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LA DIFESA NEL PROCEDIMENTO SANZIONATORIO DEL LAVORO



La difesa nel procedimento sanzionatorio del lavoro

a cura del dott. Carmine Santoro

La presentazione di scritti difensivi e la produzione di documenti

A norma dell’art. 18, comma 1, della legge 689 : “Entro il termine di trenta giorni dalla data della contestazione o notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all'autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell'art. 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità.”
Gli scritti difensivi costituiscono il primo strumento di difesa a disposizione del datore di lavoro sottoposto ad un accertamento ispettivo. Essi non sono un mezzo d’impugnazione amministrativo perché oggetto degli scritti non è un provvedimento, bensì un atto procedimentale: il verbale di contestazione/notifica degli illeciti accertati dal personale ispettivo. Inoltre, la legge non impone all’autorità amministrativa di adottare una decisione specificamente orientata al contenuto delle deduzioni, secondo il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato vigente per i ricorsi amministrativi. La Direzione Provinciale del lavoro, che rappresenta l’Autorità deputata a decidere sulla fondatezza dell’accertamento a norma dell’art. 18 comma 2 della legge 689, è vincolata in maniera circoscritta al contenuto degli scritti in parola, perché nulla impedisce all’organo decidente di scegliere la strada dell’archiviazione, valutando l’accertamento come infondato ex art. 18, comma 2, L. 689, pur a prescindere da quanto dedotto dalla parte privata. In tal senso, la giurisprudenza ammette pacificamente che l’amministrazione possa adottare la sanzione senza replicare puntualmente al contenuto delle scritture private. Allora, gli scritti possono considerarsi atti ad iniziativa di parte diretti ad assicurare il contraddittorio procedimentale, nell’ottica del principio del giusto procedimento, quel procedimento cioè che tenga conto, ai fini della decisione finale, del punto di vista del privato interessato.
In virtù di quanto sopra, può dirsi che se l’autorità è obbligata ad esaminare le memorie private dandone conto in motivazione, d’altronde il privato, destinatario di una contestazione/notifica di violazione amministrativa ai sensi dell’art. 14 della legge 689, può anche rimanere inerte, in attesa dell’eventuale emissione del provvedimento finale dell’ordinanza-ingiunzione, senza che si produca alcuna conseguenza pregiudizievole nei suoi confronti. Un vero onere di impugnare sorge, quindi solo avverso l’atto che ingiunge le sanzioni – l’Ordinanza ingiunzione- poiché altrimenti l’interessato resta esposto alla procedura dell’esecuzione forzata, costituendo lo stesso atto titolo esecutivo.
Da altro versante, la presentazione degli scritti in parola non può nemmeno essere considerata un’istanza di riesame alla P.A., poiché quest’ultima può essere diretta solo avverso l’atto definitivo dell’Ordinanza, ed inoltre essa non vincola l’autorità, la quale resta libera di non prenderla in considerazione, mentre la presentazione degli scritti ex art. 18 cit. impone all’autorità un obbligo di scrutinio e valutazione del loro contenuto, pena la possibile illegittimità dell’ordinanza ingiunzione.
Il privato ha anche facoltà di produrre documenti che si riferiscano all’oggetto dell’accertamento. Non è però prevista un’attività di istruzione probatoria, rientrando nella discrezionalità dell’amministrazione assumere ulteriori informazioni sui fatti, anche tramite testimoni.
Sul piano procedurale, gli scritti possono essere presentati entro trenta giorni dalla contestazione o dalla notificazione. In merito, va in primo luogo specificato che il Legislatore ha adottato la regola delle ricezione (“gli interessati possono far pervenire all'autorità..”) e non quella della spedizione, con la conseguenza che ai fini del rispetto del termine fa fede la data di effettivo arrivo delle memorie alla Direzione provinciale del lavoro competente, e non quella della spedizione. Secondo la consolidata elaborazione giurisprudenziale, nonostante il silenzio normativo, detto termine è da ritenersi perentorio, e pertanto la presentazione intempestiva autorizza l’amministrazione procedente a prescindere dalle doglianze del trasgressore, senza alcuna conseguenza sulla legittimità dei successivi atti procedimentali. Sulle conseguenze della mancata valutazione, da parte dell’autorità competente, degli scritti difensivi prodotti la giurisprudenza è oscillante: un orientamento ritiene irrilevante il vizio di motivazione dell’ordinanza per mancata considerazione delle memorie, mentre l’indirizzo prevalente afferma l’illegittimità provvedimento irrogativo della sanzione, semprechè le deduzioni prospettino fondate questioni di diritto o elementi di fatto decisivi. L’inadeguata considerazione delle argomentazioni di parte potrà viziare la decisione sull’opposizione per errore di diritto o, rispettivamente, per vizio di motivazione.


L’audizione

Il destinatario del verbale di contestazione- o di notifica- ha facoltà di presentare, entro trenta giorni dal ricevimento dell’atto, richiesta di essere sentito personalmente dall’autorità competente a ricevere il rapporto di cui all’art. 17. Tale facoltà può essere esercitata in alternativa, o in aggiunta, a quella della produzione degli scritti difensivi, purchè entro il termine previsto. Oltre che tempestiva, la richiesta deve essere incondizionata ed inequivoca, non cioè deve contenere limiti, condizioni o formule dubitative, come ad es. subordinare l’istanza all’eventuale necessità di chiarimenti da parte dell’amministrazione; ove le memorie riportino tali formule, l’autorità procedente avrebbe facoltà di prescindere dalla richiesta e non disporre l’audizione, senza che si produca alcuna conseguenza sulla legittimità della sanzione irrogata.
A fronte di tale facoltà, c’è l’obbligo della P.A. di ascoltare le ragioni del richiedente, a tutela del diritto di partecipazione e difesa procedimentale del privato, ed in omaggio al principio del giusto procedimento. Anche con riguardo a questa forma di partecipazione-tutela la legge non specifica le modalità di espletamento, né risultano documenti di prassi ministeriale in argomento, per cui deve ritenersi che l’autorità goda di una certa discrezionalità nello scegliere i tempi della convocazione, nel rispetto, beninteso, del termine prescrizionale di cui all’art. 28 della legge 689, e nel concentrare, o meno, l’audizione in una sola seduta. Nella prassi l’interessato viene invitato ad esporre le sue ragioni, delle quali è redatto verbale, che è consegnato in copia al richiedente. E’ consentita la comparizione del professionista di fiducia, appositamente delegato, in rappresentanza o in assistenza all’interessato. Si ritiene che il richiedente possa addurre un legittimo impedimento a presenziare, che tuttavia per vincolare l’amministrazione a rinviare la seduta deve essere adeguatamente dimostrato, ad es. con certificato medico. Viceversa, l’impegno lavorativo non costituisce causa giustificativa della mancata comparizione, atteso che esso è condizione del tutto normale dell’individuo.
Lo scopo dell’audizione è quello di consentire al presunto trasgressore di esporre di persona i propri motivi, in modo tale da rendere, attraverso il contatto diretto con i funzionari chiamati a decidere sul caso, più efficace la strategia difensiva. In virtù di ciò, la giurisprudenza è tradizionalmente rigida nel trarre le conseguenze dell’omessa audizione sulla successiva ordinanza d’ingiunzione: la mancata audizione produce un vizio procedimentale, lesivo del diritto di difesa del richiedente nella fase amministrativa, con conseguente illegittimità dell’ordinanza ingiunzione emessa al termine del procedimento. Ed invero, la convocazione degli interessati costituisce, si è notato, obbligo dell’amministrazione in quanto posta a tutela dei diritti di difesa degli stessi, ma anche della possibile definizione della questione in sede amministrativa in funzione deflativa del contenzioso giurisdizionale.
Registrato siffatto indirizzo pretorio, bisogna, nondimeno, registrare un recente intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Cass., sez. un., 28 gennaio 2010, n. 1786),che ha ritenuto irrilevante l’omessa audizione rispetto alla sorte del provvedimento sanzionatorio. In particolare, la Suprema Corte, dopo aver esposto i vari indirizzi, ha affermato che si rivela decisiva l’individuazione della natura del giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative di cui agli artt. 22 e 23 della l. n. 689/1981. In un quadro generale nel quale la Corte ha affermato che il diritto di difesa non è leso se le argomentazioni del privato non sono state adeguatamente considerate dall’amministrazione ben potendo esse essere riproposte innanzi al giudice, il giudice supremo ha anche superato il consolidato orientamento pretorio sopra esposto sull’ipotesi di omessa audizione dell’interessato. In virtù di tale presa di posizione, l’autorità non solo non è più vincolata a prendere in considerazione gli argomenti dell’accusato, ma addirittura può prescindere tout court dall’audizione del medesimo. Va rammentato, in proposito, che la Direzione del lavoro dispone comunque, sino al decorso del termine prescrizionale di cui all’art. 28 della legge 689/81, del potere di emettere nuova ordinanza, emendata degli eventuali vizi. Sicchè l’eventuale annullamento giurisdizionale dell’atto, fondato esclusivamente sull’omessa audizione, costituirebbe per l’opponente un’inutile “vittoria di Pirro”. In sostanza, può succedere che all’accoglimento dell’opposizione per l’omessa audizione, segua una nuova istruttoria amministrativa, con convocazione della parte, e nuova ordinanza ingiunzione con ulteriore opposizione giudiziale. In tal caso, ognuno è in grado di notare la superfluità di tale riedizione del potere sanzionatorio, con l’annesso dispendio di risorse e tempo. In questa direzione conduce anche la natura del rito speciale contemplato dall’art. 23 della legge 689, di giudizio non solo sull’atto, ma sull’intero rapporto tra P.A. e privato. Invero, la Cassazione insegna che il giudice deve conoscere della fondatezza dell’intera pretesa sanzionatoria della P.A.: in siffatta ottica, allora, fermarsi a vizi procedimentali che non incidono sulla fondatezza sostanziale della potestà punitiva significa ridurre l’oggetto del giudizio a dati meramente formali.

Per approfondimenti sui temi trattati in questo contributo, si rinvia a
Carmine Santoro “L’illecito amministrativo in materia di lavoro”, edizioni ESI, Napoli 2010

Per la presentazione dell’Autore, del Libro e per la consultazione dei dettagli e dell’indice dell’opera collegarsi al seguente link:

http://www.edizioniesi.it/dettagli_articolo.php?id=764&tipologia=libri&titolo=L^illecito_amministrativo_in_materia_di_lavoro

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