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Prestazioni occasionali: aspetti fiscali e previdenziali

Con la circolare n. 103 del 6 luglio scorso, l'Inps ha fornito degli interessanti chiarimenti in ordine alle prestazioni occasionali e all'attività degli incaricati alle vendite a domicilio. Le istruzioni diramate si presentano opportune in quanto permettono di fare luce sull'articolo 44 del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 (che dispone - a partire dal 1° gennaio 2004 - l'iscrizione alla Gestione separata istituita presso l'Inps dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e degli incaricati alle vendite a domicilio, qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore a 5mila euro, prevedendo, altresì, per il versamento dei contributi da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale, l'applicazione delle modalità e dei termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi), e sull'articolo 61, comma 2, del Dlgs n. 276/03 (legge Biagi), che ha istituito il lavoro occasionale.
Si evidenzia che il Dlgs n. 276/2003 non si applica alle pubbliche amministrazioni per il loro personale, atteso che l'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile non è stato oggetto di modificazioni.

La legge Biagi
Il Dlgs n. 276 del 10 settembre 2003 (in vigore dal 24 ottobre 2003), all'articolo 61, dopo aver previsto, al comma 1, che 'ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa', ha disposto al successivo comma 2 che 'dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo'.
Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con la circolare n. 1 dell'8 gennaio 2004 - avente a oggetto la disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nelle modalità a progetto - ha avuto modo di osservare che le prestazioni occasionali (rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, sia superiore a 5mila euro) non sono altro che 'collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata portata, si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall'ambito di applicazione della nuova disciplina; tali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si distinguono sia dalle prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti di cui agli articoli 70 e seguenti del decreto legislativo, sia dalle attività di lavoro autonomo occasionale vero e proprio, ossia dove non si riscontra un coordinamento ed una continuità nelle prestazioni e che proprio per questa loro natura non sono soggette agli obblighi contributivi previsti per le collaborazioni coordinate e continuative bensì a quelli di cui all'articolo 44, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326'.

L'individuazione dei rapporti di lavoro autonomo occasionale
In ordine all'individuazione delle fattispecie inquadrabili nel rapporto di lavoro autonomo occasionale, la nota dell'Inps del luglio 2004 evidenzia che, sulla base dell'art. 2222 del Codice civile, lavoratore autonomo occasionale può essere definito colui che si obbliga a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione, senza alcun coordinamento con il committente, e occasionalmente, cioè senza i requisiti della professionalità e della prevalenza.
Pertanto, 'i caratteri differenziali del lavoro autonomo occasionale rispetto alla collaborazione coordinata, a progetto od occasionale, vanno individuati, tendenzialmente, nell'assenza del coordinamento con l'attività del committente, nella mancanza dell'inserimento funzionale nell'organizzazione aziendale, nel carattere episodico dell'attività, nella completa autonomia del lavoratore circa il tempo ed il modo della prestazione'.

Gli aspetti previdenziali
La nota dell'Inps, sulla base del rinvio dell'articolo 44, comma 2, della citata legge n. 326/2003 alle modalità e ai termini di pagamento previsti per le collaborazioni coordinate e continuative, ritiene che 'la contribuzione previdenziale deve essere applicata sul compenso lordo erogato al lavoratore, dedotte le spese poste a carico del committente e risultanti dalla fattura'.
Sciogliendo la riserva contenuta nella circolare n. 9 del 22 gennaio 2004, l'Inps ha precisato, 'sulla scorta delle direttive impartite dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che il reddito di euro 5000 costituisce, comunque, una fascia di esenzione e che, in caso di superamento di detta fascia, sempre in relazione alle sole attività considerate dalla norma, i contributi sono dovuti esclusivamente sulla quota di reddito eccedente. Per le ipotesi di superamento dell'importo di euro 5000 in costanza di una pluralità di rapporti, sarà applicato il criterio indicato, in riferimento all'aliquota aggiuntiva dell'1%, nella circolare n. 56 del 29 marzo 2004'.
Pertanto, in capo al lavoratore, vi è l'obbligo di comunicare ai committenti interessati, all'inizio dei singoli rapporti e durante il loro svolgimento, il superamento o meno del limite. Di conseguenza, l'obbligo di iscrizione alla Gestione separata sorge 'allorché gli emolumenti percepiti nell'arco dell'anno solare (intendendosi per tale il periodo 1° gennaio - 31 dicembre), a fronte di un unico o di una pluralità di rapporti, superino l'importo di euro 5000 ed a decorrere da tale momento'.
Superata per ciascun anno solare la fascia di esenzione di 5mila euro, il committente o i committenti interessati devono versare i contributi sugli ulteriori emolumenti dagli stessi corrisposti nel predetto anno, entro il giorno 16 del mese successivo al relativo pagamento, tramite modello F24, utilizzando i codici CXX o C10 previsti per le co.co.co.
Le aliquote da applicare sugli emolumenti erogati al lavoratore, sono pari, per il corrente anno, al:
- 10 per cento per i soggetti iscritti ad altra forma di previdenza obbligatoria (Inps, Inpdap, eccetera) e per i titolari di pensione di reversibilità
- al 15 per cento per i titolari di pensione diretta
- al 17,80 per cento per i lavoratori privi di altra tutela obbligatoria.
L'aliquota del 17,80 per cento va maggiorata al 18,80 per cento sulla quota parte degli emolumenti che eccedono la prima fascia di retribuzione pensionabile, pari per l'anno 2004, a 37.883,00 euro.
Si ricorda che il committente ha diritto di rivalsa per i contributi a carico del lavoratore (1/3 in capo al lavoratore e deducibili nel quadro RP della dichiarazione dei redditi, mentre 2/3 sono a carico del committente), che per tutti gli iscritti alla Gestione vige il massimale contributivo di cui alla legge n. 335/1995 (80.401,00 euro per il 2004) e i contributi dovuti per emolumenti già corrisposti nel corrente anno non saranno gravati da oneri accessori se pagati entro il giorno 16 del terzo mese successivo a quello di emanazione della circolare n. 103 del 6 luglio 2004.

Gli aspetti fiscali
Ai fini fiscali, le attività in questione rientrano fra i cosiddetti redditi diversi di cui all'articolo 67, comma 1, lettera l, del Tuir, determinati, ai sensi dell'articolo 71 del citato Tuir, dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo d'imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione (quadro RL della dichiarazione dei redditi).
In forza della vigente interpretazione ministeriale, confermata dall'Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 69/E del 21 marzo 2003, anche i rimborsi spese di viaggio, vitto e alloggio sono da considerare compensi percepiti, assoggettati a ritenuta.
La superiore interpretazione discende dal fatto che l'articolo 25, comma 1, primo periodo, del Dpr n.600/73 - norma che si riferisce sia ai compensi per lavoro autonomo professionale sia ai compensi per lavoro autonomo occasionale - prevede che i committenti sui 'compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché non esercitate abitualmente ovvero siano rese a terzi o nell'interesse di terzi, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a titolo di acconto dell'Irpef dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa'.
Secondo la lettura della norma fornita dalle Entrate, 'nella nozione di compenso devono ricondursi anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito'.
Per i lavoratori autonomi occasionali - ai fini della inerenza e conseguente deducibilità dei costi - valgono, sostanzialmente, le stesse regole e principi relativi ai lavoratori autonomi abituali.
Pertanto, per esempio, per colui che svolge - in maniera occasionale - l'attività di docenza per scuole di specializzazione tributarie private, o convegnistica sempre in materia fiscale, costituiranno spese inerenti, oltre ai costi di vitto, alloggio e viaggio (compresi i pedaggi autostradali, i costi per il parcheggio e i costi per il taxi), anche le spese sostenute per l'aggiornamento, quali l'acquisto di libri, giornali, riviste specializzate, banche dati, enciclopedie giuridiche che contengano nozioni specialistiche rivolte al settore specifico, le spese di cancelleria, sempre se riferibili all'incarico ricevuto, eccetera.
Il lavoratore autonomo occasionale deve quindi indicare nel quadro RL i compensi lordi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, comprensive dei rimborsi spese per vitto e alloggio addebitati e sui quali va assolta la ritenuta del 20 per cento (rigo RL11 del quadro RL di Unico 2004), salvo poi imputare tali spese - inerenti all'attività di lavoro autonomo - al rigo RL20, e indicare le ritenute d'acconto subite.
Tale meccanismo fa sì che la fatturazione dei rimborsi spese sia solo una partita di giro: di fatto, il contribuente da un lato computerà il rimborso quale componente positivo di reddito, dall'altro dedurrà dal proprio reddito i costi sostenuti.
Il metodo di contabilizzazione non cambia se è il committente a provvedere direttamente al sostenimento delle spese, pagando - materialmente - i biglietti di viaggio e quant'altro necessario: si tratta, infatti, semplicemente di una diversa impostazione formale dell'operazione che però non fa venire meno la natura di compensi per quelle somme che non vengono rimborsate al professionista (cfr. risoluzione n.20/E del 20 marzo 1998), ma che sono destinate direttamente all'acquisto dei biglietti per il viaggio o per il pagamento dell'albergo (per gli oneri sostenuti direttamente dal committente, il lavoratore autonomo occasionale dovrà emettere regolare nota di debito per il valore corrispondente e il committente dovrà provvedere, a sua volta, al versamento della ritenuta).
La diversa base imponibile previdenziale e fiscale
Abbiamo visto che ai fini previdenziali il calcolo dei contributi è determinato dalla differenza fra il compenso lordo erogato al lavoratore e le spese poste a carico del committente, tenendo conto della fascia di esenzione dei 5mila euro.
Ai fini fiscali, invece, nei compensi da assoggettare a ritenuta d'acconto rientrano anche i rimborsi spese inerenti, in presenza dei quali le due basi imponibili - previdenziale e fiscale - non coincidono, atteso che, ai fini fiscali, la ritenuta del 20 per cento va calcolata sull'ammontare complessivo erogato dal committente, comprensivo dei rimborsi spese, mentre i contributi Inps vanno calcolati sul compenso netto, cioè decurtato delle spese rimborsate dal committente.

Concorsi pubblici: discrezionalità della P.A. nella valutazione complessiva



(Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 7369/2010 - Dario Immordino)

Con la decisione 8 ottobre 2010 ,n. 7369 il Consiglio di Stato si è pronunciato sul contenuto e i limiti della discrezionalità di cui gode la P.A. qualora sia chiamata ad operare una valutazione comparativa tra una pluralità di candidati aventi un percorso professionale in qualche misura assimilabile, esperienze simili, e profili professionali d'alto livello


In merito il Collegio richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa secondo cui in sede di valutazione di più candidati alla promozione alla qualifica superiore, l'Amministrazione goda di un'ampia discrezionalità nell'attribuire il punteggio sull'attitudine, essendo questo collegato ad una valutazione complessiva ed integrale della personalità dei candidati e alla idoneità prospettica a svolgere in modo ottimale le funzioni della qualifica superiore, con la conseguenza che tale valutazione di merito, salvo i casi di illogicità manifesta e/o di ingiustizia manifesta, non può essere oggetto di cognizione da parte del giudice amministrativo in sede di giudizio di legittimità. Ciò non toglie, però, la necessità che la discrezionalità dell'Amministrazione abbia sempre il supporto della sua manifestazione in specifici concreti elementi e si esprima, in ogni caso, attraverso una motivazione che renda possibile comprendere le ragioni per cui, in relazione alla valutazione di più candidati, una complessità di valutazione sia da ritenersi superiore ad un'altra complessità di valutazione, posto che altrimenti la discrezionalità amministrativa verrebbe a confondersi con un giudizio di carattere assoluto, privo di pur minimi, necessari riscontri obiettivi. In buona sostanza, secondo il Collegio, il convincimento dell’amministrazione deve sempre potersi dimostrare anche se non attraverso una accurata comparazione analitica, almeno (pur tenendo conto della complessità delle rispettive valutazioni) attraverso una sia pur minima motivazione che renda esplicito il miglior grado di complessità dei giudizi ritenuto dalla Commissione valutatrice. Ciò costituisce l'unico presidio per scongiurare il rischio - a monte - che la valutazione dell’amministrazione possa all’esterno fondarsi su imperscrutabili valutazioni in quanto tali sospettabili di parzialità e - a valle - per consentire il controllo giurisdizionale su tale operato prescritto dalla Carta Fondamentale. (Nella specie, si trattava della graduatoria del personale ammesso a frequentare il corso di formazione dirigenziale per l'accesso alla qualifica di primo dirigente nel comparto Ministeri).


Ciò perché se è vero che il parametro dell'"attitudine" in se è idoneo a concretarsi in valutazioni attinenti all'intrinseco convincimento relativo alla migliore capacità di taluno o talaltro dei candidati a meglio svolgere gli alti compiti d'istituto in futuro al medesimo affidati, ciò non può essere disgiunto dalla preventiva definizione dei parametri cui ancorare tale convincimento;dalla necessità che si dia atto analiticamente delle ragioni supportanti il convincimento espresso; dalla doverosa correlazione di tale motivazione ai parametri previamente indicati e costituenti per l'Amministrazione autovincolo; ed, infine, dalla - anche sintetica, purchè non criptica- esposizione dell'iter motivazionale che ha condotto alla formazione del convincimento.


Tale attività, si badi, è vieppiù necessaria allorchè si tratti di delibare comparativamente tra una pluralità di candidati aventi un percorso professionale in qualche misura assimilabile, esperienze simili, e (come non negato dall'amministrazione) profili professionali d'alto livello.


Ciò costituisce l’unico presidio per scongiurare il rischio -a monte- che la valutazione dell'amministrazione possa all'esterno fondarsi su imperscrutabili valutazioni in quanto tali sospettabili di parzialità e -a valle- per consentire il controllo giurisdizionale su tale operato, prescritto dalla Carta Fondamentale.

Chiarimenti dell'Inps su decorrenza della pensione, trasferimenti di posizioni assicurative, invalidi e verifiche reddituali (Inps, Circ. 24.9.2010)



Sulla Gazzetta Ufficiale n. 176 del 30 luglio 2010 è stato pubblicato il Testo del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, coordinato con la legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”.
Il decreto legge n. 78/2010 è entrato in vigore il 31 maggio 2010; la legge n. 122/2010 è entrata in vigore il 30 luglio 2010.
L’art. 12 (commi da 1 a 6) della predetta legge ha introdotto, dal 1° gennaio 2011, una nuova disciplina in materia di decorrenza della pensione di vecchiaia e dei trattamenti di anzianità rispetto alle disposizioni previste dalle leggi n. 243 del 2004 e n. 247 del 2007, lasciando peraltro impregiudicati i requisiti di accesso ai predetti trattamenti pensionistici (allegato 1).
L’articolo 12, commi 12 septies, 12 octies, 12 novies e 12 undecies, della citata legge ha previsto nuove diposizioni in materia di ricongiunzione della contribuzione e trasferimento della posizione assicurativa (allegato 2).
L’art. 13, comma 6, della citata legge ha altresì apportato talune modifiche all’art. 35 del decreto legge 30 dicembre 2008, n.207, convertito dalla legge 27 febbraio 2009, n. 14, in tema di comunicazione dei dati reddituali da parte dei titolari di prestazioni collegate al reddito (allegato 3).
L’articolo 38, nei commi 7 e 8, ha previsto, in favore di pensionati a basso reddito, la facoltà di dilazionare determinati versamenti (allegato 4).
L’art. 10 ha introdotto nuove disposizioni in materia di trattamenti di invalidità civile (allegato 5).
Con la presente circolare si forniscono le istruzioni in merito alle disposizioni introdotte dalla legge n. 122/2010 di conversione del decreto legge n. 78/2010 e si confermano le istruzioni fornite con messaggi nn. 21171, 21172 e 21181 del 12/08/2010 e n. 22889 del 9/09/2010.

Contributi per promuovere la sicurezza sul lavoro

In GU il decreto che definisce i criteri e le procedure per la concessione.

Per il Biennio economico 2009-2010 dal Ministero del lavoro arrivano i contributi per promuovere la sicurezza sul lavoro

I contributi messi in campo dal Ministero del Lavoro si possono richiedere per la realizzazione di studi e ricerche sulle discipline infortunistiche e di medicina sociale in genere, nonchè per il finanziamento di attività promozionali ed eventi in materia di salute e sicurezza del lavoro . Le somme assegnate dovranno essere utilizzate per il biennio economico 2009-2010, queste le misure dei contributi :

a) nella misura del 70% per contribuire alla promozione di soluzioni organizzative e gestionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro;
b) nella misura del 30% per il finanziamento di attività promozionali ed eventi in materia di salute e sicurezza del lavoro, con particolare riferimento alla predisposizione e realizzazione di «campagne informative» nei settori a più elevato rischio infortunistico.

Decreto Ministero del Lavoro, 5 novembre

INTRODUZIONE AL PROCESSO DI LAVORO


(Pubblicato su l'opinionista il 19/10/2010 da Dott. Bruno Olivieri)
La conciliazione stragiudiziale

Procediamo ad approfondire la nostra trattazione sulle controversie di lavoro focalizzando la nostra attenzione, in questo articolo, su “tentativo di conciliazione”.
Si tratta di un iter giuslavoristico dove ciascuno di noi ha almeno una volta sentito parlare senza però sapere nel concreto di cosa si tratti e in che modo venga espletato. Si tratta del tentativo di risoluzione di un qualsiasi contenzioso di lavoro che è possibile espletare facendo o meno ricorso all'autorità giudiziaria (conciliazione stragiudiziale nel primo caso e giudiziale nel secondo) al fine di riconoscere i diritti della parte lesa.
Sulla base della vigente normativa in campo di risoluzione delle controversie di lavoro, non è possibile accedere direttamente alla fase di risoluzione giudiziale se non in casi particolari e con deroghe particolari.
Secondo quanto stabilito dall'art. 410 c.p.c. , nelle controversie individuali di lavoro, il tentativo di conciliazione è obbligatorio.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione costituisce infatti condizione di procedibilità della domanda in quanto “chi intenda proporre una domanda giudiziale relativa ai rapporti di lavoro deve preventivamente promuovere il tentativo di conciliazione”.
Chiunque voglia far valere un diritto inerente ai rapporti di diritto privato, e nel nostro caso diritti inerenti materia di lavoro, deve preventivamente esperire il tentativo di conciliazione, tramite un proprio rappresentante legale o sindacale, dinanzi la Commissione di Conciliazione presso la direzione provinciale del lavoro, istituita presso ogni provincia.
Gli esiti di un tentativo obbligatorio di conciliazione possono essere due:

- il tentativo NON RIESCE, ovvero entro 60 giorni dalla richiesta le parti non trovano un accordo ; decorso tale termine, le parti possono proporre domanda giudiziale al giudice del lavoro. Verrà quindi steso un verbale di “mancata conciliazione” per disaccordo tra le parti, impossibilità di svolgimento del tentativo per assenza di almeno una delle parti o per mancata costituzione del Collegio.
Le ragioni del mancato accordo verranno valutate dal giudice del lavoro nell'esito del successivo giudizio, quanto meno per la decisione sulle spese.
- Il tentativo RIESCE, la Commissione forma un verbale di conciliazione che viene poi depositato presso la cancelleria del giudice del lavoro competente per territorio che lo dichiara esecutivo con un decreto acquistando così efficacia a livello esecutivo.

Alternativamente al tentativo obbligatorio, in fase stragiudiziale la conciliazione può essere espletata in altre due modalità che molto brevemente descriveremo:

- parliamo di conciliazione monocratica allorché la richiesta di intraprendere la conciliazione non giunga da una delle parti coinvolte nella controversia. La Direzione provinciale del lavoro cioè, qualora chiamata in interventi ispettivi riscontri elementi per una soluzione conciliativa della controversia, mediante un proprio funzionario, avvia il tentativo di conciliazione sulle questioni segnalate;
- definiamo conciliazione sindacale quando l'azione è regolata dalle norme previste dai contratti collettivi o dagli accordi in materia di lavoro. Essa è affidata esclusivamente ai sindacati che hanno però l'unico obbligo di depositare il verbale conciliativo presso gli uffici della Direzione provinciale del lavoro affinchè la conciliazione sia valida.

Via libera alla PEC per partecipare ai concorsi pubblici


(Circolare Ministero Pubblica amministrazione 3.9.2010 n. 12)

Come noto, le azioni e gli interventi posti in essere da questo Governo hanno come denominatore comune anche quello di favorire, in ogni settore, relazioni più semplici, rapide e meno onerose tra Pubblica amministrazione e cittadini, sfruttando e traendo vantaggio dai progressi della tecnologia, nonché dalle innovazioni che ne derivano nel campo della comunicazione. Un impegno significativo è stato ed è tuttora profuso da questo Ministero per rendere la posta elettronica certificata lo strumento principale di comunicazione tra amministrazioni e nei rapporti con i cittadini. Com’è stato illustrato nelle circolari n. 1/2010/DDI del 18 febbraio 2010 e n. 2/2010 del 19 aprile 2010, il contesto normativo si è da tempo evoluto in coerenza con l’obiettivo illustrato. Si tratta, ora, di darvi piena attuazione con misure rapide e continue di adeguamento dei sistemi di comunicazione, sia sotto l’aspetto delle infrastrutture, sia sotto l’aspetto delle procedure amministrative con soluzioni che prevedano, ove necessario, anche una revisione delle prassi seguite ed un aggiornamento della modulistica e delle formule standard utilizzate nei provvedimenti, al fine di rendere il funzionamento di tutto il sistema dei processi amministrativi coerente, sotto ogni aspetto, con la finalità di aumentare il grado di informatizzazione e digitalizzazione dei processi. Il percorso è da tempo avviato e ritardarne l’evoluzione non può che arrecare svantaggi alla comunicazione tra le amministrazioni, a quella con i cittadini, all’esigenza di contenere i costi dell’apparato pubblico. Ciò posto, attesi i dubbi che alcune amministrazioni hanno manifestato in merito alla possibilità di estendere i principi sopra richiamati anche alle procedure concorsuali pubbliche, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo dello strumento di posta elettronica per l’invio delle domande di concorso, si ritiene opportuno fornire i seguenti chiarimenti e criteri interpretativi.

LaPrevidenza.it, 24/09/2010

E' legittimo pretendere che il lavoratore lavori anche la domenica, dopo aver lavorato per tutta la settimana?

Il lavoratore, qualora fosse chiamato a prestare la sua attività di domenica, dovrebbe percepire, oltre alla normale retribuzione, una indennità che sia sufficiente a compensare il sacrificio di lavorare in una giornata normalmente dedicata al riposo e allo svago. Questa maggiorazione deve essere corrisposta anche nel caso di riposo compensativo, e – in caso di contestazione e sempre che al riguardo il contratto collettivo di lavoro nulla disponga - deve essere quantificata dal giudice in via equitativa.

Diverso è invece il problema della cadenza settimanale del riposo, ovvero del diritto al riposo dopo sei giorni continuativi di lavoro. Questo diritto discende da numerose disposizioni legislative: l'art. 2109 c. 1 c.c. riconosce al lavoratore il diritto "ad un giorno di riposo ogni settimana"; l'art. 1 L. 22/2/34 n. 370 dispone che al lavoratore "è dovuto ogni settimana un riposo di 24 ore consecutive"; l'art. 36 c. 3 Cost. dispone che "Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale [...] e non può rinunciarvi".

Dalle suddette norme di legge la giurisprudenza ha tratto la conclusione che il lavoratore ha diritto, dopo sei giorni continuativi di riposo, ad una giornata di riposo, dichiarando altresì nulle le eventuali disposizioni contrattuali contrarie. Né la situazione potrebbe essere sanata anticipando il riposo settimanale: infatti, il principio del riposo settimanale risponde all’esigenza di tutelare la salute del lavoratore, consentendogli di recuperare le energie perdute. Pertanto, mentre è possibile ristorare le energie già spese, non si può pensare di accumulare le energie in vista del loro futuro dispendio.

Qualora venisse violato il diritto al riposo dopo sei giorni di lavoro continuativo, il lavoratore dovrebbe ricorrere al giudice, che risarcirà il danno conseguentemente subito secondo equità. Nella quantificazione del danno, il giudice (considerando che la lesione del diritto in questione è configurabile come reato ex art. 27 L. 370/34) dovrà tener conto anche della sua componente morale. E' stato anche affermato che il risarcimento deve tener conto di ogni giornata lavorativa continuativamente prestata dopo la sesta, e deve essere commisurato alla normale retribuzione per ogni giornata lavorata dopo la sesta.

MANCATO RISPETTO OBBLIGO DI PREVENZIONE art. 2087 c.c

Il comportamento imprudente del lavoratore che abbia subito un infortunio comporta il riconoscimento di un suo concorso di colpa, con il datore di lavoro, nella causazione dell’infortunio. (Cass. 23/4/2009 n. 9698, Pres. Ianniruberto Est. Stile, in Orient. Giur. Lav. 2009, 126)
In tema di responsabilità del datore di lavoro per mancato rispetto dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. è necessario che l’evento dannoso sia riferibile a sua colpa, non potendo essere ascritto al datore medesimo a titolo di responsabilità oggettiva; il relativo accertamento costituisce un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto che le lesioni subìte da un portalettere scivolato su una lastra di ghiaccio non fossero riferibili a colpa delle poste italiane spa, atteso che nessuna norma, legale o contrattuale, imponeva a detto datore di lavoro di dotare i portalettere di scarpe antiscivolo e che non risultavano violate le norme di comune prudenza, potendo le condizioni metereologiche e ambientali mutare anche nel corso della giornata lavorativa, senza che ciò fosse facilmente prevedibile in anticipo). (Cass. 17/2/2009 n. 3785, Pres. Sciarelli Est. D’Agostino, in Orient. Giur. Lav. 2009, 115)
L'art. 2087 c.c. impone all'imprenditore un aggiornamento continuo delle misure da adottare per la tutela della salute dei suoi dipendenti con conseguente obbligo della loro individuazione e della loro attuazione, anche a integrazione della specifica normativa della sicurezza. Tale integrazione però si riferisce esclusivamente a quelle cautele suggerite dalla tecnica e dall'esperienza che fanno parte del patrimonio culturale diffuso in una determinata collettività, in un determinato momento. Pertanto la responsabilità del datore di lavoro, in ordine a infortuni o malattie professionali, non sussiste qualora egli abbia osservato tutte le misure prevenzionistiche previste dalla legge, nonché gli standard di sicurezza normalmente adottati dagli imprenditori. (Trib. Genova 13/10/2008, in Lav. nella giur. 2009, 208)
La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell'art. 1374 c.c., dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell'art. 1218 c.c. circa l'inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare l'esistenza dell'obbligazione lavorativa, l'esistenza del danno e il nesso causale tra quest'ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all'obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. (Cass. 13/8/2008 n. 21590, Pres. Senese Est. De Matteis, in Lav. nella giur. 2008, 1272, e in Lav. nella giur. 2009, 79)