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Potere disciplinare

Qualora il lavoratore risulti inadempiente rispetto a uno dei suoi obblighi, compresi quelli “accessori” (come, ad esempio, i doveri di diligenza, obbedienza e fedeltà appena esaminati), il datore di lavoro sarà legittimato ad esercitare un’altra delle numerose esplicazioni del suo potere direttivo: il potere disciplinare. L'art. 2106 c.c., in proposito, fissa soltanto due limiti all'esercizio di quest’ultimo: le sanzioni possono essere irrogate solo in caso di effettivo inadempimento dell'obbligazione lavorativa e devono comunque essere proporzionate. L’art. 7 del c.d. Statuto dei lavoratori (legge n. 300/1970), dal canto suo, prevede altri limiti, anche dal punto di vista procedurale. Esso, infatti, da un lato, condiziona l’esercizio del potere disciplinare all'adozione di un codice disciplinare aziendale, che va portato a conoscenza dei lavoratori (mediante affissione in luogo accessibile a tutti) e dal quale risultino evidenti le infrazioni e le relative sanzioni. Dall’altro lato, fermo restando il rinvio a quanto stabilito dagli accordi e contratti di lavoro applicabili alla rispettiva categoria, la norma citata vieta al datore di lavoro di adottare provvedimenti disciplinari nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

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