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L’eliminazione dell’obbligo di motivazione nel contratto a termine

Si ringrazia il Dott. Saccone Antonio, Avvocato - Funzionario della DTL di Pescara - Responsabile Affari Legali e del Contenzioso per i validi contributi e chiarimenti in materia Gius-Lavoristica.


Introduzione

Come è noto, sulla Gazzetta Ufficiale n. 114 del 19.5.2014 è stata pubblicata la legge 16 maggio 2014, n. 78 di conversione del decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 recante “Disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese”.
La suindicata legge 78/2014 (giornalisticamente nota come Jobs Act)  è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ossia il 20 marzo 2014 e contiene, tra le altre, novità significative in materia di contratto a tempo determinato.
L’innovazione forse più rilevante che la norma apporta all’istituto del contratto a termine (e che non pochi contrasti ha generato tra l’Esecutivo ed il mondo sindacale), invero già contenuta nel testo del D.L. 34/2014, è l’abolizione generalizzata dell’obbligo di indicare le “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro”, fermo restando che il limite massimo di durata del contratto a tempo determinato rimane di 36 mesi.
Nella precedente formulazione normativa (la legge 92/2012, la cd. legge Fornero) era possibile stipulare contratti a termine, senza l’indicazione delle ragioni giustificatrici, fino ad un massimo di 12 mesi; con la novella legislativa, pertanto, tale facoltà viene elevata da 1 anno a 3 anni.   
A parere dei sindacati, la predetta innovazione – unitamente al numero di proroghe consentite (oggi pari a n. 5) - attribuisce ai datori di lavoro possibilità eccessive di flessibilità, che possono essere foriere di ulteriore precarietà occupazionali; il Governo, di contro, ha ritenuto che con le novità introdotte dal Jobs Act diminuiscano gli appesantimenti burocratici e che ciò possa costituire un volano per la ripresa dell’occupazione.
Comunque la si pensi, va rilevato che a far data dal 20 marzo 2014 (data di entrata in vigore del D.L. 34/2014), è consentita l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato fino ad un massimo di 36 mesi (comprese le proroghe), senza necessità di indicare i motivi per cui esso si stipula.
Per instaurare un rapporto di lavoro a tempo determinato, cioè, non è più indispensabile evidenziare perché esso si pone in essere; viene meno, dunque, l’esigenza di indicare nel contratto a termine quello che in gergo, tra gli operatori del diritto del lavoro, viene definito il “causalone”.
Tale previsione, tuttavia, non sta a significare che nel contratto a termine non si debbano,  in ogni caso, più mettere le ragioni per le quali esso si stipula, ma va intesa nel senso che - essendo stato eliminato dalla norma in esame l’obbligo di indicare le predette ragioni - allorquando si procede all’assunzione a tempo determinato di un lavoratore, possono essere omesse le motivazioni dell’instaurazione del rapporto di lavoro.  
In conclusione ed in estrema sintesi, la motivazione nel contratto a termine non è più un obbligo fino ad un massimo di 36 mesi, ma ben possono aversi ipotesi di contratti a tempo determinato in cui le ragioni della stipula vengano comunque indicate.
In alcuni casi, infatti, è opportuno ed utile per il datore di lavoro individuare con precisione le motivazioni dell’assunzione a termine, atteso che ad esse possono essere legate agevolazioni e/o benefici economici ovvero esenzioni di obblighi di legge.
Per completezza di trattazione della tematica e prima di evidenziare i casi in cui può essere opportuno per il datore di lavoro indicare le ragioni dell’assunzione a termine, si ritiene importante individuare molto sommariamente i principali aspetti della riforma del contratto a termine introdotti dal D.L. 34/2014, come convertito dalla legge 78/2014 (o quantomeno quelli che hanno, più di tutti, suscitato l’interesse e l’attenzione degli operatori del settore).

1)     L’obbligo della mancata motivazione dell’assunzione a tempo determinato vige anche per i rapporti di lavoro in somministrazione: vale a dire che, anche nei casi in cui l’assunzione a termine viene effettuata da un datore di lavoro per il tramite di un’Agenzia di somministrazione, non è più necessario indicare le ragioni di quella assunzione.

2)     Come già in precedenza accennato, sono previste fino ad un massimo di 5 proroghe del contratto a termine entro il limite dei 36 mesi; ciò indipendentemente dal numero dei rinnovi dei contratti effettuati ed a condizione che le proroghe si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale è stato stipulato il contratto a tempo determinato.

3)     La facoltà di assunzione a tempo determinato è consentita nel limite del 20% del numero degli occupati in azienda, in forza a tempo indeterminato alla data del 1 gennaio dell’anno di assunzione. Sono fatte salve misure percentuali diverse previste dalla contrattazione collettiva di riferimento e, per le aziende che occupano fino a 5 dipendenti, il limite di assunzioni a tempo determinato è fissato al massimo in una sola unità. Il predetto limite del 20%, da ultimo, non riguarda i contratti in somministrazione.

4)     Il mancato rispetto del suindicato limite del 20% determina l’adozione di una sanzione amministrativa da parte degli organi di vigilanza, che è pari al 20% della retribuzione (se la violazione riguarda un solo lavoratore) ed al 50% della retribuzione (se la violazione si riferisce a più di un lavoratore).

5)     Viene fissato in capo al datore di lavoro l’obbligo di comunicare al lavoratore assunto a tempo determinato di usufruire del diritto di precedenza, che è previsto sia per le successive assunzioni a termine che per quelle a tempo indeterminato.


Casi in cui è importante indicare le motivazioni dell’assunzione a termine

Dopo aver ribadito preliminarmente che la motivazione nel contratto a termine non costituisce più un obbligo fino ad un massimo di 36 mesi, si evidenzia - come già in precedenza rilevato - che in alcune ipotesi il datore di lavoro può avere interesse ad indicare le ragioni giustificatrici dell’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato.
Si pensi, ad esempio, ai contratti a termine stipulati per motivi sostitutivi; in tali casi, infatti, sono previsti:
-        l’esenzione dal pagamento del contributo INPS maggiorato dell’1,4% per i mesi di durata del rapporto; va ricordato, al riguardo, che tale maggiorazione fu introdotta dalla legge 92/2012 (cd. legge Fornero) come deterrente per l’instaurazione di contratti a termine (anche se invero non ha realizzato il suo obiettivo) e non è dovuta per le ipotesi di assunzione a tempo determinato, allorquando l’assunzione stessa avviene per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro (sospensione legale);
-        lo sgravio contributivo del 50% per le aziende che occupano meno di 20 dipendenti, se l’assunzione avviene con contratto a termine per sostituire lavoratrici assenti per maternità (art. 4 D.lgs. 151/01);
-        il mancato computo nel limite massimo della misura percentuale (20%), prevista dalla legge per l’effettuazione di assunzioni a termine: le assunzioni effettuate per motivi sostitutivi, cioè, devono considerarsi “neutre” ai fini del conteggio della misura percentuale di assunzioni a tempo determinato consentita dalla legge.   

Altra ipotesi, nella quale può essere utile, per i datori di lavoro che assumono a termine, indicarne le motivazioni, è quella delle assunzioni effettuate per stagionalità.
Infatti, in primo luogo le assunzioni a tempo determinato effettuate per motivi legati alla stagionalità dell’attività non sono conteggiate nel limite massimo di 36 mesi complessivi di lavoro a termine consentito per un lavoratore presso lo stesso datore di lavoro o presso il medesimo utilizzatore.
Inoltre, per le assunzioni di lavoratori stagionali non vige la necessità dello “stacco” tra un contratto a termine e quello successivo (il cd. “stop and go”), ben potendosi infatti effettuare assunzioni a tempo determinato di un lavoratore stagionale, senza che tra un contratto e quello successivo intercorrano i prescritti 20 o 30 giorni (a seconda che il primo contratto sia inferiore o superiore a 6 mesi).
Da ultimo, come per le assunzioni a termine effettuate per motivi sostitutivi, anche per quelle a tempo determinato dovute a stagionalità dell’attività non si pagano i contributi Inps maggiorati dell’1,4% e le stesse non si conteggiano nel limite massimo di legge del 20% di assunzioni a termine, introdotto dal D.L. 34/2014.

Infine, appare opportuno che vengano indicate le motivazioni dell’assunzione a termine in tutti quei casi in cui i contratti a tempo determinato instaurati non sono disciplinati dal D.lgs. 368/2001 e s.m.i., per i quali non vigono dunque tutte le regole e le previsioni contenute nel susseguirsi di provvedimenti legislativi che hanno modificato il dettato normativo originario (acausalità, prosecuzione di fatto consentita dopo la scadenza del termine, successive riassunzioni a termine, conversione a tempo indeterminato ecc.).
Mi sto riferendo, nello specifico, ai contratti di lavoro a tempo determinato per lavoro intermittente (disciplinati dagli artt. 33 e ss. del D.lgs. 276/03 e s.m.i.), nei quali – ad esempio - la durata massima complessiva consentita è di 400 giorni lavorativi in 3 anni ed ai contratti a termine stipulati con lavoratori in mobilità, regolamentati dall’art. 8, comma 2 della legge 223/91, che consentono soprattutto l’accesso a consistenti benefici contributivi. 


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