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Rinuncia del lavoratore alla retribuzione sancita dal CCNL e dalla normativa: quali sono i limiti?

In questo articolo ci occuperemo di un aspetto riguardante la possibilità per il lavoratore dipendente a rinunciare a un diritto sancito dalla contrattazione collettiva di settore e dalla normativa vigente.

Nello specifico l'analisi verterà sulla possibilità di rinunciare alla retribuzione.

Il nostro ordinamento prevede che vi siano per il lavoratore dei c.d. diritti derogabili (per i quali è ammessa quindi una discrezionalità di scelta da parte del lavoratore) e diritti inderogabili che invece risultano indisponibili per il lavoratore in quanto posti dal Legislatore a garantire una tutela minima.

In relazione all'aspetto economico del rapporto di lavoro, a titolo esemplificativo rientrano tra i diritti economici  derogabili i superminimi o eventuali indennità aggiuntive connesse a un accordo tra le parti.
Sono invece diritti economici inderogabili il minimo contrattuale, le mensilità aggiuntive previste dal CCNL, le indennità riconosciute in relazione ai c.d. eventi tutelati (malattia, maternità, infortunio, congedi).

In relazione a quanto in premessa, volendo rispondere alla domanda "E' possibile rinunciare alla retribuzione?", possiamo dire che ne viene comunque riconosciuta la facoltà al lavoratore, anche sulla parte "inderogabile", ma a patto che la rinuncia stessa costituisca una decisione da cui scaturisca una condizione migliorativa di alcune previsioni di legge o contrattuali.

Va comunque sottolineato che la rinuncia, seppur legittimata sotto un profilo contrattuale, non è tuttavia considerata tale sotto un profilo previdenziale e assicurativo imponendo, pertanto, al datore di lavoro comunque l'obbligo all'assolvimento contributivo e assicurativo per l'intero trattamento riconosciuto dalla contrattazione collettiva, come confermato anche dall'interpretazione fornita dal MLPS nella nota 26/2015 in risposta a un Interpello.





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