Si richiama l'attenzione sulle segguenti decisioni della Corte di Cassazione:

Sentenza n. 11462 del 9 luglio 2012,

"visto che il normale godimento delle ferie da parte dall'attuale ricorrente è stato ostacolato dalle sue assenze per malattia - e ciò in maniera incontestabile quanto al periodo di malattia con il quale si è concluso il rapporto - che almeno in parte la sentenza impugnata si pone in contrasto anche con principi enunciati dalla Corte di giustizia della Unione Europea in sede di interpretazione delle norme sul godimento delle ferie dell'art. 7 della direttiva dell'Unione 2003/88. Infatti tale Corte, pur riconoscendo che la normativa nazionale può contenere una disciplina relativa alle condizioni del godimento delle ferie e, in tale quadro, prevedere per esempio un periodo massimo per il godimento delle ferie successivamente al periodo della loro maturazione e normale fruizione - c.d. periodo di riporto delle ferie -, con una serie di pronunce ha individuato ipotesi in cui le restrizioni al diritto alle ferie sono incompatibili con un'adeguata salvaguardia del diritto previsto dalla direttiva".
"In particolare – conclude la Suprema Corte - con la sentenza 20 gennaio 2009, pronunciata nei procedimenti riuniti C- 350/06 e C-520/06, ha ritenuto che l'art. 7 della direttiva deve essere interpretato in un senso che osta a disposizioni o prassi nazionali le quali escludano il diritto ad un'indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute del lavoratore che sia stato in congedo per malattia per l'intera durata o per una parte del periodo di riferimento o di un periodo di riporto e per tale ragione non abbia potuto esercitare il suo diritto alle ferie annuali retribuite".

 -Sentenza n. 11465 del 9 luglio 2012

Si forniscono  chiarimenti  in merito alla legittimità di licenziamento di un lavoratore per ragioni inerenti l'attività produttiva.

La Corte ha  dato ragione al lavoratore confutando la sentenza precedentemente emessa dal giudice di appello spiegando che questo "ha male valutato le risultanze istruttorie e non ha tenuto conto che nel caso di specie non era avvenuta alcuna soppressione del settore lavorativo, del reparto o del posto nel quale era adibita".
Il datore di lavoro, infatti, può appellarsi alla nozione di giustificato motivo oggettivo nel licenziamento solo se si può ricondurre "anche all'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa, deciso dall'imprenditore non semplicemente per un incremento di profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, tanto da imporre una effettiva necessità di riduzione dei costi".
L'imprenditore, inoltre, chiamato in causa, non ha saputo fornire alcuna prova della sussistenza delle ragioniper il licenziamento o il mancato reintegro nell'organizzazione produttiva
Sentenza n. 11545  del  10 luglio 2012.

Qualora durante la percorrenza del tragitto da lavoro a casa o viceversa, il dipendente subisca un'aggressione con scippo, l'evento deve considerarsi come infortunio in itinere.

Nella particolare fattispecie, mentre rincasava dopo una giornata di lavoro, una dipendente è rimasta vittima di un'aggressione da parte di due malviventi che, nel tentativo di sottrarle la borsa le hanno procurato varie lesioni. Successivamente la lavoratrice aveva richiesto che tale evento fosse riconosciuto dall'Inail come infortunio in itinere e le fosse corrisposta la relativa indennità temporanea nonché la corrispondente rendita e al fine di far valere i propri diritti la lavoratrice aveva sottoposto l'accaduto al giudice del tribunale territorialmente competente. Con sua grande sorpresa però,  né la sentenza di primo grado, né la successiva sentenza  d'appello   accolsero le sue richieste. In particolar modo la Corte d'Appello, nel motivare tale rigetto sosteneva che l'azione dolosa di un terzo soggetto aveva fatto sì che venisse meno il "nesso causale fra la ripetitività necessaria del percorso casa-ufficio e gli eventi negativi, ad essi connessi".

La  lavoratrice però non si rassegnò ed impugnò tale sentenza ricorrendo in Cassazione. Esaminati gli atti, gli Ermellini accolsero il ricorso cassando la sentenza emessa in appello. In particolar modo la Suprema Corte ha ritenuto errato il concetto posto dai giudici di merito alla base della sentenza , che li ha portati a ravvisare in una mera coincidenza di posto e di ora l'unico nesso utile a ricondurre l'aggressionesubita all'attività lavorativa. Secondo la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione infatti,l'indennizzo per infortunio in itinere deve essere riconosciuto anche nel caso in cui l'evento dannoso sia di natura atipica purché ne sussista l'imprevedibilità e purché possa sopraggiungere indipendentemente dalla condotta assunta dall'assicurato. I giudici inoltre hanno affermato come il tragitto casa-ufficio sia indirettamente ricollegabile all'attività lavorativa svolta e a tal fine hanno confermato  che tutti i rischi corsi dai dipendenti nella percorrenza di tale tragitto debbano essere tutelati. Da tale tutela è escluso soltanto il cosiddetto rischio elettivo, ossia il rischio corso dal dipendente come diretta conseguenza di un suo comportamento errato adottato in modo arbitrario. Nel fornire tali precisazioni infine gli Ermellini hanno effettuato precisi richiami a una precedente sentenza( n. 3776/2008) in cui si era già ampiamente chiarito che, eccezione fatta per il rischio elettivo,  il rischio corso dal lavoratore durante il tragitto percorso per raggiungere la sede di lavoro è ricollegabile seppur in modo indiretto, all'espletamento dell'attività lavorativa e come tale deve essere tutelato da opportuna copertura assicurativa.