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l lavoratore illegittimamente licenziato può essere reintegrato in una diversa unità produttiva?


Come è noto, accertata l'illegittimità di un licenziamento intimato da un datore di lavoro che occupi più di 15 dipendenti presso ciascuna sede o stabilimento, ovvero più di sessanta lavoratori complessivamente, il Giudice deve ordinare la reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro. Talvolta però accade che il datore di lavoro, dopo aver subito questa condanna, di fatto la aggiri, reintegrando il lavoratore in una posizione differente da quella occupata prima del licenziamento; talvolta, la reintegrazione avviene addirittura presso una diversa unità produttiva. Come si diceva, in questo modo l'ordine di reintegrazione viene adempiuto solo parzialmente e, nella sostanza, viene disatteso, dal momento che, a seguito di un licenziamento ingiustificato, sarebbe necessario ricostituire la situazione così come era prima dell'atto illegittimo. Al contrario, la reintegrazione del lavoratore in una posizione diversa è inidonea a rimuovere tutti gli effetti lesivi del licenziamento annullato dal Giudice.

Un'ipotesi simile a quella di cui si è appena detto si era verificata nel caso esaminato dalla sentenza n. 3248, pronunciata dalla Corte di cassazione in data 3/4/99. Infatti, in quel caso, il datore di lavoro, dopo essere stato condannato a reintegrare il lavoratore illegittimamente licenziato, aveva provveduto a riammettere in servizio il lavoratore in questione in una diversa posizione lavorativa e, addirittura, in un diverso luogo di lavoro. Questo comportamento è stato ritenuto illegittimo dalla sentenza citata. Infatti, la Corte ha ritenuto che l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, emanato dal giudice per sanzionare un licenziamento illegittimo, esige che il lavoratore sia, in ogni caso, ricollocato nel posto occupato prima del licenziamento. Solo dopo questa effettiva reintegrazione, il datore di lavoro ha la facoltà - eventualmente - di trasferire lo stesso lavoratore, ovviamente nel rispetto dei limiti imposti dall'art. 2103 c.c. che, in particolare, consente al datore di lavoro di trasferire un proprio dipendente da una sede ad un'altra solo in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive: in altre parole, il trasferimento è legittimo a condizione che il lavoratore non sia più utilizzabile nella sede di provenienza e sia invece indispensabile in quella di destinazione.

La Suprema Corte ha chiarito che la regola sopra enunciata si giustifica anche in considerazione della scelta, operata dal legislatore, di tutelare la posizione del lavoratore illegittimamente licenziato nella sua effettività, ovvero avendo riguardo della sua professionalità ma anche della sua vita sociale e familiare: evidentemente, tutto questo sarebbe pregiudicato se il lavoratore illegittimamente licenziato non fosse reintegrato nel medesimo posto di lavoro. Naturalmente, la tutela offerta dal legislatore contro un simile pregiudizio varrebbe anche qualora il posto di lavoro in questione fosse stato nel frattempo assegnato ad un altro lavoratore: in altre parole, una simile eventualità sarebbe irrilevante e non assolverebbe il datore di lavoro dall'obbligo di reintegrare il lavoratore nella posizione lavorativa ricoperta prima di essere illegittimamente licenziato.

1 commento:

Anonimo ha detto...

E se fosse il lavoratore a richiedere un diverso luogo di lavoro?
Ci sono casi in cui questo è possibile? Se si quali?
Ad esempio se nel corso della sentenza il lavoratore si fosse trasferito in una nuova città e si fosse sposato?