Si richiama la sottostante Ordinanza 02 maggio 2012   della Corte di Appello di Venezia ,che ha sottoposto alla Corte Costituzionale la questione di incostituzionale dell'art.16 legge n.223/91 circa il requisito della  dell'anzianita' aziendale  di almeno 12 mesi necessaria per aver diritto all' indennità di mobilità per i lavoratori disoccupati in conseguenza di  licenziamento collettivo  per riduzione di personale  ,che violerebbe il principio di uguaglianza, sotto il profilo dell'irragionevolezza ,nella parte in cui  non  trova applicazione anche ai lavoratori occupati con rapporto di lavoro somministrato.

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La signora S. ha lavorato presso la società W. s.p.a., impresa utilizzatrice, dal 19 giugno al 31 dicembre 2000, in forza di un contratto di lavoro temporaneo, stipulato ai sensi della l. 196\1997, sottoscritto con l'agenzia LT Lavoro Temporaneo s.p.a.

Il contratto è stato prorogato fino al 31 marzo 2001.

Alla scadenza è stato stipulato un nuovo contratto di lavoro temporaneo con scadenza al 31 gennaio 2002, successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2002 (cfr. documenti da 1 a 4 allegati al ricorso di primo grado).

In data 2 agosto 2002 la lavoratrice è stata assunta dalla impresa utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con inizio del rapporto fissato al 2 settembre 2002, fino al licenziamento avvenuto il 30 aprile 2003 (cfr. documento n. 5 allegato al ricorso di primo grado).

In data 2 maggio 2003 la lavoratrice ha chiesto all'INPS l'erogazione della indennità di mobilità, ma la sua domanda è stata respinta.

La domanda oggetto del giudizio si fonda sull'applicabilità anche alla concreta situazione dell'appellante della norma di cui all'art. 16 l. 223\1991. La norma in esame riconosce il diritto alla indennità di mobilità solo ai lavoratori che siano stati occupati alle dipendenze della impresa ammessa alla mobilità per almeno 12 mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato, ivi compresi i periodi di sospensione del lavoro derivanti da ferie, festività e infortuni, con un rapporto di lavoro a carattere continuativo e comunque non a termine.

Nel caso in esame la sentenza di primo grado ha escluso la possibilità di computare in questo periodo quello lavorato dalla ricorrente presso l'impresa utilizzatrice in forza di contratti di lavoro interinale.

In sostanza, computando anche il periodo prestato in forza di quest'ultimo tipo di rapporto, la lavoratrice rientrerebbe nella previsione dell'art. 16 l. 223\1991, in quanto risulterebbe dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato alla data della messa in mobilità e avrebbe prestato la propria attività presso l'impresa da almeno dodici mesi continuativi.

In questa accezione, risulterebbe sussistente anche il requisito della continuità del rapporto, dal momento che il passaggio dal contratto di lavoro interinale a quello subordinato alle dirette dipendenze dell'impresa è avvenuto senza soluzione di continuità.

All'epoca della formulazione della norma nel nostro ordinamento non esistevano figure di rapporti di lavoro subordinato diverse da quelle tradizionali del contratto a tempo determinato, disciplinato all'epoca dalla L. 230\1962, che lo ammetteva solo in alcune ipotesi eccezionali, e del contratto a tempo indeterminato, dal momento che l'utilizzazione di manodopera da parte di soggetto diverso dal datore di lavoro formale era disciplinata dalla L. 1369\1960 e non esistevano forme diverse riconducibili all'area, di origine extragiuridica, della cosiddetta "flessibilità".

Nel quadro normativo che è stato sommariamente richiamato, l'art. 16 L. 223\1991, nell'escludere dal proprio ambito di applicazione i rapporti di lavoro fondati su un contratto a tempo determinato, mirava a escludere ipotesi di ricorso fraudolento a questo tipo di contratto, al solo scopo di includere i lavoratori nei benefici riconosciuti a seguito della messa in mobilità.

Gli attuali problemi applicativi della norma, come quelli prospettati nella vicenda oggetto di causa, devono necessariamente tenere conto del mutato quadro normativo, che ha visto l'introduzione progressiva, a partire dalla L. 197\1996, di forme legittime di utilizzazione di lavoratori dipendenti da agenzie di lavoro a ciò autorizzate, con la creazione di forme legittime di diversa imputazione dei rapporti di lavoro subordinato, riferibili sul piano formale ad una agenzia di lavoro e sul piano sostanziale all'effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa.

Il rapporto di lavoro tra l'appellante e la W. s.p.a. si è svolto, nel periodo dal 19-6-2000 al 30-8-2002, proprio nell'ambito della disciplina dettata dalla l. 197\1996.

In sostanza, l'appellante è stata dipendente di Lavoro Temporaneo s.p.a. e utilizzata da W. s.p.a. in forza di contratto di lavoro temporaneo. Successivamente, senza soluzione di continuità, a partire dal 2-9-2002, l'appellante è stata assunta da W. s.p.a. in forza di contratto di lavoro a tempo indeterminato, fino alla data del licenziamento, avvenuto il 30-4-2003.

Si tratta a questo punto di verificare se la situazione dell'appellante, formalmente al di fuori dell'ambito di applicazione della norma, sia compatibile con i principi costituzionali, in particolare quello enunciato dall'art. 3.

A questo proposito occorre muovere dalla peculiarità della posizione che nel mercato del lavoro, e quindi nell'ordinamento giuridico non solo nazionale ma anche europeo, hanno i lavoratori dipendenti da una agenzia di lavoro interinale.

La loro situazione è infatti oggetto di una specifica direttiva comunitaria, la n. 104\2008\CE, attuata in Italia con il D. Lgs. 24\2012.

Tanto la disciplina comunitaria che quella nazionale rispondono al principio della identità delle condizioni di lavoro e di occupazione tra lavoratori interinali e quelli impiegati direttamente dall'utilizzatore, come si esprime il considerando n. 14 della direttiva, per cui "Le condizioni di base di lavoro e d'occupazione applicabili ai lavoratori tramite agenzia interinale dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall'impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro.", e l'art. 23 D. Lgs. 276\2003, come modificato dall'art. 7 D. Lgs. 24\2012, per cui "Per tutta la durata della missione presso un utilizzatore, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d'occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte".

Occorre inoltre rilevare come tanto la direttiva comunitaria che la norma di attuazione nazionale, che ha sul punto modificato la formulazione dell'art. 23 D. Lgs. 276\2003, prevedono il diritto del lavoratore interinale, o somministrato, di essere informato dall'utilizzatore dei posti vacanti, in modo da poter concorrere, unitamente ai dipendenti di quest'ultimo, a ricoprire quei posti con contratto di lavoro a tempo indeterminato (cfr. art. 23 D. lgs. ultimo comma, come modificato dall'art. 7 D. Lgs. 24\2012; art. 6 direttiva 104\2008).

Va poi rilevato che l'art. 6 comma 2 della direttiva vieta agli Stati di adottare norme che impediscano la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l'impresa utilizzatrice e il lavoratore interinale, al termine della missione.

Le norme richiamate sono particolarmente rilevanti anche nella fattispecie in esame, laddove affermano da un lato il principio di parità di trattamento tra lavoratori interinali e lavoratori direttamente dipendenti dalle imprese utilizzatrici, non solo nei trattamenti base, ma anche nelle forme di accesso ai servizi offerti da queste ultime, e dall'altro quando evidenziano la tendenza normativa a favorire quei percorsi di inserimento del lavoratore interinale presso l'azienda utilizzatrice.

In sostanza, la vicenda di cui è causa si caratterizza per essere inserita proprio nel percorso di inserimento nell'impresa utilizzatrice e di stabilizzazione del rapporto di lavoro delineato dalla direttiva comunitaria e dalla legge nazionale di attuazione, nel senso che, al termine della missione, l'appellante è stata assunta dall'impresa utilizzatrice con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Proprio le peculiarità del rapporto di lavoro tra l'appellante e l'impresa utilizzatrice e la disciplina conseguente dettata tanto sul terreno comunitario che su quello nazionale, portano a dubitare della legittimità costituzionale dell'art. 16 l. 223\1991, nella parte in cui escludono dal beneficio della indennità di mobilità quei lavoratori che, pur potendo vantare un periodo di attività aziendale continuativa di dodici mesi, si trovino nella condizione di imputare formalmente parte di questo periodo ad un rapporto con una agenzia di lavoro interinale.

A questo proposito occorre rilevare come la stessa giurisprudenza di legittimità, a proposito dell'applicazione della norma ai lavoratori a domicilio, abbia sottolineato la centralità che, nella individuazione dell'ambito di applicazione della norma, ha il riferimento alla anzianità "aziendale".

La Corte di cassazione ha infatti messo in evidenza come con questa locuzione la norma si riferisca non al dato topografico, costituito dal luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, ma al suo coordinamento con il ciclo produttivo aziendale, qualificato tanto dall'elemento della collaborazione che dall'inserimento dell'attività lavorativa nel contesto dell'organizzazione d'impresa, attraverso l'esecuzione di lavorazioni analoghe o complementari a quelle tipiche dell'impresa utilizzatrice (cfr. Cass. 8221\2000; Cass. 6150\1999).

Questi richiami consentono quindi di ritenere che la situazione del lavoratore temporaneo che sia stato stabilizzato dall'impresa utilizzatrice attraverso la stipulazione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato non possa essere equiparata a quella del lavoratore dipendente in forza di un contratto a carattere non continuativo o a termine.

La situazione del lavoratore interinale successivamente assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato dall'impresa utilizzatrice è infatti caratterizzata dalla riconducibilità dell'intera attività lavorativa alla stessa realtà aziendale, secondo quelle caratteristiche di collaborazione e di inserimento nel ciclo produttivo dell'impresa già valorizzate dalla giurisprudenza di legittimità richiamata, mentre la successiva assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato risponde a quella esigenza di stabilizzazione dei rapporti di lavoro interinale che è alla base della legislazione comunitaria e nazionale.

In questa prospettiva, l'art. 16 L. 223\1991, nella parte in cui esclude per i lavoratori interinali, successivamente assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, la possibilità di cumulare nell'anzianità aziendale utile ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità di mobilità anche il periodo prestato in forza del contratto di lavoro interinale, si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, creando una situazione irragionevolmente distinta da quella dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato, che invece quel beneficio si vedono riconosciuto a parità di anzianità di servizio effettivamente prestato a favore dell'impresa.

In sostanza, la situazione dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a seguito di un periodo svolto in forza di contratto di lavoro interinale viene ad essere ingiustificatamente differenziata rispetto a quella dei lavoratori a tempo indeterminato di pari anzianità lavorativa all'interno dell'azienda, determinando così l'ingiustificata esclusione del beneficio oggetto di causa per i primi, pur in forza di principi che tendono ad assicurare parità di trattamento all'interno dell'impresa utilizzatrice ed a favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro interinali.

In questo senso la giurisprudenza costituzionale ha più volte affermato il principio di parità di trattamento in materia previdenziale e assistenziale, tutte le volte in cui le disparità derivanti dalla legge ordinarie sono state ritenute prive di ragionevolezza (cfr. sentenze 108\1977; 103\1968; 369\1985).

A questo proposito occorre rilevare come, nella sentenza 121\2006, relativa alla estensione della indennità di disoccupazione spettante ai lavoratori a tempo parziale verticale ai lavoratori a termine, la Corte abbia sottolineato, anche con riferimento alla tutela di cui all'art. 38 della Costituzione, la centralità del requisito della persistenza del rapporto di lavoro della prima categoria, quale elemento sufficiente a fondare una più ampia tutela contro la disoccupazione, evidenziando in questo modo la rilevanza che, ai fini delle tutele costituzionali, ha il requisito della continuità del rapporto e della prestazione lavorativa.

La norma di cui all'art. 16 L. 223\1991 contrasta poi con l'art. 38 della Costituzione, escludendo irragionevolmente la continuità del rapporto di lavoro quale elemento fondante il diritto alla indennità di mobilità ai lavoratori temporanei il cui rapporto sia stato successivamente stabilizzato. A questo proposito la Corte costituzionale ha sottolineato che la tutela di cui all'art. 38 della Costituzione non può privare di tutela lavoratori che si trovino in situazioni simili.

Va infatti considerato che la sentenza 285\2003, nell'escludere l'incostituzionalità dell'art. 111. 223\1991 per i lavoratori edili, ha in ogni caso sottolineato proprio la specificità della disciplina dettata per questi lavoratori, specificità che non si riscontra per i lavoratori interinali, mettendo tuttavia in evidenza le caratteristiche di prestazione a carattere generale della indennità di mobilità, che deve pertanto spettare a tutti i lavoratori che si trovino in situazioni analoghe.

La questione di costituzionalità dell'art. 16 L. 223\1991 non appare quindi manifestamente infondata in quanto, in forza della formulazione della norma e dell'assenza di specifiche disposizioni previste dalla disciplina comunitaria e nazionale in materia, non è possibile sopperire alla lacuna normativa attraverso una attività interpretativa costituzionalmente orientata, e risulta rilevante, in quanto il riconoscimento del diritto azionato in giudizio dipende direttamente dalla soluzione della questione prospettata, con specifico riferimento alla possibilità di computare nel periodo di anzianità aziendale utile per il riconoscimento della indennità di mobilità anche il periodo prestato in forza di un rapporto di lavoro interinale.

Non si può, infine, ritenere, che la prospettata questione di incostituzionalità sia priva di rilevanza per mancanza di verifica su ulteriori presupposti necessari per quanto richiesto dalla ricorrente.

Infatti, allo stesso modo, con la sentenza 6\1999, la Corte Costituzionale, con riferimento alla disciplina dell'art. 6 L. 223\1991 e alla copertura contributiva, ha affermato la piena

legittimità di un sistema che consenta l'accertamento a posteriori dei presupposti per il riconoscimento della indennità di mobilità.

P.Q.M.

Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 16 della legge 23 luglio 1991 n. 223, con riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso.

Dispone che la presente ordinanza sia notificata alle parti, al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

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Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 17 ottobre 2012, n. 41.