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Il mutamento delle mansioni

Al datore di lavoro compete, come esplicazione del potere direttivo, il c.d. ius variandi. Questo consiste nel diritto del datore di adibire il lavoratore alle mansioni che, di volta in volta, risultano più aderenti alle concrete e mutevoli esigenze organizzative e produttive dell’azienda. Tale potere, tuttavia, può essere esercitato entro limiti inderogabili sanciti dalla legge. L’art. 2103 c.c., così come novellato, in chiave garantista, dal c.d. “Statuto dei lavoratori” (la legge n . 300/1970), prevede che il lavoratore possa essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquistato o a quelle equivalenti, sotto il profilo professionale, alle ultime effettivamente svolte (c.d. “mobilità orizzontale”), senza alcuna diminuzione della retribuzione. Il divieto di “mobilità verso il basso”, ossia di assegnare al lavoratore mansioni inferiori, viene meno solo nei rari casi di deroga previsti tassativamente dalla legge, tra i quali spiccano le esigenze straordinarie sopravvenute o le norme poste a tutela della salute della madre e del nascituro.

Per quanto concerne l’attribuzione di mansioni superiori (c.d. “mobilità verticale”), fermo restando il diritto del lavoratore a percepire il corrispondete aumento della restribuzione, l’assegnazione diviene definitiva (c.d. “promozione automatica”) quando supera i termini fissati dai contratti collettivi nazionali, i quali, comunque, non possono prevedere sul punto termini superiori ai tre mesi.

La nullità di ogni patto contrario a quanto stabilito dall’art. 2103 c.c., secondo quanto precisato orami da tempo dalla Suprema Corte (cfr. Cass. Civ. sentenza n. 266 del 12/01/1984), deve interpretarsi come un divieto di pattuire condizioni peggiorative della situazione, complessivamente considerata, del lavoratore, e non anche del datore di lavoro: è una delle tante manifestazioni del carattere prevalentemente garantista del nostro diritto del lavoro. In applicazione di detto principio, sono stati reputati legittimi i patti contrari stipulati nell'interesse del lavoratore al fine di garantirgli la conservazione dell'occupazione.

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