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Reperibilità (orario di lavoro)

La reperibilità è l’obbligo del lavoratore di porsi in condizione di essere prontamente rintracciato, fuori dal proprio orario di lavoro, in vista di una eventuale prestazione lavorativa e di raggiungere, in breve tempo, il luogo di lavoro per eseguire la prestazione richiesta.
La chiamata del datore di lavoro deve essere generalmente supportata da ragioni di urgenza e di indifferibilità.
La reperibilità consiste in una prestazione strumentale e accessoria rispetto alla prestazione di lavoro principale.
La reperibilità è istituto specifico di alcune tipologie di attività quali, a titolo esemplificativo, esercenti una professione sanitaria, lavoratori addetti alla manutenzione di impianti e macchinari (CCNL Cartai Industria), vigili del fuoco, ecc.

Indennità di reperibilità
L’indennità di reperibilità è la controprestazione a carico del datore di lavoro data in cambio del servizio di reperibilità offerto dal lavoratore.
Tale indennità è disciplinata, generalmente, dalla contrattazione collettiva.
Qualora la reperibilità fosse garantita durante il riposo settimanale, essendo qualitativamente diversa dalla prestazione di lavoro tout court, in quanto limita, senza escludere, il godimento del riposo stesso, la relativa indennità spettante al lavoratore reperibile consisterebbe in un corrispettivo quantitativamente diverso da quello previsto in caso di effettiva e piena prestazione lavorativa e non legittimerebbe, di conseguenza, la pretesa di un riposo compensativo.
Sul punto la giurisprudenza è, tuttavia, divisa.

Nulla osta al lavoro subordinato per lavoratori stranieri

Il nulla osta al lavoro subordinato è una dichiarazione, rilasciata dallo Sportello Unico per l'Immigrazione, con cui l'Amministrazione attesta che non esistono impedimenti all'ingresso e al soggiorno in Italia del cittadino extracomunitario che intenda prestare un'attività lavorativa a carattere subordinato (art. 22, comma 5, D.Lgs. 286/98).

Tale provvedimento dovrebbe essere rilasciato (ma nella pratica ciò non avviene) nel complessivo termine massimo di quaranta giorni decorrente dalla presentazione della richiesta telematica, laddove siano rispettate tutte le condizioni di legge.

Il nulla osta al lavoro subordinato ha validità pari a 6 mesi dalla data del rilascio, entro i quali il lavoratore deve richiedere il rilascio del visto di ingresso per lavoro (art. 22, quinto comma, del D.Lgs. 286/1998).

ROL - Riduzione Orario di Lavoro

I “ROL” sono dei permessi orari per la “riduzione dell’orario di lavoro” che trovano origine nella contrattazione collettiva.
Fu il primo accordo triangolare del 22 gennaio 1983 (cd. “Protocollo Scotti”), fra Governo e parti sociali, a riconoscere alla contrattazione collettiva la possibilità di disciplinare il diritto dei lavoratori ad una riduzione dell’orario di lavoro su base annua.
Questo primo elemento di flessibilità nei rapporti di lavoro, introdotto per via contrattuale, prese piede nei successivi accordi e nella stipula ex novo di contratti collettivi nazionali di lavoro, determinando i “ROL” su base annua e in relazione all’inquadramento e alle mansioni del lavoratore.
Il numero dei giorni di permesso varia da settore a settore e, in non pochi CCNL, nel contesto dello stesso settore in considerazione delle mansioni effettivamente svolte dal lavoratore.
Peraltro, gli stessi contratti collettivi, nel regolamentare le riduzioni di orari di lavoro, come precisamente ricorda la nota ministeriale del 27 giugno 2007, affidano in genere alla contrattazione di livello aziendale la concreta disciplina della loro utilizzazione da parte dei lavoratori.
Il godimento dei “ROL” può avvenire sia individualmente che collettivamente:
l’utilizzazione individuale è prevista come fruizione da parte di ciascun dipendente di permessi orari retribuiti, in genere godibili in gruppi da 4 a 8 ore, fino alla “concorrenza di uno o più giorni lavorativi” come ricorda la nota n. 8489/2007. Peraltro, in questo caso, è in genere previsto che il lavoratore faccia richiesta della fruizione di ROL in un certo termine di preavviso.
l’utilizzazione collettiva è intesa come vera e propria riduzione dell’orario di lavoro annuale, su base giornaliera o settimanale a seconda dei casi e dei settori, che interessa la generalità dei lavoratori.
A tale proposito si veda ad esempio l’art. 140 CCNL Terziario: tale articolo prevede la concessione “di gruppi di 4 o 8 ore di permesso individuale retribuito, in sostituzione delle 4 festività abolite”, ovvero la fruizione di permessi ROL “per complessive 56 ore annuali per le aziende fino a 15 dipendenti” e per complessive 72 ore annuali per le aziende con più di 15 dipendenti.

Nota ministeriale n. 8489 del 27 giugno 2007

Il “ROL” è un istituto la cui regolamentazione è rimessa alla disciplina stabilita dalle parti (la parte datoriale e quella dei lavoratori), in quanto previsione meramente contrattuale.
La nota ministeriale n. 8489 del 27 giugno 2007 precisa che “il mancato rispetto degli accordi così stabiliti non contempla alcuna ipotesi sanzionatoria, né penale né amministrativa”.
Punto di partenza e di arrivo del ragionamento ministeriale è la considerazione dell’origine pattizia dei “ROL” e il loro annoverarsi fra quei “diritti disponibili da parte del lavoratore”, in ragione dei quali il legislatore si astiene dall’introdurre interventi di tipo sanzionatorio, residuando alle parti qualsivoglia possibile tutela risarcitoria e ripristinatoria in sede processuale.
Nella nota del 27 giugno 2007, n. 8489, vi è contenuto il parallelismo con la disciplina dei riposi giornalieri e settimanali, del lavoro straordinario e delle ferie, tutti istituti per la tutela dei quali il legislatore (art. 18 bis del http://www.servizi.cgil.milano.it/ARCHIVIO/2008/1/20030408_DLgs_066.pdf|D.Lgs. 66/2003]) ha inteso prevedere “precise sanzioni di natura amministrativa”a fronte di violazione di limiti e divieti posti a garanzia della indisponibile “integrità psicofisica del lavoratore”.
La violazione della disciplina contrattuale collettiva, nazionale ovvero aziendale, in materia di riduzione dell’orario di lavoro non consente di ravvisare gli estremi di cui agli art. 509 del codice penale e dell’art. 1 della legge n. 741/1994, essendo tali disposizioni normative poste a tutela del rispetto degli istituti contrattuali introdotti esclusivamente dai contratti collettivi nazionali di lavoro aventi efficacia erga omnes, non potendo in alcun modo incidere, e quindi non potendo trovare applicazione per le violazioni dei contratti collettivi di diritto comune.

Nella pratica
Per i “ROL” valgono regole ormai consolidatesi in oltre venti anni di prassi aziendali, fra queste si segnalano:
i permessi per riduzione di orari di lavoro si maturano in ragione di ratei mensili, con modalità identiche a quelle previste per le ferie;
il datore di lavoro non è obbligato a concedere i “ROL” prima che il lavoratore ne abbia maturato il relativo diritto, salvo che non si tratti di utilizzazione collettiva;
l’assenza andrà registrata sul libro paga con specifica indicazione della sua natura;
in caso di mancata fruizione in un determinato lasso di tempo (generalmente entro la fine dell’anno di riferimento), è prevista l’apposita erogazione di una indennità corrispondente di identico valore economico, calcolata sulla base delle retribuzioni in essere al momento in cui scade la possibilità di fruizione.

Cassazione in tema di lavoro autonomo

E' costituzionalmente illegittimo, per l'intrinseca contraddittorietà con la ratio stessa della norma, l'intero art. 86, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 recante attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. [L'illegittimità costituzionale è dichiarata sia nella parte in cui la disposizione non prevede che le collaborazioni coordinate e continuative mantengano la loro efficacia anche oltre la scadenza di legge e fino alla scadenza contrattuale originariamente prevista (profilo oggetto della censura del remittente) sia nella parte in cui essa consente agli accordi sindacali stipulati in sede aziendale di stabilire termini diversi per la cessazione degli effetti delle collaborazioni coordinate e continuative, nel testo in vigore sia prima che dopo la modifica apportata dall'art. 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 (Disposizioni correttive del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di occupazione e mercato del lavoro). (Corte Cost. 1/12/2008 n. 399, Pres. Flick Red. Mazzella, in Dir. e prat. lav. 2009, 173, e in in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Pietro Ichino, "Collaborazioni autonome continuative: quando il divieto va contro il proprio scopo e quando no", 304)

Le prestazioni rese da un avvocato su incarico di un patronato possono consistere sia nella consulenza resa agli iscritti e nel compimento di attività amministrativa per il conseguimento e la liquidazione di prestazioni previdenziali, sia in attività conciliativa e transattiva ovvero propriamente giudiziale a tutela degli iscritti: mentre nel primo tipo di prestazioni è configurabile un rapporto di parasubordinazione tra il legale e il patronato, con riferimento all'attività conciliativa o transattiva e a quella propriamente giudiziale (per le quali la legge richiede un esplicito mandato del lavoratore o, rispettivamente, una procura ad litem) si presume che l'incarico sia stato dato dal cliente, salvo che sia provato specificatamente dall'avvocato il conferimento dell'incarico da parte del patronato. (Rigetta, App. Roma, 3 settembre 2003). (Cass. 17/1/2008 n. 848, Pres. De Luca Est. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2008, 1880)
Il contratto di lavoro autonomo occasional, stipulato per un periodo superiore a 30 giorni è illegittimo e il rapporto di lavoro deve essere automaticamente convertito in rapporto di lavoro subordinato (stante la mancanza di qualsiasi progetto) e a tempo indeterminato (stante l'assenza di qualsiasi giustificazione in merito all'apposizione del termine). (Trib. Milano 21/12/2007, ord., Est. Tanara, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, "La prestazione occasionale. Requisiti e patologie", 543)
Non sonofondate le questioni di legittimitàcostituzionale dell'art. 2 del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. "Bersani") nel testo originario e in quello risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 248 del 2006, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Sicilia per l'asserita lesione delle competenze regionali. La norma prevede molteplici liberalizzazioni nel settore delle libere professioni, in particolare con riguardo alla pubblicizzazione dell'offerta, alla possibilità di rendere in forma associata prestazioni differenziate, alla previa pattuizione di compensi, all'abolizione delle tariffe minime. Si verte infatti in materie rientranti in ambiti di competenza esclusivamente statale (tutela della concorrenza e ordinamento civile) ove l'intervento del legislatore deriva da precise sollecitazioni ricevute in diverse sedi comunitarie. (Corte Cost. 12/12/2007 n. 443, Pres. Bile Red. Silvestri, in Dir. e prat. lav. 2008, 369)
In applicazione dell'art. 29, primo comma, della L. n. 160 del 1975, come sostituito dall'art. 1, comma 203 della L. n. 662 del 1996, colui che nell'ambito di una società a responsabilità limitata svolga attività di socio amministratore e di socio lavoratore ha l'obbligo di chiedere l'iscrizione esclusivamente nella gestione in cui svolge l'attività con carattere di abitualità e prevalenza; nell'incompatibile coesistenza delle due corrispondenti iscrizioni, nella gestione artigiani e nella gestione commercianti, è onere dell'Inps individuare l'iscrizione all'assicurazione corrispondente all'attività prevalente. (Cass. 5/10/2007 n. 20886, Pres. Mattone Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 315)


L'obbligazione del consulente aziendale, la cui attività consista nel fornire consigli relativi alla gestione dell'impresa, deve considerarsi, quanto agli obiettivi economici dell'imprenditore, come obbligazione di mezzi e non di risultato, nel senso che il mancato conseguimento di quegli obiettivi non può essere imputato al consulente come inadempimento, con il derivanete effetto che tale risultato non può costituire una giusta causa di recesso da parte del committente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione logica e adeguata, aveva ritenuto che i suddetti obiettivi di impresa, testualmente elencati nel contratto, non determinavano specifiche prestazioni del consulente ma fornivano mere direttive a cui il consulente si era attenuto nel breve periodo di durata della sua attività, durante il quale aveva discrezionalmente e diligentemente selezionato ed eseguito le attività più urgenti, in tal modo adempiendo ai suoi obblighi, donde la corretta valutazione di ingiustificatezza del recesso operato dalle committenti. (Cass. 15/12/2006 n. 26895, Pres. Mattone Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2007, 620)

Le disposizioni dell’art. 2226 c.c., in tema di decadenza e prescrizione della azione di garanzia per vizi dell’opera, sono inapplicabili alla prestazione d’opera intellettuale, ed in particolare alla prestazione del professionista che abbia assunto l’obbligazione della redazione di un progetto di ingegneria o della direzione dei lavori, ovvero l’uno e l’altro compito, dovendosi escludere che il criterio risolutivo ai fini dell’applicabilità delle predette disposizioni alle prestazioni in questione possa essere costituito dalla distinzione – priva di incidenza sul regime di responsabilità del professionista – fra le cosiddette obbligazioni di mezzi e le cosiddette obbligazioni di risultato; e ciò tenuto conto anche della frequente commistione, rispetto alle prestazioni professionali in questione, delle diverse obbligazioni in capo al medesimo o a distinti soggetti in vista dello stesso scopo finale, a fronte della quale una diversità di disciplina normativa risulterebbe ingiustificata. (Cass. 28/7/2005 n. 15781, Pres. Carbone Rel. Elefante, in Dir. e prat. lav. 2006, 404)
Al contratto d’opera, in caso di acquisto di azienda, non si applica il principio di cui all’art. 2558 c.c., essendo tale contratto rientrante tra quelli conclusi intuitus personae. (Trib. Roma 17/3/2004, Est. Casari, in Lav. nella giur. 2004, 709)
Il contratto d'opera professionale, quando ne sia parte una pubblica amministrazione, richiede la forma scritta ad substantiam (come ogni altro contratto stipulato con la stessa, anche qualora agisca iure privatorum) a pena di nullità. E' irrilevante l'esistenza di una delibera con cui l'organo collegiale dell'ente pubblico (nella specie, il consiglio comunale) abbia conferito un incarico ad un professionista (nella specie, incarico di progettazione esecutiva dei lavori relativi alla rete elettrica comunale) ove ad essa non segua la formale stipulazione del negozio tra il professionista e il rappresentante esterno dell'ente; tale delibera, infatti, non costituisce una proposta contrattuale, ma un mero atto interno e preparatorio del contratto; la valida formazione del rapporto non è comunque surrogabile per facta concludentia quali l'esecuzione dell'incarico e la ricezione e utilizzazione dell'opera da parte dell'ente che possono al più, ricorrendone i presupposti, fondare pretese ex art. 2041 c.c. (Cass. 18/7/2002, n. 10440, Pres. Pontorieri, Est. Settimi, in Foro it. 2003 parte prima, 822)
Ove l'atto costitutivo non disponga diversamente, ai sensi degli artt. 2364, 1° comma, n. 3, e 2389, 1° comma, c.c., spetta all'assemblea stabilire il compenso del membro del consiglio d'amministrazione, mentre - presunto per tali cariche il carattere oneroso della prestazione in conformità alla previsione dell'art. 1709 c.c. in tema di mandato - va riconosciuto al Cda il potere di deliberare la corresponsione dell'ulteriore compenso per coloro, fra i propri membri, che siano investiti di particolari deleghe ovvero del Presidente del consiglio; la rinuncia da parte del consigliere investito di specifiche deleghe alla relativa remunerazione non comporta la rinuncia ai compensi spettanti in qualità di consigliere. In mancanza di specifica deliberazione da parte dell'organo competente, il compenso è stabilito dal giudice che determina l'entità ai sensi degli artt. 1709 e 2225 c.c.; il compenso spettante al Presidente del Cda può essere parametrato - ove si sia dimostrata l'assiduità operativa in tutti i settori aziendali - alla retribuzione del dirigente d'azienda. (Trib. Firenze 18/3/2002, Est. Bazzoffi, in D&L 2002, 667)

Nel contratto d'opera professionale allorchè le parti abbiano regolato l'esercizio del potere di recesso nel collegamento con la fissata scadenza del termine di durata, deve ritenersi che l'apposizione del termine valga ad introdurre una deroga convenzionale al regime di libera recedibilità a favore della stabilità del rapporto e che pertanto, per il relativo periodo, al beneficiario della prestazione professionale non sia consentito recedere ai sensi dell'art. 2237 c.c.. Nel contratto d'opera professionale il recesso intimato prima della scadenza del termine costituisce inadempimento contrattuale risarcibile alla stregua dei criteri fissati all'art. 1223 c.c. con liquidazione dei danni per la perdita subita ed il mancato guadagno. (Corte d'Appello Milano 23/10/2001, Est. Accardo, in D&L 2002, 193, con nota di Lisa Giometti, "Apposizione del termine e regime di stabilità convenzionale nel rapporto d'opera professionale: risarcimento del danno da recesso anticipato")

Nel caso di risoluzione anticipata di contratto di lavoro autonomo a durata minima garantita, deve ravvisarsi il pregiudizio grave e irreparabile di cui all'art. 700 c.p.c. sotto il profilo della compromissione della possibilità di condurre un'esistenza conforme ai parametri tutelati dall'art. 36 Cost. (Trib. Milano 19 novembre 1999 (ord.), est. Martello, in D&L 2000, 475)

La risoluzione anticipata da un rapporto di lavoro autonomo a termine, non supportata da idonea e specifica motivazione, comporta il diritto del lavoratore a essere tenuto indenne dalle conseguenze negative dell'anticipata risoluzione, quale, in primo luogo, il mancato guadagno fino alla scadenza predeterminata (Trib. Milano 19 novembre 1999 (ord.), est. Martello, in D&L 2000, 475)

In caso di anticipata risoluzione di un contratto di lavoro autonomo non assistita da giusta causa, il committente è tenuto a risarcire al collaboratore il danno, da quantificarsi nei compensi che lo stesso avrebbe percepito sino alla scadenza del contratto (Pret. Milano 25/3/99, est. Canosa, in D&L 1999, 691)

Aspetti normativi del lavoro autonomo

Il lavoro autonomo è disciplinato nel titolo III, capo I del libro V del codice civile.
Il legislatore non fornisce una definizione specifica di lavoro autonomo, ragione per cui si prende a riferimento la nozione del contratto d’opera (che viene considerato il principale contratto di lavoro autonomo), contenuta nell’articolo 2222, ai sensi del quale il contratto è stipulato “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo Capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel Libro IV”.
E’ opportuno precisare che le disposizioni contenute agli articolo 2222 e seguenti del codice civile intervengono a disciplinare le multiformi tipologie di lavori riconducibili all’area dell’autonomia solo nelle ipotesi in cui non sia prevista una disciplina specifica.
Elementi distintivi rispetto al contratto di lavoro subordinato e parasubordinato
Il lavoro autonomo è caratterizzato da una configurazione che si può definire a carattere residuale.
Si può dire, per semplificare, che in tutti i casi in cui non ricorre subordinazione, purché la prestazione sia caratterizzata da attività prevalentemente personale (Cass. 29 maggio 2001, n. 7307), ci si trova in presenza di una fattispecie di lavoro autonomo.

Il carattere prevalentemente personale dell’attività richiesta al prestatore di lavoro autonomo serve a distinguere quest’ultimo dalla figura dell’imprenditore.
L’assunzione della qualifica di imprenditore è, infatti, meramente eventuale da parte del lavoratore autonomo.

La parasubordinazione, pur rientrando nel più ampio genere di lavoro autonomo, si caratterizza e si distingue per la presenza degli elementi della continuità e della coordinazione.


Oggetto del contratto
Il contratto potrà avere ad oggetto qualunque attività (opera o servizio) di carattere manuale ovvero tecnica la quale abbia l’attitudine a generare un risultato di natura economica, con la precisazione che l’opera si distingue dal servizio in quanto in quest’ultimo caso non interviene la trasformazione della materia.

L’OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro

L’OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro è l’agenzia specializzata delle Nazioni Unite che ha come obiettivo il perseguimento della giustizia sociale e il riconoscimento universale dei diritti umani nel lavoro, attraverso la promozione di un lavoro dignitoso – il cosiddetto decent work – in condizioni di libertà, uguaglianza e sicurezza per tutte le donne e gli uomini.

L’organizzazione, nota anche con i suoi acronimi, ILO in inglese (International Labour Organization) e OIT in francese (Organisation Internationale du Travail) – è stata fondata nel 1919 a seguito del Trattato di Versailles che pose fine al primo conflitto mondiale, ed è associata alle Nazioni Unite dal 1946.

Ne fanno parte 181 Stati membri e la sua sede principale è a Ginevra. L’ufficio per l’Italia è a Roma, mentre a Torino ha sede il Centro internazionale di formazione.
All’OIL è stato assegnato nel 1969 il Premio Nobel per la pace.

Lettera di assunzione

Il datore di lavoro deve rilasciare al lavoratore una apposita lettera di assunzione dalla quale risultino i seguenti elementi:
la data dell’inizio del rapporto di lavoro;
l’eventuale data di cessazione se è un contratto a termine;
la categoria di appartenenza e l’anzianità in tale categoria;
la durata del periodo di prova;
l’esistenza o meno della convivenza totale o parziale;
la residenza del lavoratore, nonché l’eventuale diverso domicilio, valido agli effetti del rapporto di lavoro; per i rapporti di convivenza, il lavoratore dovrà indicare l’eventuale proprio domicilio diverso da quello della convivenza;
la durata dell’orario di lavoro e della sua distribuzione;
l’eventuale tenuta di lavoro fornita dal datore;
la mezza giornata di riposo settimanale in aggiunta alla domenica;
la retribuzione pattuita;
la previsione di eventuali temporanei spostamenti per villeggiatura o altri motivi familiari;
il periodo di ferie annuali.

I patti fissati tra le parti, in genere verbalmente, non possono derogare alle disposizioni di legge.
La lettera di assunzione, firmata dal lavoratore e dal datore di lavoro, deve essere scambiata tra le parti.

I lavoratori domestici

Lavoratori italiani o dell’Unione Europea

Il datore di lavoro può assumere direttamente il lavoratore domestico italiano dopo avere concordato gli elementi del rapporto di lavoro.
I cittadini stranieri provenienti da paesi aderenti all’UE devono invece, uniformarsi per l’assunzione alla normativa italiana ed ottenere il certificato di soggiorno.

Lavoratori extracomunitari

Le procedure di assunzione sono diverse a seconda che il lavoratore si trovi già sul territorio italiano, con regolare permesso di soggiorno, o si trovi ancora nel suo paese:
se il lavoratore si trova in Italia, l’assunzione avviene con le stesse modalità previste per i lavoratori domestici italiani e comunitari;
se il lavoratore si trova all’estero, prima che arrivi in Italia il datore di lavoro deve presentare domanda all’Inps.

Nella domanda il datore di lavoro deve:
assicurare una retribuzione mensile non inferiore a € 439,00 con condizioni normative retributive uguali a quelle stabilite per i lavoratori italiani;
dimostrare di possedere un reddito familiare annuo non inferiore a quanto stabilito dalla legge per l’anno in corso;
assicurare la disponibilità di un alloggio adeguato;
impegnarsi a comunicare la cessazione del rapporto di lavoro entro cinque giorni all’Inps;
garantire le spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di origine.

Verificata l’esistenza dei requisiti reddituali e delle condizioni contrattuali, è rilasciata l’autorizzazione e il datore di lavoro deve chiedere il nullaosta alla Questura.

L’autorizzazione completa di nullaosta, deve essere spedita al lavoratore nel Paese di residenza, in modo che egli possa esibirla alle autorità diplomatiche o consolari italiane del posto per ottenere il visto di ingresso in Italia.
L’autorizzazione è revocata se non viene utilizzata entro sei mesi dalla data del rilascio.

Documenti del lavoratore

All’atto di assunzione il lavoratore deve consegnare al datore di lavoro i documenti necessari previsti dalla legge e presentare in visione i seguenti documenti:
la tessera sanitaria aggiornata;
il proprio stato di famiglia;
il codice fiscale;
copia di un documento di identità personale non scaduto;
l’eventuale numero di iscrizione all’Inps, nel caso in cui sia già stata assicurato.

Categorie di lavoratori domestici

Il contratto nazionale di lavoro vigente prevede quattro distinte categorie per l’inquadramento dei lavoratori domestici, a seconda del livello di istruzione e del grado di professionalità richiesto:
1° categoria super: domestici dotati, oltre che di un diploma o di un attestato con valore legale, di una professionalità ben specifica;
1° categoria: dame di compagnia, capi cuoco, chef, infermieri diplomati, assistenti geriatrici e tutti quegli altri lavoratori che adempiono a mansioni di specifica ed elevata competenza professionale;
2° categoria: balie e bambinaie, autisti, guardarobiere, cameriere e prestatori di lavoro generico che abbiano maturato servizio necessario per transitare dalla terza alla seconda categoria (18 mesi di anzianità presso la stessa famiglia);
3° categoria: colf che svolgono lavori prettamente manuali o di fatica e che non hanno ancora maturato l’anzianità necessaria per il passaggio alla seconda categoria.

Generalmente le colf possono instaurare con il proprio datore di lavoro tre tipi di contratto a seconda dell’impegno richiesto:
Colf a servizio intero: la lavoratrice domestica abita presso il datore di lavoro, usufruendo, oltre che della retribuzione, del vitto e dell’alloggio;
Colf a mezzo servizio: la lavoratrice domestica che presta presso la stessa famiglia servizio per almeno 4 ore al giorno o per 24 ore settimanali, se il servizio non è uniforme in tutti i giorni della settimana;
Colf ad ore: la lavoratrice domestica che presta presso la stessa famiglia servizio solo per alcuni giorni della settimana, e con orario inferiore alle 24 ore settimanali.