene detratto dal valore dell’IRPEF da versare
Conguaglio fiscale compensazione delle tasse pagate durante l'anno
Totale netto in busta paga
Ferie, ROL, ex festività, R/R maturate, godute, residue.
Elementi di Retribuzione Mensile
Immediatamente sotto i dati anagrafici e statistici, la busta paga contiene i dati relativi alle competenze spettanti al lavoratore
Lo stipendio / retribuzione (di norma mensilizzata) per gli impiegati
Il salario / retribuzione (di norma oraria) per gli operai

Elementi Retributivi Nazionali
La retribuzione minima contrattuale prevista dal CCNL per i diversi livelli è composta da paga base, contingenza, elemento distinto della retribuzione (EDR), scatti di anzianità, eventuale terzo elemento (superminimo collettivo), eventuale cottimo.

Scatti di Anzianità
Gli scatti di anzianità. Gli scatti di anzianità sono aumenti retributivi che maturano periodicamente in funzione dell'anzianità di servizio presso la stessa azienda e che premiano la crescita professionale acquisita dal lavoratore negli anni.
La normativa di questi aumenti periodici è stabilita dai contratti nazionali, i quali indicano la cadenza temporale e il numero massimo degli scatti nel corso della vita lavorativa.
In genere hanno cadenza biennale o triennale e decorrono dal primo giorno del mese immediatamente successivo a quello in cui si compie il triennio d'anzianità nella stessa azienda. Sono calcolati in cifra fissa o anche in percentuale sulla base degli elementi retributivi stabiliti dai contratti collettivi.
Variano in base alla qualifica contrattuale.
In caso di passaggio di livello, alla data di maturazione dello scatto successivo, si provvede a rivalutare l'importo degli scatti complessivamente maturati.
Rappresentano la parte di retribuzione dovuta ad ogni dipendente per l'anzianità effettiva nella stessa azienda.

Superminimo
È la parte della retribuzione mensile acquisita con la contrattazione aziendale o corrisposta dall'azienda, sia collettivamente che individualmente.
Il superminimo collettivo o individuale non è assorbibile da futuri aumenti contrattuali e/o da passaggi di qualifica se definito tale da contratto scritto. In caso contrario può essere assorbito da aumenti contrattuali e/o da passaggi di qualifica.

Cottimo
Il cottimo è una particolare forma di retribuzione, abbastanza anacronistica oggi, disciplinata dagli articoli 2100 e 2101 del Codice Civile. I vari CCNL definiscono le percentuali non inferiori minime di utile di cottimo da conseguire, rispetto alla paga base tabellare, e ne regolano le eventuali compensazioni in caso di mancato raggiungimento del minimo previsto per ragioni indipendenti dalle capacità e dalla volontà del lavoratore interessato. Di norma avviene una integrazione fino al raggiungimento di detto minimo.

Altre Voci Mensili

Possono rientrare nella retribuzione mensile tutti quei compensi che sono corrisposti mensilmente a vario titolo, che incidono sulle maggiorazioni e sui vari istituti contrattuali.
Determinazione della retribuzione
I lavoratori sono di norma retribuiti: impiegati con retribuzione mensile, operai con retribuzione oraria.
In casi particolari anche gli operai sono retribuiti con la mensilizzazione, in tal caso sono da computare correttamente le competenze, esempio: straordinario, festività, maggiorazione turni ecc. che di norma sono riconosciuti il mese successivo alla prestazione.
Tutti i contratti riportano il minimo contrattuale mensile (paga base, contingenza, scatti di anzianità, E.D.R.) per cui per trovare la retribuzione oraria occorre utilizzare il divisore previsto.

LA LETTERA DI ASSUNZIONE

La lettera di assunzione è la formalizzazione del contratto di lavoro individuale.
È obbligatoria la sua emissione entro 30 giorni (5 giorni per il contratto a tempo determinato) dalla data di assunzione o alla cessazione, se precedente.

Contenuto:

• L’entità dei contraenti
• La sede dell’azienda
• La menzione esplicita della tipologia del contratto (a tempo indeterminato o a termine; CFL, apprendistato, a domicilio)
• La durata della prestazione (a tempo pieno o part time)
• Il numero di matricola
• La data di inizio del rapporto di lavoro
• La durata del contratto (data di risoluzione)
• La qualifica
• La categoria
• La mansione
• Le ragioni che hanno indotto la stipulazione del contratto a termine (es. esecuzione di un progetto, sostituzione di personale chiamato a svolgere attività elettive, stagionalità, ecc.)
• La sede di lavoro
• L’orario di lavoro
• L’eventuale durata del periodo di prova
• L’eventuale disponibilità al lavoro notturno
• L’eventuale disponibilità alla trasferta
• Il trattamento economico (importo della retribuzione con dettaglio degli elementi retributivi e indicazione della periodicità del pagamento)
• Eventuale patto di non concorrenza
• Durata del preavviso
• L’entità delle ferie e le regole di determinazione e fruizione
• Riserva di non costituzione del rapporto per cause non imputabili al datore di lavoro quali: mancanza di autorizzazioni o licenze speciali, inidoneità al lavoro
• Autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi della legge 675/1996

Per i rapporti di lavoro con previsioni di prestazioni all’estero vanno aggiunti i seguenti elementi:
• La durata del lavoro all’estero
• La valuta della retribuzione
• I vantaggi (denaro o natura)
• Le condizioni di rimpatrio

Eventuali variazioni non derivanti da leggi, regolamenti, CCNL, devono essere comunicati entro trenta giorni.