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Divieto di licenziamento. Una separazione che "non s'ha da fare"


 


di Bruno Olivieri (Consulente del Lavoro in Pescara)

Il divieto dei licenziamenti, una disposizione che probabilmente nasce con una finalità benevola, quella di tutelare i lavoratori e garantire un'incontrollata cessazione dei rapporti di lavoro nel pieno dell'emergenza sanitaria; una disposizione che, come quando mangi troppi gelati, finisce per farti venire il mal di pancia.

              Un "fiore" sorto dall'art. 46 del Decreto 18/2020 (Cura Italia), una disposizione con cui viene preclusa fino al 17/05/2020 la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal rapporto per giustificato motivo oggettivo e nel medesimo periodo sospendendo le procedure  pendenti  avviate  successivamente alla data del 23 febbraio 2020.

              Un "divieto" di 60 giorni  che si affianca alle forme di sostegno alle imprese come la cassa integrazione (seppur nelle sue molteplici "complicanze e fragilità operative"), congedi parentali, smart working e che quindi tutto sommato trova un fondamento nella propria legittima "imposizione".

              Con il dichiarato intento di salvaguardare i livelli occupazionali il Decreto 34/2020 (Decreto Rilancio)  interviene sull’articolo 46 del decreto Cura Italia sostituendo nel comma 1, le parole: “60 giorni” con “cinque mesi” prorogando di fatto il divieto fino al 17 agosto 2020.

              E' da questo passaggio normativo che "i gelati mangiati" iniziano ad esser troppi con il rischio di un mal di pancia. Questo perchè il divieto suddetto comincia a sfumare la sua essenza di tutela vestendosi di imposizione super partes e prevaricando, di fatto, il potere riconosciuto al datore di lavoro e calpestando (incostituzionalmente) la libertà dell'imprenditore di organizzare liberamente la propria attività economica.

              Decreto 104/2020 (Decreto Agosto). Arriva il mal di pancia!

Il dolore è duplicemente dato da un divieto che di fatto si prolunga ancora e da una data di scadenza che sembra una caccia al tesoro nell'interpretazione dell'art. 14. Ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale (per un periodo di altre 18 settimane dal 13 luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2020) ovvero dell'esonero dal versamento dei contributi previdenziali al'ternativo alla cassa integrazione "resta precluso l'avvio delle procedure di  cui  agli articoli 4, 5 e 24 della legge 23  luglio  1991,  n.  223 e dell'articolo 3 della  legge  15  luglio  1966,  n.  604".

              Sostanzialmente la scadenza del divieto di licenziamento si lega ad una battaglia navale di incroci di date che dipendono, appunto, dalla potenziale data di termine della cassa integrazione/esonero contributivo o in ogni caso bloccando la possibilità di licenziare per GMO fino al 31/12/2020.

              È la nuova lotta di “aquile contro elefanti” che sta caratterizzando un vero “senso di non-senso” tra tutte le disposizioni per fronteggiare la crisi economica da covid19.  Un divieto “dispotico” che finirà presto sul banco degli imputati dove si scontreranno “aquile” che simboleggiano flessibilità e libertà (quella che chiedono le aziende nel loro diritto di essere imprenditori) contro “elefanti” che per loro natura, e non me ne voglia nessuno, rappresentano lentezza e rigidità (quello che il Legislatore avrebbe dovuto evitare).

               Un divieto che finirà la sua corsa di fronte una valutazione di legittimità per garantire all’imprenditoria virtuosa il diritto all’autonomia organizzativa? Probabilmente sarà così (spero!)

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