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Lavoro a chiamata: cos'è, come e quando poterlo utilizzare - di Bruno Olivieri

A seguito dell’abolizione del “lavoro accessorio” retribuito attraverso il sistema dei c.d. “voucher” abbiamo sentito sempre più parlare di lavoro a chiamata come uno degli strumenti alternativi per l’impiego di lavoratori nelle “attività discontinue”.

Introdotto dal D.lgs 276/2003 (Legge Biagi) e modificato prima dalla Legge 92/2012 e per ultimo dal D,Lgs 81/2015, il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata) si configura come una tipologia contrattuale “flessibile” con il quale il lavoratore si mette a disposizione di un datore di lavoro che può utilizzarne la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente per tutto il periodo di durata del rapporto lavorativo.

Trattasi di un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti, stipulabile a tempo determinato o indeterminato, i cui effetti normativi ed economici si realizzano solo all’atto dell’effettiva chiamata del lavoratore e, quindi, dell’espletamento della prestazione lavorativa.

Il contratto intermittente può essere stipulato con la previsione o meno di un’indennità di disponibilità, ovvero una somma di natura non obbligatoria erogata nei c.d. “periodi di inattività” e che, se prevista, rafforza il vincolo tra datore di lavoro e lavoratore che è tenuto a rispondere alla chiamata.

Il ricorso al rapporto di lavoro intermittente è ammesso in relazione a specifici requisiti oggettivi e soggettivi stabiliti dalla vigente normativa e che in alcuni settori (esempio Turismo) sono derogati a fronte di esigenze individuate dai contratti collettivi (prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno).

Ai sensi di quanto disposto dall’art 13 del D.lgs 81/2015 il lavoro a chiamata può essere utilizzato per:
  • Impiego di lavoratori con meno di 24 anni di età, “purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno”, e con più di 55 anni; 
  • Una prestazione lavorativa, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari, pena la trasformazione in rapporto a tempo pieno e indeterminato in caso di superamento dei suddetti limiti. 
E’ importante ribadire che , nelle more delle particolarità che lo caratterizzano, il rapporto di lavoro a chiamata si qualifica, per gli effetti normativi ed economici che ne scaturiscono, come un qualsiasi altro tipo rapporto di lavoro subordinato garantendo al lavoratore il riconoscimento dei medesimi diritti e doveri di un qualsiasi altro lavoratore subordinato di pari livello; lo stesso discorso vale per le ferie e per i trattamenti di malattia, infortunio, congedo di maternità e parentale.

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