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L'apposizione di un termine di durata

Mentre prima della metà degli anni settanta l’apposizione di un termine al contratto di lavoro era vista con un netto sfavore dal legislatore e rappresentava un’ipotesi assai residuale nel panorama del mercato del lavoro, a partire dal D. Lgs. n. 368/2001, al contratto di lavoro a termine è stato riconosciuto un ruolo di primo piano, anche in considerazione della necessità di introdurre meccanismi di flessibilizzazione, mirati a contrastare la crisi occupazionale che andava sempre di più dilagando. Oggi, dunque, il contratto di lavoro può essere stipulato non solo a tempo indeterminato, ma anche con un termine di durata, a prescindere dal ricorrere di particolari causali. In merito alla forma, è da precisare che l’apposizione del termine, essendo, almeno in via di principio, clausola sfavorevole per il lavoratore, deve risultare da atto scritto, ove andranno specificate anche le motivazioni che hanno indotto le parti ad apporre siffatto termine, pena la nullità del contratto. Al fine di evitare un eccessivo prolungarsi dell’instabilità temporale del rapporto (che andrebbe ad incrementare il fenomeno noto con il nome di “precariato”), il legislatore ha introdotto particolari ostacoli e limiti alle proroghe del termine, variabili a seconda della durata iniziale del contratto; in caso di violazione di siffatti vincoli, è prevista perfino la trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato, sanzione che viene applicata anche nelle ipotesi di tentativo di aggiramento della normativa appena vista, tramite il ricorso a una pluralità di contratti di lavoro a termine protratti nel tempo.

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