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MINACCE E INGIURIE AL LAVORATORE CHE SI RIFIUTA DI FIRMARE LE DIMISSIONI IN BIANCO



Cassazione, sez. V, 8 giugno 2011, n. 22816
(Pres. Mannino – Rel. Calvanese)


Osserva
C.C. ricorre tramite difensore avverso la sentenza del Tribunale Monocratico di Roma del 23 aprile 2009 che, in riforma di quella assolutoria pronunciata da quel giudice di pace, l'aveva ritenuto responsabile dei reati di minacce ed ingiurie in danno di D.M.R.P..
Secondo l'ipotesi di accusa il C., datore di lavoro della parte lesa, aveva ingiuriato e minacciato la predetta, prospettandole un trattamento sistematicamente vessatorio; secondo la sentenza impugnata la ragione di detto comportamento era nel rifiuto opposto dalla giovane alla richiesta del C. di sottoscrivere una lettera di dimissioni.
Deduce il ricorrente la nullità della sentenza impugnata per vizi di motivazione in ordine alla ricostruzione del fatto ed alla valutazione delle prove.
In particolare, a suo avviso il Tribunale aveva fondato l'affermazione di responsabilità sulle dichiarazioni della D.M.R.P., ritenendole riscontrate dalla produzione di un foglio spiegazzato sul quale era vergata una lettera di dimissioni non sottoscritta, e dalla testimonianza indiretta della testimone M., elementi a suo dire assolutamente inidonei a confortare gli assunti della parte lesa, ed aveva ritenuto erroneamente che l'espressione "ti farò schiattare" potesse costituire il reato di minaccia, mentre invece il significato del verbo "schiattare" sarebbe incerto, non risultando, a suo dire, registrato su alcun dizionario della lingua italiana, né tantomeno valenza offensiva aveva l'invettiva "sei una vergognosa".
Il ricorso è inammissibile.
Quanto alla ricostruzione del fatto ed alla valutazione degli elementi di prova ritenuti dal Tribunale confermativi dell'ipotesi di accusa, va osservato che la censura sostanzialmente prospetta il riesame del merito, che in questa sede di legittimità è precluso se, come nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia dato conto delle ragioni della decisione con motivazione ragionevole e condivisibile, comunque immune da vizi logici o contraddizioni, valutando come elemento di riscontro anche la testimonianza del C..
Quanto poi alla rilevanza penale delle espressioni su menzionate, il ricorso è manifestamente infondato, atteso che contrariamente a quanto assume il ricorrente, l'espressione "ti farò schiattare" non solo è di uso comune, ma è riportata su tutti i dizionari della lingua italiana con l'inequivoco significato "ti farò crepare"; l'espressione "vergognosa" poi è stata correttamente valutata nel contesto, ed aveva il chiaro ed univoco significato ingiurioso che la sentenza impugnata ha ritenuto.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00= in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00= in favore della Cassa delle Ammende.

Fonte DIRITTO E PROCESSO

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