DOMANDA
Chiedo cortesemente un chiarimento nel caso in cui non siano stati perfezionati a priori accordi tra l'azienda e il dipendente, e quest'ultimo venga mandato in trasferta all'estero per piu' di 183 giorni nell'arco di un anno. In particolare, vorrei capire se esistono obblighi normativi ai quali il dipendente e' soggetto (dichiarazione separata, apertura posizione fiscale/previdenziale) o se l'azienda (che ha rapporto esclusivo con il dipendente) rimane sostituto d'imposta anche nei confronti dello stato estero.
Questo anche in luce del fatto che la stessa circolare 207/E specifica che il requisito della continuità ed esclusività dell'attività lavorativa all'estero "non troverà applicazione, qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero". Può l'azienda effettuare comunque le ritenute fiscali come se il dipendete fosse soggetto fiscale esclusivamente in Italia (quindi non considerando la posizione per l'estero)?
RISPOSTA: (Bruno Dott. Olivieri)
Se il lavoratore è fiscalmente residente in Italia e viene inviato all'estero, ma non sono soddisfatte contemporaneamente tutte le condizioni previste dal comma 8-bis dell'art. 51 del Tuir ( quindi si supera il limite per il quale il calcolo viene effettuato su una retribuzione convenzionale) , allora il reddito, prodotto fuori dai confini nazionali, verrà tassato con le modalità ordinarie sulla base delle retribuzioni effettive.
Oltre alla stipulazione di uno specifico contratto che preveda l'esecuzione della prestazione in via esclusiva all'estero, nella Circ. n. 207/E del 16 novembre 2000, l'Agenzia delle Entrate ritiene necessario che il dipendente interessato venga collocato in un speciale ruolo estero.
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