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La verifica di legittimità del recesso dopo il termine del blocco dei licenziamenti

Con l'avvicinarsi del termine del divieto generalizzato dei licenziamenti per GMO istituito dalla normativa emergenziale che al 31/10/2021 riguarderà i settori terziario, artigiano e tessile che hanno completato o non utilizzeranno (entro il 31/12/21) la cassa integrazione con causale COVID 19, per numerose aziende ci si troverà di fronte all'esigenza di allestire un tavolo di programmazione di eventuali esuberi aziendali derivanti da piani di ristrutturazione e/o riorganizzazione.

Per completezza ricordiamo che per le aziende industriali (il cui divieto generalizzato è terminato lo scorso 30/06/2021) che sono state oggetto dei provvedimenti di concessione di ulteriori trattamenti di integrazione salariale ex DL 73/2021 e DL 99/2021 dal 01/07/2021, allo stato attuale sembrerebbe ancora non pienamente chiarito se l'utilizzo (anche parziale) della cassa integrazione sia già di per se vincolante ad un implicito divieto sino al 31/12/2021 (termine ultimo per la fruizione della cassa integrazione emergenziale o con deroga) o al completamento delle settimane a disposizione concesse dal DL suddetti.

Terminato al 31/10/2021 o successivamente il divieto di licenziamento "emergenziale" è giusto ribadire come la pianificazione e l'attivazione di un licenziamento per GMO debba in ogni caso passare al vaglio di verifica di legittimità nelle motivazioni che lo hanno generato.

Quando parliamo di licenziamento per GMO afferiamo al recesso che unilateralmente il datore di lavoro intende operare funzionalmente all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.
La decisione del datore di lavoro di operare unilateralmente il recesso per motivazioni che riguardano una personale e non sindacabile scelta imprenditoriale è di per se legittimata nel principio di libertà dell’attività economica privata, sancito dall’art. 41 della Costituzione in base al quale l'iniziativa economica privata è libera.

Tuttavia il medesimo art. 41 stabilisce dei limiti alla libertà di iniziativa dell'imprenditore sancendo che la medesima non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

E' sostanzialmente in questo secondo capoverso che il Legislatore insinua la verifica di legittimità cui l'iniziativa imprenditoriale è richiamata all'atto del licenziamento, di qualsiasi natura, e per cui la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Nello specifico del licenziamento per GMO le attività di valutazione si basano su specifici principi generali che devono sussistere affinché il licenziamento sia rinvenibile come "unica soluzione" per la salvaguardia dei fini imprenditoriali, ovvero legittimo:
  • le esigenze aziendali richiamate nella motivazione della lettera di licenziamento devono essere effettive e oggettivamente dimostrabili;
  • inequivocabile nesso causa-effetto tra le esigenze aziendali e la soppressione della specifica posizione lavorativa;
  • impossibilità di ricollocare proficuamente il dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale (obbligo di repechage).
Nonostante è unanimamente interpretazione giurisprudenziale consolidata che l'organizzazione dell'attività aziendale, nei fini e nei modi, non è sindacabile dal giudice, in ogni caso all'atto di una verifica di legittimità del recesso per GMO l’onere della prova  è in capo al datore di lavoro.




Articolo di Bruno Olivieri
(Consulente del Lavoro in Pescara)

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