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Il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto al risarcimento del danno morale e del danno all'immagine?

Con la sentenza n. 3147 dell'1/4/99, la Corte di cassazione ha stabilito che il licenziamento illegittimo, se ingiurioso, può portare al risarcimento del danno morale e del danno all'immagine.

La questione non è esplicitamente disciplinata dalla legge che, come è noto, prevede solamente che, nel caso in cui il licenziamento sia sprovvisto di giusta causa o di giustificato motivo, al datore di lavoro debba essere ordinata la reintegrazione del lavoratore nel suo posto di lavoro; inoltre, il datore di lavoro deve essere condannato al pagamento delle retribuzioni perdute dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra, comunque nella misura minima di 5 mensilità. Questo nel caso di imprese medio - grandi; al contrario, nelle imprese con meno di 16 dipendenti, il licenziamento sprovvisto di valida motivazione comporta un modesto risarcimento, in una misura variabile da 2,5 a 6 mensilità (naturalmente, spetta al giudice determinarne, di volta in volta, l'ammontare).

Come si vede, la legislazione sui licenziamenti contempla solamente la possibilità di risarcire il pregiudizio economico subito dal lavoratore a seguito di un illegittimo licenziamento, mentre non è disciplinato il caso in cui il lavoratore subisca anche pregiudizi di natura morale e comunque non patrimoniale. Come è ovvio, si tratta di una lacuna importante, giacché un licenziamento potrebbe essere ingiurioso e, quindi, comportare anche danni di questo tipo.

La lacuna legislativa è stata colmata, come si diceva, dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Il caso riguardava una lavoratrice licenziata con l'accusa di aver falsificato la copia del contratto di lavoro in suo possesso. La vicenda è pervenuta da ultimo al giudizio della Corte di cassazione che, con la sentenza sopra citata, ha enunciato importanti principi in materia.

In primo luogo, la Corte ha riconosciuto che il licenziamento in questione fosse realmente ingiurioso, stante la gravità delle accuse rivolte alla lavoratrice e risultate infondate. Dalla natura ingiuriosa del licenziamento, prosegue la Corte, possono configurarsi in linea teorica due danni non patrimoniali. Il primo di tali danni è quello morale, ovvero la sofferenza subita dalla persona colpita dall'ingiuria; il secondo è il danno alla reputazione, che può essere pregiudicata dalla ingiuria insita nel licenziamento.

La distinzione tra i due danni in questione non è solo concettuale. Infatti, osserva la Corte, il danno morale deriva immediatamente dalla percezione dell'ingiuria da parte dell'offeso e, dunque, non richiede altra prova che la ricezione della comunicazione ingiuriosa. In altre parole, il danno morale è implicito nel licenziamento ingiurioso e, dunque, in questo caso, deve essere necessariamente risarcito, senza che sia necessaria una prova particolare da parte del lavoratore.

Diverso è invece il caso del danno alla reputazione, che sussiste solo in quanto la comunicazione ingiuriosa sia stata comunicata ad altre persone, e sarà tanto più rilevante quanto più ampia sia stata la diffusione dell'ingiuria. Pertanto, il lavoratore può ottenere il risarcimento di tale danno solo a condizione di provare che l'ingiuria insita nel licenziamento sia stata pubblicizzata dal datore di lavoro, con ciò ledendo la sua reputazione, soprattutto sotto il profilo professionale e sociale.

Prima di concludere, conviene precisare che il principio enunciato dalla Corte non si scontra con la regola secondo cui il danno morale è risarcibile solo se causato da un reato, e ciò stante la natura delittuosa dell'ingiuria.


Fonte: Dielle on line, Rivista telematica di diritto del lavoro

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