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Livello d'inquadramento dipendente assunta in sostituzione maternità

In caso di sostituzione per maternità il livello d'inquadramento del lavoratore che va a sostituire la dipendente assente non deve essere necessariamente lo stesso, in quanto il datore di lavoro ha la facoltà di organizzare diversamente l'attività lavorativa.
Comunque per maggiore chiarezza si espone di seguito un'ampia trattazione della materia.

L'attribuzione della qualifica deve essere operata dal datore di lavoro all'atto dell'assunzione in relazione alle mansioni che il lavoratore è destinato a svolgere e deve essere rivista, nel corso del rapporto, qualora il lavoratore sia adibito a mansioni diverse e corrispondenti ad un livello di inquadramento superiore a quello originariamente attribuitogli (art. 96, disp. att. cod. civ.; art. 2103, cod. civ.).

Secondo la giurisprudenza l'inquadramento del lavoratore - sia che avvenga all'atto dell'assunzione sia che debba essere determinato a seguito del mutamento delle mansioni normalmente svolte dal lavoratore - si determina mediante un procedimento logico che si articola in tre fasi:

-accertamento dell'attività lavorativa concretamente svolta;
-esame delle categorie, qualifiche e livelli d'inquadramento previsti dal contratto collettivo applicabile al rapporto;
-determinazione della categoria e della qualifica o livello di inquadramento del lavoratore in cui sono sussumibili le mansioni concretamente svolte dal lavoratore.

Al riguardo la giurisprudenza ha affermato che:
-ai fini della determinazione dell'inquadramento del lavoratore occorre attenersi alle norme che i contratti collettivi dettano in materia, senza poterne prescindere e senza poter introdurre criteri determinativi in sostituzione o in aggiunta a quelli stabiliti dal contratto stesso a meno che quelle norme non pongano in essere irragionevoli disparità di trattamento tra lavoratori;
sono legittime le clausole degli accordi aziendali in materia di inquadramento dei lavoratori;
-gli accordi aziendali non possono essere posti sullo stesso piano dei negozi di accertamento, onde non hanno efficacia vincolante e non precludono al giudice l'indagine sulla effettiva corrispondenza tra mansioni disimpegnate e inquadramento attribuito;
la determinazione della qualifica o della posizione lavorativa in genere, spettante ad un lavoratore, non è influenzata dall'inquadramento attribuito ad altri lavoratori che svolgono mansioni analoghe (c.d. comparazione intersoggettiva) ancorchè eventuali differenze di trattamento tra lavoratori debbano pur sempre essere sorrette da una adeguata "causa giustificatrice";
-l'attribuzione di una qualifica superiore al dipendente che continui ad esercitare mansioni di ordine inferiore può costituire un trattamento di miglior favore che, di per sè, non dà automaticamente diritto al riconoscimento di eguale qualifica anche per il tempo anteriore in cui sia stata svolta la medesima attività lavorativa;
la qualifica alla quale il lavoratore ha diritto è determinata esclusivamente dalle mansioni che, di fatto, egli svolge, onde la qualifica indicata all'atto di avviamento al lavoro (anche obbligatorio) non ha valore ai fini dell'inquadramento del lavoratore (si v. al riguardo infra).
Si evidenzia, inoltre, che la giurisprudenza ha affermato che, ai fini della determinazione della qualifica, deve ritenersi irrilevante il titolo di studio posseduto dal lavoratore a meno che le parti collettive, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, abbiano inteso conferire valore al requisito formale costituito dal possesso del titolo di studio.

In ogni caso, la previsione - da parte della contrattazione collettiva - della necessità del possesso di un titolo di studio per l'attribuzione di una determinata qualifica, non impedisce che questa debba essere riconosciuta, nel caso di esercizio di fatto delle corrispondenti mansioni, anche al lavoratore sfornito di detto titolo, salvo che si tratti di qualifica comportante mansioni (come, ad esempio, quelle del medico, dell'ingegnere, del vigilatore d'infanzia) per il cui svolgimento la legge richiede una determinata abilitazione professionale.

In applicazione della legge n. 205/1966, il possesso di un diploma di qualifica rilasciato da un Istituto professionale è valevole ai fini dell'inquadramento del lavoratore, dopo un periodo di inserimento nel lavoro da definirsi in sede di contrattazione collettiva e comunque non superiore ad un anno.

Al riguardo il Ministero del lavoro, con la circolare n. 117967/1969, ha precisato che durante tale periodo di inserimento non intercorre un rapporto di apprendistato, ma è in atto un ordinario rapporto di lavoro nel quale lo "status" di lavoratore qualificato non si riflette integralmente sul piano contrattuale se non al termine del periodo stesso (non superiore ad un anno).

Peraltro, in base all'art. 1, L. n. 1146/1967, l'attestato di qualifica conseguito dai lavoratori in base all'art. 52, comma 4, della L. n. 264/49 (nonchè quelli di cui all'art. 14, L. n. 845/78 e al D.M. 11 luglio 1986), è valido, ai fini dei rapporti contrattuali di lavoro, dopo un periodo di occupazione, da determinarsi in sede di contrattazione collettiva e che in ogni caso non potrà essere superiore ai sei mesi, in mansioni proprie della qualifica stessa.

Con riferimento a quest'ultimo attestato la legge precisa che in tale periodo di occupazione il lavoratore può essere considerato come tirocinante con diritto alla retribuzione prevista dai contratti collettivi per gli apprendisti, aspiranti al conseguimento della stessa qualifica.

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