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Come si determina il contratto collettivo di lavoro applicabile, nel caso in cui il datore di lavoro non sia iscritto a nessuna associazione imprendit


Da qualche tempo sembra essere più diffuso il fenomeno del datore di lavoro non iscritto ad alcuna associazione imprenditoriale. Questa scelta è spesso dettata da motivi pratici più che ideologici, poiché la non iscrizione comporta la inapplicabilità dei contratti collettivi nazionali di lavoro, che sono ordinari contratti di diritto privato e, come tali, si applicano solamente alle parti stipulanti e ai soggetti da esse rappresentati.

Nel caso in cui il datore di lavoro, pur non essendo iscritto ad alcuna associazione imprenditoriale, abbia di fatto applicato il contratto collettivo nazionale di lavoro, i lavoratori avranno diritto alla applicazione di tale contratto. Tuttavia, al di fuori di questo caso, se il datore di lavoro non è iscritto alle associazioni imprenditoriali, il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge, e i lavoratori non potranno invocare alcuna normativa contrattuale.

In realtà, il quadro è meno fosco di quanto possa sembrare perché il datore di lavoro è sempre tenuto a garantire ai propri dipendenti una retribuzione sufficiente e proporzionata alla qualità e quantità del lavoro, secondo quanto disposto dall’art. 36 Cost.. La giurisprudenza interpreta questo precetto costituzionale nel senso che la retribuzione deve essere considerata sufficiente e proporzionata se sia pari a quella indicata nei contratti collettivi di lavoro che, dunque, almeno sotto il profilo retributivo, devono essere sempre applicati dal datore di lavoro.

Con la sentenza n. 3218 del 26/3/98, la Corte di cassazione ha chiarito che, in un caso come quello di cui si parla, il datore di lavoro non può liberamente scegliere il contratto collettivo che più lo aggrada. In quel caso, il datore di lavoro, non iscritto ad associazioni imprenditoriali, invece di applicare le retribuzioni previste dal contratto nazionale, aveva fatto riferimento alle inferiori tabelle retributive del contratto provinciale, asserendo che queste erano più rispondenti alle condizioni di vita locali e, dunque, rispettose del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione ex art. 36 Cost.. Questa argomentazione è stata respinta dalla Corte di cassazione: infatti, è stato ritenuto che la inferiore retribuzione prevista da un contratto provinciale non è di per sé rispettosa del precetto costituzionale in considerazione delle condizioni del mercato locale. Tuttavia, con un’argomentazione non altrettanto condivisibile, è stato anche ritenuto che, in astratto, la contrattazione locale potrebbe prevedere una retribuzione inferiore a quella indicata dalla contrattazione nazionale, senza violare il precetto di proporzionalità e sufficienza della retribuzione: spetta di volta in volta al giudice accertare se l’inferiore retribuzione prevista a livello locale sia o non sia conforme al precetto costituzionale.

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