La Legge n.92/12  al comma  42 dell'art.1     interviene  sul  testo originario dell'art.18 della legge n.300  con particolare   riferimento alla rubrica ed ai commi da 1 a 6 dello stesso.,che ,pertanto ,a seguito di tali  variazioni  ,risulta essere così formulato   ,sottolineanmdo chje  le modifiche sono riportate in rosso e in grassetto:

"Art. 18.

Reintegrazione nel posto di lavoro.«Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo»

1.Ferme restando l'esperibilità delle procedure previste dall'articolo 7 della legge 15 luglio1966, n. 604, il giudice con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensidell'articolo 2 della predetta legge o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa ogiustificato motivo, ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina aldatore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento,filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue  dipendenze più di quindici prestatori di lavoro o più di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro.

2.Tali disposizioni si applicano altresì ai datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che nell'ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.

3.Ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui primo comma si tiene contoanche dei lavoratori assunti con contratto di formazione e lavoro, dei lavoratori assunti concontratto a tempo indeterminato parziale, per la quota di orario effettivamente svolto,tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge edi parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

4.Il computo dei limiti occupazionali di cui al secondo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie.

5.Il giudice con la sentenza di cui al primo comma condanna il datore di lavoro al

risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertatal'inefficacia o l'invalidità stabilendo un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momentodell'effettiva reintegrazione; in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione globale di fatto.

6.Fermo restando il diritto al risarcimento del danno così come previsto al quarto comma, alprestatore di lavoro è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione dellareintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità di retribuzioneglobale di fatto. Qualora il lavoratore entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito deldatore di lavoro non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza il pagamento dell'indennità di cui al presentecomma, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei termini predetti.

«Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subìto dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma. Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo. Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo. Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti. Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo»

7.La sentenza pronunciata nel giudizio di cui al primo comma è provvisoriamente esecutiva.

8-Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta dellavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

9. L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

10.L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

11.Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non

ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui al quarto "all'undicesimo "comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una omma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore."

Come si evince dalla lettura del nuovo testo dell'art.18 ,  la novita'principale  è costituita dal fatto che non c'è piu' ,come nel vecchio testo,un'unica  sanzione in caso di liucenziamento intimato in violazione delle limitazione fissate dalla legge,cioè la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno in misura pari alle mensilita'  spettanti dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione,con un minimo di cinque.

Infatti ,la  legge di riforma,prevede una graduazione delle sanzioni ,in relazione alla gravita' dei vizi del licenziamento ,pertanto in cosa consistono i cambiamenti per i licenziamenti  individuale

 Aziende con piu' di 15 dipendenti e sino a 15 dipendenti

Prima del 18 luglio 2012,l'art. 18 obbligava i datori di lavoro con più di 15 dipendenti,  in caso di sentenza dichiarante il    licenziamento illegittimo , disponeva  di  reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro e a risarcire il danno con almeno 5 mensilita'.

Se  le aziende invece avevano  sino a   15 dipendenti, il lavoratore illegittimamente licenziato ,al posto della riassunzione ,poteva chiedere solo il  risarcimento del danno.

Dal 18 luglio 2012  ,, le cose cambiano  nel modo di seguito specificasto ,sottolineandoin particolare  che la norma più  contestata interessa l'abolizione del reintegro automatico e la sua sostituzione  in alcuni casi con un semplice risarcimento economico.

Prima di tutto ,occorre tener conto che possiamo trovarci di fronte  a  tre diverse tipologie di licenziamento,vale a dire "discriminatorio",economico" e "disciplinare" ed esaminarle distintamente per accertare coisa cambia rispetto a prima della predetta data

 1.Licenziamenti discriminatori  

E' ritenuto  "discriminatorio" il licenziamento determinato da   ragioni di credo, politica, fede,  discriminazione razziale lingua o sesso.

Rispetto a tale licenziamento,è    subito da riconoscere che in realta'   questa tipologia  non registra  sostanziali modifiche  perr la disciplina  applicata  ,nel senso che    questo licenziamento  viene sempre  dichiarato  illegittimo e viene   disposto  il  reintegro in azienda .

PRIMA

 L'art. 18 condannava il datore di  lavoro (con qualsiasi numero di dipendenti) alla riassunzione del dipendente, al  risarcimento di un minimo di 5 mensilità e al versamento dei contributi  arretrati.

DOPO

 Se  il giudice  annulli il licenziamento , in più, al lavoratore  è consentito  di scegliere  ,al posto del reintegro, per un eventuale indennizzo da  parte del datore di lavoro ,commisurata all'ultima  retribuzione percepita dal momento del licenziamento fino all'effettivo  reintegro sul posto di lavoro.,in misura massima di 15 mensilita'

Ferma restando l'applicazione della   procedura  di cui   all'art. 7 della  legge 300/1970,   cambiano i criteri  discrezionali dei giudici chiamati a decidere in merito alle tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo  soggettivo.

PRIMA

  Evidenziato che  definiscesi    "disciplinare" il licenziamento   determinato da condotte gravi del lavoratore che fanno ritenere  leso   il  rapporto di fiducia con il datore di lavoro  , il licenziamento  doveva avvenire:

- per giusta causa, ossia  per condotte  particolarmente gravi e tali da restare pregiudicano il rapporto di fiducia tra azienda e  lavoratore (es. furto,)

- per giustificato  motivo soggettivo, ossia per condotte  gravi  che rendono  difficile la prosecuzione del rapporto di lavoro (es. violazioni  disciplinari).

Laddove dal giudice si reputasse   non  sussistente  la giusta causa o il  giustificato motivo dichiarava illegittimo il licenziamento  in base all'articolo 18 ,disponendo   la reintegrazione  nel  posto di  lavoro.

DOPO

 Restano identici i requisiti  , ma  spetta al  Giudice  decidere sul  reintegro e/o risarcimento ,basandosi  sulla previsione   sia della legge(come era gia' prima)  ,che dei contratti  collettivi

Pertanto dopo la riforma  si riscontra una riduzione nella discrezionalita' del giudice   circa la  scelta del reintegro,assumendo maggior peso   le tipizzazioni contrattuali che,  prima della riforma del lavoro, avevano un valore esclusivamente esemplificativo  e non esaustivo ai fini di individuare condotte disciplinari da sanzionare con  il licenziamento.

La riforma  ,  una volta accertata l'inesistenza del giustificato motivo  soggettivo del licenziamento, stabilisce la risoluzione del contratto ,  obbligando  il datore di lavoro a versare un'indennità tra 15 e 24  mensilità. Inoltre nel caso in cui il giudice accerti che  il fatto contestato non sia stato commesso,  dispone il reintegro  c on un'indennita' a  favore del lavoratore pari a quanto dovutogli dal momento in cui è stato  licenziato.

3.Licenziamenti  economici

Dicesi economico il licenziamento  ,che non    dipende dalla condotta del lavoratore ,ma da "ragioni inerenti all'attività  produttiva" (es. crisi aziendali, outsourcing, chiusura dell'attività ecc.).

  Il nuovo  testo dell'art.18 riduce   i casi di reintegro sul  posto di lavoro  per il  licenziamento economico, conferendo  maggiore potere alle capacità d'indennizzo da parte  dell'azienda,restando previsto che  per questi  licenziamenti  , il reintegro  si applica  soltanto  per  "manifesta insussistenza ".

PRIMA

    Anche in questo caso l'insussistenza del requisito valido faceva  scattare il reintegro.

DOPO

  Se si accerta da parte del Giudice che non  ricorrono gli estremi del "giustificato motivo  oggettivo",qiuersti  non è più tenuto a riconoscere il diritto  al reintegro, ma può ordinare  esclusivamente  il risarcimento al lavoratore con un 'indennita' da 15 a 24  mensilità

Il reintegro del lavoratore sul proprio posto di lavoro  interviene  soltanto nel caso in cui la decisione del datore  appaia manifestatamente infondata  (esempio :   il datore di lavoro licenzia il dipendente per  motivi economici, quando in realtà questi non sussistono).

Inoltre  per i licenziamenti economici  risulta introdotta un nuova procedura di conciliazione  preventiva obbligatoria per le aziende soggette all' art 18 .

Infatti, le stesse   qualora  vogliano  intimare un licenziamento economico,lo stesso    deve essere preceduto da una  comunicazione  alla Direzione territoriale del Lavoro con  cui   si comunica l'intenzione di  procedere al  licenziamento per motivo oggettivo (economico),  indicando i relativi   motivi ed illustrando   eventuali misure di ricollocazione.

 Ricevutaetta comunicazione  , la  Dtl convoca entrambe le parti  entro  sette giorni dall'invio dellasuddetta  e nel corso della riunione ,  alla presenza delle rispettive assistenze legali e/0 sindacali,  si esaminano le soluzioni alternative al licenziamento.  Tutta  la procedura si conclude in un periodo di 20 giorni dalla data  d'invio della convocazione da parte della  Dtl, la quale può essere prorogata per legittimo impedimento del lavoratore  per  un massimo di 15 giorni