Nella riunione del 20 scorso il Consiglio dei Ministri ha individuato ed approvato i crireri per procedere alla riduzione delle   province esistenti

Sara' cancellato   il 60% delle province italiane, in quanto  , su 107 ,sono 64 quelle che non hanno i requisiti per rimanere operative .

Tra quelle che saranno abolite , 50 si trovano   nelle regioni a statuto ordinario e 14 in quelle a statuto speciale.mentre   bisogna comunque aggiungere   le dieci città metropolitane ,dove le province sono destinate a scomparire.

Ecco   come  si presentera' la sitsazione nelle varie regioni

In  la Toscana  si salverà solo Firenze,evidenziando peraltro che,in quanto città metropolitana ,la provincia verrà   abolita  sostituita dal nuovo ente) ,mentre    tutte le altre dovranno  realizzare  l' accorpamento,

In  Lombardia  dalle attuali 12 province si passerà a 4 (Milano, Brescia, Bergamo e Pavia),

In  Sardegna resterà solo Cagliari.,venendo abolite , oltre alle quattro province di nuova istituzione (Olbia-Tempio, Medio Campidano, Ogliastra e Carbonia), già bocciate dai cittadini sardi con referendum, anche Sassari, Nuoro e Oristano.

La Campania  manterrà 4 delle attuali 5 province, perdendo solo Benevento.

Il Piemonte manterra' 3 province su otto,ossia Torino,Cuneo ed Alessandria

Il Veneto consesrvera' 3 province su 7,cioe' Venezia,Verona e Vicenmza

L'Emilia Romagna  da  9 province scendera' a 4  Parma,bologna,Modena e Ferrara

LaLiguria conserva Genova e La spezia e perde le altre due province

L'Umbria resta con la sola Perugia,,mentre perde Terni

Le Marche passano da 5 a 3 province ,ovvero Ancona,Pesaro e Urbino

L'Abruzzo conserva l'Aquila e Chiedi e perde Pescara e Teramo

Il Molise  perde Isernia e resta soltanto   Campobasso

La Basilicata  conserva Potenza mentre è abolita Matera

La Puglia conserva 3 delle 6  province attuali ,vale a dire Bari,Foggia e Lecce

La Calabria conserva 3 delle 5 province attuali , ossia Reggio C.,Cosenza e Catanzaro

La Sicilia  passa da 9 a 4 province ,cioe' Palermo ,Agrigento ,Catania e Messina

Il Friuli V.G.conserva Trieste ed Udine ,mentre perde Pordenone e Gorizia

Nei prossimi giorni il governo trasmetterà la deliberazione al Consiglio delle autonomie locali (Cal), istituito in ogni regione e composto dai rappresentanti degli enti territoriali (in mancanza, la deliberazione verrà trasmessa all'organo regionale di raccordo tra regione ed enti locali). La proposta finale sarà trasmessa da Cal e regioni interessate al governo, il quale provvederà all'effettiva riduzione delle province promuovendo un nuovo atto legislativo che completerà la procedura.

Le nuove province si occuperanno solo di tre materie: ambiente, trasporti e viabilità. Le altre competenze vengono invece devolute ai comuni, come stabilito dal decreto «Salva Italia».

Il compromesso raggiunto a palazzo Chigi non scontenta troppo l'Upi. «Il varo della delibera dà il via ad un processo di riforma istituzionale dal quale ci auguriamo esca una Italia più efficiente con una amministrazione più moderna», ha commentato il presidente Giuseppe Castiglione. «I parametri stabiliti consentono alle province che nasceranno da questa riforma di avere dimensioni tali da potere svolgere a pieno il loro ruolo di enti di governo di area vasta. Ora spetta al parlamento assicurare che il percorso avvenga lasciando spazio ai territori nel ridisegnare il nuovo assetto delle province», ha auspicato. Il lavoro dei Consigli delle autonomie locali (Cal) non si annuncia facile. Soprattutto in quelle realtà, come la Toscana, dove dovranno essere ridisegnati tutti i confini provinciali. Andrea Pieroni, Andrea Pieroni, presidente di Upi Toscana e della provincia di Pisa, avrebbe auspicato un finale diverso. «I nuovi criteri non cambiano nulla per la Toscana: nessuna provincia risponde a questi parametri. Adesso la partita è in mano al Cal dove regione ed enti locali si confronteranno per definire l'effettiva riduzione delle province toscane».

Marcia indietro sull'accorpamento delle festività

Il governo ha invece deciso di fare dietrofront sull'idea (lanciata un anno fa dal governo Berlusconi con il dl 138/2011 e rispolverata in un'intervista a ItaliaOggi dal sottosegretario all'economia Gianfranco Polillo) di accorpare le feste dei Santi patroni (non concordatarie) e le festività civili (ad esclusione del 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno).

Il consiglio ha deciso di non procedere all'accorpamento per tre ragioni. Anzitutto perché, secondo le stime della Ragioneria generale dello stato, la misura non dà sufficienti garanzie di risparmio. Poi perché non esistono in Europa norme statali che accorpino le celebrazioni nazionali e le festività dei Santi patroni. Infine, perché, si legge in una nota di palazzo Chigi, «l'attuazione della misura nei confronti dei lavoratori privati violerebbe il principio di salvaguardia dell'autonomia contrattuale, con il rischio di aumentare la conflittualità tra lavoratori e datori di lavoro».