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Newsletter Giuridica dell'11 marzo 2013 - studiocataldi.it

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Tuodiritto Newsletter del 13.03.2013

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Min.Lavoro: incentivi per l’assunzione di lavoratori licenziati da piccole imprese



Fonte DTL Modena

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali comunica che, in attuazione dell’impegno a suo tempo assunto in considerazione della mancata proroga, in via legislativa, dell’apposito intervento di incentivazione all’assunzione di lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo (GMO), ha varato un decreto che prevede specifici premi per l’assunzione di tali lavoratori. In particolare, il decreto dispone l’attribuzione di un incentivo, in forma capitaria (cifra fissa mensile, riproporzionata per le assunzioni a tempo parziale), per i datori di lavoro che, nel corso del 2013, assumano a tempo indeterminato o determinato, anche part-time o a scopo di somministrazione, lavoratori licenziati, nei dodici mesi precedenti l’assunzione, per GMO connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.
L’importo dell’incentivo è pari a 190 euro mensili per un periodo di 12 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato. Il medesimo importo è corrisposto per un massimo di 6 mesi in caso di assunzione a tempo determinato.
L’ammissione al beneficio è gestita dall’Inps con procedura informatizzata e automatica, fino a capienza delle risorse stanziate, pari a 20 milioni di euro.
Con il provvedimento i lavoratori destinatari dell’incentivo non rischiano più di essere «spiazzati» nelle assunzioni rispetto ai lavoratori che possono essere iscritti nelle liste di mobilità, perché licenziati, con procedimento collettivo, da imprese con più di quindici dipendenti.

ASSENZA DAL LAVORO PER RENDERE TESTIMONIANZA IN TRIBUNALE


Autore: francesco Colaci   
   Ad ognuno di noi puo’ capitare di  assistere ad episodi e/o di sapere cose che possono servire ad accertare se un determinato fatto sia effettivamente accaduto, con che modalità si sia svolto e chi ne sia rimasto coinvolto ,venendo quidi convocato per rendere testimonianza,a cui  la  persona interessata non puo’ sottrarsi     , costitueno la medesima  un preciso dovere.
  Ricevuta la citazione ,da parte del P.M. ovvero del legale delle parti interessate alla causa , il testimone ha l’obbligo di presentarsi,  attenendosi  alle prescrizioni date dal giudice in relazione alle esigenze processuali e di rispondere secondo verità alle domande che gli  vengono  rivolte.
Nel caso in cui per il giorno dell’udienza , a cui  è stato convocato  ,  sopravviene un inconveniente che rende impossibile la presenza, il testimone dovrà comunicarlo tempestivamente, segnalando le ragioni dell’impedimento.
In tal caso, se il giudice riterrà fondato l’impedimento,  disporra’  una nuova citazione per una successiva udienza.
Si ricorda che l’ art. 366 c.p. punisce il testimone che ottiene con mezzi fraudolenti l’esenzione dall’obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio. 
 Se  il testimone regolarmente citato non  si presenta senza addurre un legittimo impedimento, potrà esserne disposto l’accompagnamento coattivo e potrà altresì essere condannato al pagamento di una somma da € 51 a € 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la mancata comparizione ha dato causa, ai sensi dell’art. 133 c.p.p.
Premessso quanto sopra precisato ,si evidenzia che emergono aspetti specifici sull’argomento,allorche’ la convocazione in Tribunale per rendere testimanianza riguarda un lavoratore ,considerato che in tal caso  si tratta di  definire :

A) se  e come  trovi    giustificazione   l’assenza dal lavoro dipendente  generata da una citazione a comparire in Tribunale in qualità di testimone (sia in un processo  penale che civile  ) e se la stessarisulti    coperta dalla normale retribuzione;
B) se al lavoratore  competete o meno un’indennita’economica  o un rimborso spese ed a carico di chi .
 Circa l’aspetto sub  A) ,occorre preliminarmente  tener conto    che il testimone ha l’obbligo di presentarsi davanti al giudice e di rispondere secondo verità alle domande che gli saranno rivolte: non adempiere a tale obbligo è reato. Per questo motivo, il datore di lavoro non può impedire al suo dipendente di assentarsi dal posto di lavoro per andare a testimoniare. Nel caso sia necessario, il Cancelliere presso il Tribunale potrà rilasciare un apposito certificato per giustificare tale assenza.
Pertanto nel caso in questione ,l’assenza dal lavoro (subordinato,sia pubblico che privato) è sempre considerata giustificata,fermo restando che si dovra’  avvertire  con congruo anticipo il datore di lavoro ,che ,ben’inteso,giammai potra’ impedirla,ma  avra’ modo e  tempo d’  i ntervenire nell’organizzazione delle   attivita’ aziendali da realizzare nel periodo dell’assenza. del proprio dipendente.
 Si  deve aggiungere ,peraltro , che necesita  verificare se la comparsa in Tribunale per testimoniare  avviene  escludendo comunque   che la stessa    non comporta  la perdita  di alcun elemento della retribuzione  a carico del    testimone-lavoratore , che  , suo malgrado,è  costretto a  rinunciare ad una giornata lavorativa o porzione di essa per ottemperare all’invito notificatogli  .
Per  fornire risposta a tale specifica questione , è  confacente    in proposito distinguere    se il
destinatario dell’intimazione sia   dipendente di un’azienda privata ovvero  dipendente pubblico.
Infatti, nel primo caso i relativi C.C.N.L. di categoria   prevedono  il numero di permessi individuali di lavoro (P.I.L.) o  di recuperi orari di lavoro (R.O.L.) o comunque ancora  una quantita’ di giorni  di  ferie di cui ha diritto a godere il lavoratore subordinato ,  che comportano essere    abbastaza    in frequente  il caso in cui  , a fronte dell’intimazione  a presentarsi come teste, il dipendente non abbia generalmente la possibilità di ottemperare  senza poter  contare di qualche permesso  dal  lavoro nel novero di quelli concessi dalla contrattazione colettiva 
  Di  conseguenza  avviene che   i permessi per rendere testimonianza , pur da conciliare con le esigenze organizzative e produttive  del datore di lavoro,  riescono ad essere   fruiti senza che il dipendente   patisca   alcuna decurtazione  dello stipendio, neppure in percentuale oraria.
 Per l’impiego pubblico,si constatano     ripetuti interventi chiarificatori in tema di permessi retribuiti ,tra cui si evidenzia    il caso della circolare della Agenzia delle Entrate 17/4/03 ,che se da un lato sembra
parificare i dipendenti pubblici a quelli privati, in quanto l’assenza del dipendente che si allontani
dal luogo di lavoro per servizio al fine di rendere una testimonianza “può essere imputata a ferie, a
permesso breve, a permesso retribuito per motivi personali ai sensi dell’art. 18 c. 2 del C.C.N.L.
16/5/95”, finisce poi per distinguere a seconda del motivo per cui la testimonianza venga richiesta,vale a dire che detto art.18 prevede che il dipendente ha titolo per ogni anno a 18 ore di permesso retribuito per motivi personali ,che possono esere frazionati   ,tra cui   quello di rendere testimanianza per fatti non concernenti il servizio.


Infatti secondo la predetta circolare “nel caso che la testimonianza sia resa nell’interesse
dell’amministrazione il dipendente deve essere considerato in servizio”.
 La distinzione sui motivi posti a fondamento della concessione dei permessi retribuiti resiste
comunque nel settore impiegatizio pubblico e particolarmente nel comparto scuola, secondo cui “il
dipendente citato dall’autorità giudiziaria a comparire in qualità di testimone o giudice popolare o
onorario – e quindi non per motivi personali – ha diritto di assentarsi per tutto il tempo
strettamente necessario e la sua attività è considerata a tutti gli effetti orario di servizio. Il
dipendente è tenuto a presentare preventiva comunicazione e a produrre al rientro in servizio la
relativa documentazione probatoria” (art. 2 bis L. 74/78).
Per quanto concerne l’aspetto sub B), si  osserva che il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pubblicato sulla G.U. n. 139 Suppl.Ord. del 15/06/2002), agli artt. 45-48, prevede il diritto per i testimoni ad ottenere un’indennità per l’impegno prestato ,in ordine a cui  in  sintesi si precisa che:
  • Ai testimoni residenti nel Comune in cui si trova l’Ufficio giudiziario presso cui sono stati citati, ovvero residenti in un Comune che dista non oltre due chilometri e mezzo da quello presso il quale ha sede l’Ufficio Giudiziario, spetta l’indennità di euro 0,36 al giorno.
  • Ai testimoni non residenti spetta il rimborso delle spese di viaggio, per andata e ritorno, pari al prezzo del biglietto di seconda classe sui servizi di linea o al prezzo del biglietto aereo della classe economica, se autorizzato dall’autorità giudiziaria. Spetta, inoltre, l’indennità di euro 0,72 per ogni giornata impiegata per il viaggio, e l’indennità di euro 1,29 per ogni giornata di soggiorno nel luogo dell’esame. Quest’ultima è dovuta solo se i testimoni sono obbligati a rimanere fuori dalla propria residenza almeno un giorno intero, oltre a quello di partenza e di ritorno.
  • Ai testimoni minori di anni quattordici non spetta alcuna indennità.
  • Agli accompagnatori di testimoni minori degli anni quattordici o invalidi gravi spettano il rimborso spese e le indennità di cui agli articoli 45 e 46, sempre che essi stessi non siano testimoni.
  • Ai dipendenti pubblici, chiamati come testimoni per fatti inerenti al servizio, spettano il rimborso spese e le indennità di cui agli articoli 45 e 46, salva l’integrazione, sino a concorrenza dell’ordinario trattamento di missione, corrisposta dall’amministrazione di appartenenza.
L’art. 71 del TUSP prevede le indennità e le spese di viaggio spettanti ai testimoni e ai loro accompagnatori, sono corrisposte a domanda degli interessati, presentata all’autorità presso cui sono stati chiamati a testimoniare. La domanda deve essere presentata, a pena di decadenza, non oltre cento giorni dalla data della testimonianza.
Nel processo penale occorre in proposito distinguere a seconda che il teste sia citato dal PM o dal
difensore: nel primo caso ,comeprima deto,occorrerà depositare un’apposita istanza di rimborso presso la cancelleria della Procura e nel secondo caso provvederà direttamente il difensore della parte ad erogare
l’indennità al teste intimato.

Interpello del Ministero del Lavoro: Dimissione lavoratrice madre e indennità di disoccupazione



Fonte DTL Modena 

La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 6 del 5 febbraio 2013, ha risposto ad un quesito di Federalberghi, in merito alla corretta interpretazione della disposizione normativa ex art. 55, D.L.vo n. 151/2001, concernente la disciplina delle dimissioni volontarie presentate dalla lavoratrice madre nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento.
In particolare, l’istante chiede se, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 92/2012, sulla convalida delle dimissioni per un periodo pari ai primi tre anni di età del bambino, la lavoratrice madre possa fruire dell’indennità di disoccupazione per il medesimo arco temporale.

 La risposta in sintesi:

"...Alla luce delle norme in esame, si evince che la lavoratrice madre/lavoratore padre ha diritto alla percezione delle indennità – compresa quella di disoccupazione involontaria – disposte nell’ipotesi di licenziamento, esclusivamente laddove abbia presentato la richiesta di dimissioni o sia stata licenziata entro il compimento di un anno di età del figlio.
In proposito, si sottolinea che le modifiche introdotte dalla Legge n. 92/2012 all’art. 55, comma 4, richiamate nel quesito non hanno inciso in ordine al periodo di fruizione delle indennità di cui al primo comma del medesimo articolo.
Ciò in quanto, la disposizione sancita al comma 4, estendendo da un anno ai primi tre anni di vita del bambino il periodo in cui è necessario attivare la convalida della risoluzione consensuale del rapporto e delle dimissioni da parte della lavoratrice madre, ha solamente inteso rafforzare la procedura volta ad asseverare la genuinità della scelta di porre termine al rapporto di lavoro.
In definitiva, in risposta al quesito avanzato, si ritiene che l’estensione temporale dell’istituto della convalida non abbia riflessi sul diritto all’indennità erogata a seguito di dimissioni volontarie di cui al comma 1 la quale, pertanto, può essere fruita solo nel periodo in cui vige il divieto di licenziamento e cioè fino al compimento del primo anno di età del bambino.".
 

Interpello del Ministero del Lavoro:Benefici contributivi e assunzione ex dipendente



Fonte DTL Modena 

La Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 9 del 8 marzo 2013, ha risposto ad un quesito del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla disciplina delle agevolazioni contributive concesse, in presenza di determinati requisiti, al datore di lavoro che effettui nuove assunzioni. In particolare, l’istante chiede se la disposizione normativa citata possa trovare applicazione nel caso in cui la nuova assunzione riguardi ex di pendenti della medesima impresa, in possesso del requisito dello stato di disoccupazione, licenziati per diminuzione di personale ovvero che abbiano esercitato il diritto di recesso da un rapporto di lavoro part-time.

 La risposta in sintesi:

"...Ciò premesso, in relazione all’ipotesi di assunzione di ex dipendente licenziato per riduzione di personale si ritiene che, se in capo al medesimo lavoratore si siano nuovamente configurati i requisiti di legge, nessuna preclusione può applicarsi al riconoscimento per intero del beneficio. Se quindi il lavoratore perde lo stato di disoccupazione e poi lo riacquista, iniziando a maturare da zero un nuovo periodo di 24 mesi di disoccupazione, nel rispetto di ogni altra condizione prevista dalla legge, non può ostare al riconoscimento del beneficio il solo fatto che il lavoratore assunto ai sensi dell’art. 8, comma 9, L. n. 407/1990 fosse già stato alle dipendenze dello stesso datore di lavoro in un precedente rapporto agevolato. In tal caso l’agevolazione contributiva deve essere quindi riconosciuta per intero e non va, invece, contratta cumulando i periodi agevolati precedenti.
In ordine alla possibilità per il datore di lavoro di usufruire delle agevolazioni in esame nel caso in cui assuma “nuovamente, dopo alcuni mesi, un lavoratore part-time a 20 ore settimanali, precedentemente dimessosi e per il quale aveva già beneficiato delle agevolazioni medesime” , nelle 3 fattispecie realizzatesi anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 92/2012, si ritiene che il beneficio debba essere riconosciuto solo per il periodo residuo rispetto al limite massimo di fruizione dei 36 mesi, ciò in quanto non vi è stata interruzione dello stato di disoccupazione.
Si evidenzia, tuttavia, che successivamente al 18 luglio 2012, la fattispecie da ultimo prospettata non risulta più configurabile alla luce dell’intervenuta abrogazione – ad opera dell’art. 4, comma 33, lett. c), L. n. 92 – dell’art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 181/2000 nella parte in cui prevedeva la “conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgi mento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione”.
Per completezza si rappresenta che, a seguito della nuova formulazione dell’art. 4 sopra citato, la perdita dello stato di disoccupazione attualmente si verifica “ in caso di mancata presentazione senza giustificato moti vo alla convocazione del servizio competente nell’ambito delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3 del medesimo D.Lgs.”, ovvero “in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavo ro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo, ex L. n.196/1997”. La disposizione normativa citata, così come modificata, prevede inoltre “la sospensione dello stato di disoccupazione in caso di lavoro subordinato di durata inferiore a sei mesi”.