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CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 01 febbraio 2012, n. 1430

Lavoro - Lavoro subordinato - Part time - Contratti annullati - Regime contributivo agevolato - Non sussiste

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 1°.2.05 il Tribunale di Torino, in accoglimento della domanda della V. S.r.l., accertava l'insussistenza del credito contributivo preteso dall'INPS nei confronti di detta società per insufficiente versamento dei contributi relativi a 31 dipendenti assunti (nell'arco di tempo compreso fra il 1°1.96 e il 31.12.99) con contratti part time, di cui l’INPS sosteneva la nullità per vizio di forma per mancata specificazione, in essi, di mansioni e distribuzione oraria della prestazione lavorativa.

In totale riforma della pronuncia di prime cure, con sentenza depositata il 26.6.07 la Corte d'appello di Torino rigettava la domanda della società ribadendone il debito contributivo verso l’INPS, ravvisando la nullità per vizio di forma dei contratti a tempo parziale de quibus a causa dell'omessa specificazione, per iscritto, anche di mansioni e distribuzione oraria, con conseguente impossibilità di fruire del beneficio contributivo previsto dall'art. 5 co. 5° d.l. n. 726/84, convertito, con modificazioni, in legge n. 863/84.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la V. S.a.s. di G. M. A. & C. (già V. S.r.l.) affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso l’INPS.

Motivi della decisione

1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 5 co. 2° d.l. n. 726/84, anche in rapporto agli artt. 1325 e 1419 ce, per avere l'impugnata sentenza ritenuto che la sanzione della nullità per difetto di forma del contratto di lavoro part time si estenda anche all'omessa specificazione, per iscritto, di mansioni e distribuzione oraria della prestazione, atteso che ex art. 1325 n. 4 ce. la forma scritta è a pena di nullità soltanto se espressamente prevista dalla legge, mentre nel caso di specie l'art. 5 cit. prevede a pena di nullità la stipulazione per iscritto del contratto di lavoro part lime, non di ogni altra clausola ad esso inerente come, appunto, quelle relative a mansioni e distribuzione oraria, che - per altro - in alcuni contratti figura in tutto o in parte precisata; tale esegesi - prosegue la ricorrente - è avvalorata dal confronto con altre previsioni normative (come gli artt. 2125 c.c. e 21 d.lgs. n. 276/03), che individuano specificamente i requisiti la cui mancanza determina nullità del contratto, nonché dall'art. 8 co. 2° d.l. n. 61/2000 (pur successivo alla stipula dei contratti de quibus), secondo il quale non comporta nullità del contratto l'eventuale mancanza od indeterminatezza in esso delle indicazioni di cui all'art. 2 co. 2° stesso decreto (vale a dire durata della prestazione e collocazione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese o all'anno); per l'effetto - conclude la ricorrente - al più sarebbe ravvisabile un'ipotesi di nullità parziale, fermo restando il beneficio del sistema contributivo di cui all'art. 5 co. 5° cit. d.l. n. 726/84.

Il motivo è infondato.

Anche a voler prendere in considerazione quella dottrina che suggerisce di limitare la prescrizione della forma scritta, nei contratti solenni, alle sole clausole essenziali e non anche a quelle relative ad elementi accessori (in senso contrario v., però, Cass. 23.5.62 n. 1197; v. altresì, circa l'estensione della forma vincolata anche a patti successivi che modifichino una clausola del contratto solenne, Cass. 24.11.80 n. 6231; Cass. n. 4017/78; Cass. n. 1573/71; Cass. 15.7.63 n. 1913), nondimeno nel caso di specie resterebbe il rilievo ostativo che la distribuzione oraria (in relazione al giorno, alla settimana, al mese o a periodi più lunghi) integra il nucleo stesso del contratto a tempo parziale e la ragion d'essere della particolare garanzia costituita dall'imposizione della forma scritta, per evitare che il datore di lavoro, avvalendosi d'una carente o generica pattuizione scritta sulla distribuzione dell'orario, possa modificarla a proprio piacimento a fini di indebita pressione sul lavoratore.

Si noti che tale interpretazione non va in contrario avviso rispetto ai precedenti di Cass. 12.10.2010 n. 20989 e a Cass. 26.5.2000 n. 6903: in essi questa S.C. si è limitata a ritenere sufficiente che la precisazione della riduzione quantitativa della prestazione di lavoro e la sua distribuzione per ciascun giorno (ed. pari lime orizzontale) o con riferimento a settimana, mese od anno (ed. pari (ime verticale), ancorché non contenuta nel contratto individuale, si desuma comunque dal rinvio alle tipologie contrattuali previste in sede collettiva, mentre nella vicenda in oggetto neppure si allega l'esistenza di siffatto rinvio.

Ancora diverso è il caso affrontato da Cass. 10.3.06 n. 5330, concernente la questione dell'applicabilità dell'art. 1419 co. 1° ce. in ipotesi di nullità della clausola sul tempo parziale.

Né a sostegno della doglianza in esame vale il richiamo - che si legge in ricorso -agli artt. 2125 ce. e 21 d.lgs. n. 276/03 oppure all'art. 8 co. 2° d.lgs. n. 61/2000 (successivo ai contratti per cui è causa), noto essendo che talvolta la legge impone il vincolo della forma scritta ad una singola clausola, altre volte lo specifica in relazione all'intero contratto. In particolare, del tutto neutra ai fini che ne occupa è la valenza del cit. art. 8 co. 2° d.lgs. n. 61/2000, che esclude la nullità del contratto per eventuale mancanza od indeterminatezza in esso delle indicazioni di cui all'art. 2 co. 2° stesso decreto (cioè durata della prestazione e collocazione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese o all'anno): infatti, non essendo di interpretazione autentica, la disposizione non è retroattiva e può tanto considerarsi come argomento a favore dell'esegesi proposta dalla ricorrente, quanto - al contrario - dimostrare che solo ove il legislatore abbia distinto le singole clausole si può ammettere un vincolo non totale della forma scritta, diversamente esteso ad ogni pattuizione del contratto solenne.

In ordine, poi, all'assunto secondo cui fra i contratti de quibus alcuni recherebbero la specifica indicazione (in tutto o in parte) della distribuzione oraria, basti osservare, da un lato, che comunque in essi resterebbe carente la forma scritta relativamente alle mansioni e che, dall'altro, si tratta di motivo neppure autosufficiente perché non reca la trascrizione integrale dei relativi testi né ne indica l'esatta sede processuale.

Infine, quanto all'ipotizzata nullità parziale, la stessa non potrebbe mai determinare il mantenimento del beneficio contributivo di cui all'art. 5 co. 5° cit. d.l. n. 726/84, derivante proprio dalla parte del contratto affetta da nullità.

2- Con il secondo motivo - fatto valere in subordine - si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 5 co. 5° cit. d.l. n. 726/84, atteso che ad avviso della ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto riconoscere, anche in ipotesi di nullità dei contratti di lavoro pan time per difetto di forma scritta, l'applicabilità del beneficio contributivo, considerato che la regola di cui all'art. 2126 c.c. - secondo la quale la nullità del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il relativo rapporto ha avuto esecuzione - investe anche il profilo contributivo (come asserito da Cass. n. 14692/99, contraria al successivo arrèt di Cass. S.U. n. 12269/04).

Il motivo è infondato.

In proposito la giurisprudenza si è ormai da tempo consolidata a seguito dell'intervento delle S.U. di questa S.C., che con sentenza 5.7.04 n. 12269 (e successive conformi: v. Cass. 7.1.09 n. 52, Cass. 5.5.08 n. 11011 e Cass. 24.8.04 n. 16670) ha statuito che al contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo per difetto di forma, non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale prevista dall'art. 5 co. 5° d.l. n. 726/84, convertito in legge n. 863/84, ma deve invece applicarsi il regime ordinario di contribuzione prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile e così anche la disciplina di cui all'art. 1 d.l. n. 338/89, convertito in legge n. 389/89.

Infatti, deve tenersi conto, da un lato, del rilievo che il sistema contributivo regolato dal predetto art. 5 è applicabile, come da tenore letterale della norma, solo in presenza di tutti i presupposti previsti dai precedenti commi ed è condizionato, in particolare, dall'osservanza dei prescritti requisiti formali; dall'altro, sarebbe irrazionale un sistema che imponesse, per esigenze solidaristiche, a soggetti rispettosi della legge l'osservanza del principio del minimale, con l'applicazione ad essi di criteri contributivi da parametrare su retribuzioni anche superiori a quelle in concreto corrisposte al lavoratore, e - nel contempo - esentasse da tali vincoli quanti, nello stipulare il contratto di lavoro pari lime, abbiano mostrato, col sottrarsi alle prescrizioni di legge, di ricorrere a tale contratto per perseguire finalità non istituzionali, così agevolando forme di lavoro irregolare.

A tale indirizzo interpretativo va data continuità rispetto all'isolato (e ormai risalente) precedente invocato in ricorso.

3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori come per legge.

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