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Inquadramento dei dipendenti pubblici e deroghe alla regola del concorso

(Corte costituzionale, sentenza n. 195/2010 - Dario Immordino)

E’ illegittima la disciplina con la quale il legislatore, attraverso una sanatoria degli inquadramenti del personale, consenta l’accesso dei dipendenti a funzioni più elevate in deroga alla regola del pubblico concorso, in assenza di « peculiari ragioni giustificatrici» attinenti alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, infatti, il concorso pubblico - quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito – costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni. Si tratta di uno strumento posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa, cui è necessario fare ricorso non soltanto nelle «ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, [ma anche…] nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una “forma di reclutamento”)» Le eccezioni a tale regola - consentite dall’art. 97 Cost., purché disposte con legge - devono rispondere a «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» (sentenza n. 81 del 2006), poiché in caso contrario la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone (sentenza n. 205 del 2006). Perché sia assicurata la generalità della regola del concorso pubblico disposta dall’art. 97 Cost., l’area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso. In linea con questo indirizzo ermeneutico la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della legge della Regione Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia di personale), la quale stabilisce, in particolare, che «è fatta salva la qualifica o categoria già attribuita al personale alla data di entrata in vigore della presente legge per effetto dell’applicazione dell’articolo 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio 1996, n. 25 (Norme sulla dirigenza e sull’organizzazione regionale) e successive modifiche, purché lo stesso abbia svolto le funzioni o mansioni corrispondenti alla predetta qualifica o categoria, conferite con atto formale ed effettivamente esercitate per almeno un triennio». Si tratta di una disciplina che, in nome di proclamate finalità perequative, riconosce ad un vasto numero di dipendenti regionali (ivi compresi molti dirigenti) l’accesso ad un livello superiore di inquadramento, acquisito in base ad un procedimento di «perequazione» esclusivamente ad essi riservato, in deroga alla regola del pubblico concorso ed al di fuori delle condizioni eccezionali prescritte dalla giurisprudenza costituzionale. Attesa infatti la strumentalità della procedura concorsuale alla realizzazione degli obiettivi di imparzialità e buon andamento dell’azione pubblica, eventuali deroghe possono considerarsi legittime solo quando si rivelino funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione, e ove ricorrano «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 293 del 2009), ricollegabili alla “peculiarità delle funzioni” da svolgere e all’esigenza di consolidare “specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno”. In particolare tali esigenze, oltre ad essere ricollegabili alle peculiarità delle «funzioni» che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, devono riferirsi a specifiche necessità «funzionali» dell’amministrazione; ed essere desumibili dalle «funzioni» svolte dal personale reclutato, mentre nessuna rilevanza possono assumere l’ interesse particolare degli stessi dipendenti beneficiari della deroga o eventuali esigenze strumentali dell’amministrazione, connesse alla gestione del personale. Ciò perché, considerato che l’attività amministrativa è funzionalizzata alla soddisfazione dei bisogni della collettività e che l’efficienza e la correttezza dell’agire amministrativo non potrebbero essere assicurati in assenza di un’adeguata selezione di coloro che sono chiamati ad operare, in qualità di organi, per conto degli enti pubblici, ogni deroga alla procedura concorsuale deve trovare fondamento nella peculiare natura delle funzioni dell’amministrazione, cioè dei compiti ad essa attribuiti per soddisfare gli interessi della collettività e per la cui realizzazione i dipendenti pubblici sono reclutati. Restano assorbiti i profili di censura concernenti la carenza precettiva della disciplina impugnata, che non individua alcun criterio in base al quale realizzare i diversi inquadramenti del personale in servizio, nonché l’irragionevolezza della scelta sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e della “sanatoria” degli effetti di un provvedimento precedentemente annullato dalla giustizia amministrativa.

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