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Ravvedimenti più costosi da febbraio 2011


Diminuite dalla legge di stabilità le riduzioni delle sanzioni.

IMMAGINE

Le sanzioni dal 1° febbraio

* per i versamenti omessi, carenti o tardivi sanati entro 30 giorni, la sanzione passa da un dodicesimo a un decimo del minimo (dal 2,5% al 3%)

* per regolarizzazioni effettuate entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno nel corso del quale è stata commessa la violazione (o, quando non è prevista dichiarazione, entro un anno dalla violazione), la sanzione sale da un decimo a un ottavo del minimo (“ravvedimento lungo” 3,75%, non più il 3%)

* per omessa presentazione della dichiarazione (massimo 90 giorni), la sanzione passa a un decimo del minimo, cioè 25 euro (attualmente è 21 euro, un dodicesimo del minimo).


Fonte : Consulenti del Lavoro.it

WELFARE TO WORK INCENTIVI ALLE ASSUNZIONI

Avviso pubblico finalizzato all'inserimento di lavoratori svantaggiati e destinato ad aziende con meno di 50 dipendenti. Coinvolti i CPI della Provincia

Il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, la Regione Abruzzo ed Italia Lavoro S.p.A promuovono sul territorio l'iniziativa denominata Azione di Sistema Welfare To Work per le Politiche di Re-Impiego, finalizzata all'inserimento di "lavoratori svantaggiati" (così come definiti dal regolamento CE n. 800/2008), attraverso azioni di sostegno, incentivazione e formazione.

L'iniziativa si propone infatti di coinvolgere direttamente il sistema dei datori di lavoro (imprese e soggetti ad esse assimilabili), attivando una serie di misure e di incentivi finalizzati all'assunzione di determinate categorie di soggetti target.

Welfare to work prevede un bonus per datori di lavoro e imprese della regione con meno di 50 dipendenti. Il rapporto di lavoro puó essere a tempo determinato o indeterminato ma i bonus saranno differenti: nel primo caso sarà di 2.000 euro, ma il contratto dovrà essere di almeno 12 mesi; nel secondo sarà di 5.000 euro.
Stesso bonus in caso di assunzione con contratto di apprendistato e di trasformazione del contratto da tempo determinato, inferiore a 12 mesi, a tempo indeterminato.

La procedura sarà a sportello e le domande potranno essere presentate a partire dal 20 gennaio 2011.

L'intervento viene realizzato in collaborazione con le Province attraverso i Centri per l'Impiego. L'iniziativa prevede, a cura dei Servizi per l'Impiego locali (SPI), una serie di servizi alle imprese consistenti in:
- ricerca, preselezione e selezione del personale;
- consulenza normativa;
- consulenza sul sistema di convenienze


In allegato:

1) Avviso Pubblico;

2) modello Istanza per l'ammissione degli incentivi;

3) Dichiarazione sostitutiva

4) Autocertificazione incremento occupazionale

Tentativo di conciliazione: nuova procedura dopo il collegato lavoro

La procedura per l’attivazione del tentativo di conciliazione dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione risulta profondamente modificata.

Infatti , la richiesta di conciliazione debitamente compilata deve essere sottoscritta da chi la propone (lavoratore, datore di lavoro o committente) in originale, consegnata a mano o spedita con raccomandata A/R o inviata a mezzo e-mail certificata alla DPL. Inoltre essa deve essere, in copia, consegnata a mano ovvero spedita con raccomandata A/R o inviata a mezzo e-mail certificata alla controparte.

Tuttavia , allorquando le parti hanno già preventivamente raggiunto una intesa, la richiesta potrà essere presentata congiuntamente nelle stesse modalità anzidette.

Comunque resta sempre escluso rinvio a mezzo fax, non espressamente previsto dal Legislatore.

Si precisa peraltro che, in riferimento alla rappresentanza (del ricorrente e del convenuto) ,nulla cambia per la delega a conciliare e transigere che seguiterà ad essere rilasciata davanti ad un notaio o ad un funzionario della Direzione provinciale del lavoro con piena validità, mentre risulterà non ammissibile la autentica rilasciata dall’addetto del Comune o dall’Avvocato che rappresenta e assiste il proprio cliente.

La richiesta di conciliazione interrompe il decorso della prescrizione e sospende il decorso di ogni termine di decadenza per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione.

In merito al contenuto della richiesta di conciliazione ,si sottolinea che la stessa deve contenere (art. 410, comma 6): le generalità di entrambe le parti; l’indicazione del luogo della conciliazione (quello dove è sorto il rapporto, quello dove ha sede l’azienda o la sua dipendenza cui è addetto il lavoratore, quello dove il lavoratore prestava la sua opera alla fine del rapporto); l’indicazione del luogo dove devono essere fatte le comunicazioni; l’esposizione dei fatti e delle ragioni che li sostengono.

La nota ministeriale in esame prevede che compete ai funzionari della Direzione provinciale del lavoro di verificare che la richiesta possegga i contenuti essenziali richiesti, affinché gli stessi vengano eventualmente integrati, qualora siano parzialmente omessi, mentre la totale mancanza degli elementi indicati rende la richiesta improcedibile, salvo che la controparte si costituisca, presentando le proprie memorie, in tal caso l’Ufficio territoriale informerà il ricorrente affinché proceda ad integrare la propria richiesta.

Laci F.



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Il tentativo di conciliazione presso la DPL dopo il collegato lavoro e la fase transitoria

Pubblicato da Daniele Rag. Scorrano


di Antonio Saccone
Avvocato - Funzionario della DPL di Pescara - Responsabile Affari Legali e del Contenzioso



Le considerazioni che seguono sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza.



Introduzione


Dopo un lungo iter parlamentare, che è passato anche attraverso un rinvio alle Camere da parte del Capo dello Stato per il riesame di alcuni provvedimenti in essa contenuti, è stata definitivamente approvata la legge 4 novembre 2010, n. 183 ( il cd. Collegato lavoro).
La norma, che consta di 50 articoli, è stata pubblicata sul S.O. n. 243 alla Gazzetta Ufficiale n. 262 del 4.11.2010 ed è entrata in vigore in data 24.11.2010.
Il provvedimento contiene molte innovazioni in materia di lavoro, previdenza e legislazione sociale nonché misure contro il lavoro sommerso, modifiche in tema di accesso ispettivo, potere di diffida e verbalizzazione unica, di certificazione del contratto di lavoro, di apprendistato, di orario di lavoro, di contratto a tempo determinato ecc., ma forse la novità di maggior impatto per gli operatori del mondo del lavoro è la nuova disciplina fissata dall’art. 31, rubricato “conciliazione e ’arbitrato”.
In estrema sintesi, le innovazioni fondamentali al riguardo sono:
1) per effetto della riscrittura degli artt. 410 e 411 c.p.c., il tentativo di conciliazione che si svolge presso le Direzioni provinciali del lavoro (DPL) da obbligatorio diventa facoltativo; sul punto è di recente intervenuto il Ministero del Lavoro, che - in assenza di una disciplina transitoria nella norma - ha fornito alle proprie strutture territoriali le prime istruzioni operative con la nota del Segretariato Generale prot. n. 3428 del 25.11.2010;
2) a seguito dell’abrogazione degli artt. 410bis e 412bis c.p.c. nonché dell’introduzione dei novellati artt. 412, 412ter e 412quater c.p.c., viene prevista la possibilità della risoluzione arbitrale delle controversie attraverso la Commissione provinciale di conciliazione istituita presso la DPL, mediante forme arbitrali previste dalla contrattazione collettiva (oppure da contratti individuali, le cui clausole compromissorie siano state certificate da uno degli organismi a ciò preposti), nonché a mezzo dell’arbitrato espressamente disciplinato dalla legge all’art. 412quater c.p.c., come modificato;
3) infine, la definizione delle controversie individuali di lavoro potrà aversi anche tramite camere arbitrali, costitute ex art. 808ter c.p.c. presso gli organi di certificazione di cui all’art. 76 D.Lgs. 276/03 (Enti bilaterali, DPL, Province, Università pubbliche e private - comprese le Fondazioni, la D.G. Tutela e Condizioni di lavoro del MLPS, i consigli provinciali dei consulenti del lavoro).
Dunque, il nuovo sistema delle conciliazioni amministrative ridisegnato dal collegato prevede un (solo eventuale) tentativo di conciliazione presso la DPL, all’esito (ovvero nel corso) del quale viene consentita alle parti la possibilità - su base volontaria - di definire le controversie relative a rapporti di lavoro privati e di pubblico impiego con forme arbitrali varie, alternative al giudizio: l’obiettivo è quello di deflazionare l’attività giudiziaria in materia di lavoro.
Questo commento focalizzerà l’attenzione essenzialmente sul tentativo di conciliazione presso le Direzioni provinciali del lavoro e, dopo un excursus sulle modalità di espletamento dello stesso nel corso degli anni, cercherà di evidenziare le più significative modifiche intervenute in materia con il collegato lavoro, non tralasciando gli aspetti operativi della fase transitoria (dall’entrata in vigore della legge fino alla data di scadenza del regime di prorogatio delle Commissioni provinciali di conciliazione: 8.1.2011).

Come si è evoluto il tentativo di conciliazione presso la DPL

La conciliazione delle controversie di lavoro è una funzione istituzionale “antica” del Ministero del Lavoro, rinvenibile già nella legge 628/61, con la quale furono fissate le competenze del predetto Dicastero.
La materia è stata attraversata nel corso degli anni da una continua evoluzione normativa; le modifiche intervenute nell’ordinamento al riguardo sono state tante e fortemente innovative, con la conseguenza che si è registrato spesso anche un cambiamento dell’attività e del ruolo degli uffici preposti all’espletamento della funzione (in passato Uffici Provinciali del Lavoro e Massima Occupazione, oggi Direzioni Provinciali del Lavoro).
Per quanto attiene all’attività di conciliazione delle controversie individuali di lavoro privato, essa è stata svolta per molti anni con modalità che vedevano impegnato un singolo funzionario (una sorta di conciliatore monocratico ante litteram), il quale tentava la mediazione delle opposte posizioni rappresentate dalle parti.
E’ stato così dal 1961 fino all’entrata in vigore della legge 11 agosto 1973, n. 533 che istituì in ogni provincia, presso gli uffici periferici del MLPS, la Commissione provinciale di conciliazione.
Da quel momento, innanzi a tale organo collegiale fu previsto l’esperimento del tentativo di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c., tentativo che era facoltativo.
L’intenzione del legislatore della L. 533/73 era quella di realizzare un duplice obiettivo:
definire le controversie di lavoro in tempi rapidi e con costi ridotti;
deflazionare l’attività giudiziaria, con conseguente accelerazione delle cause in materia di lavoro.
Senonchè, il carattere facoltativo del tentativo in parola e le difficoltà di funzionamento che nel corso degli anni hanno incontrato le Commissioni di conciliazione (non disciplinate in maniera organica ed alle quali i componenti partecipano senza percepire alcun compenso, neanche sotto forma di gettone di presenza) hanno fatto sì che il buon esito dell’attività dipendesse essenzialmente dalla presenza o meno di “cultura conciliativa” nelle diverse realtà geografiche e/o dall’autorevolezza dell’esercizio del ruolo da parte della Commissione stessa.
In qualche provincia le cose non andarono male; tuttavia, complessivamente - a livello generale - si può dire che l’esperienza del tentativo facoltativo di conciliazione non funzionò e, soprattutto, non si realizzò quell’effetto deflativo che il legislatore si era proposto: anzi, all’inverso, in conseguenza della crescita del contenzioso dovuta allo sviluppo economico ed occupazionale, si verificò un “ingolfamento” delle aule giudiziarie ancora più consistente.
I tempi lunghi per la definizione delle questioni nonché il sovraffollamento delle aule giudiziarie, dunque, indussero il legislatore a ripensare il sistema delle conciliazioni amministrative in riferimento alle controversie individuali di lavoro.
Con il D.Lgs. 31.3.1998, n. 80 - entrato in vigore in data 23.4.1998 e successivamente modificato dal D.Lgs. 29.10.1998, n. 387 - si realizzò uno dei più significativi cambiamenti dell’ordinamento in materia: il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 410 c.p.c. divenne obbligatorio.
Lo stesso D.Lgs. 80/98, altresì, innovò in tema di giurisdizione relativa alle controversie individuali di lavoro dei dipendenti pubblici che, con decorrenza 1.7.1998, passarono dalla giurisdizione del giudice amministrativo a quella del giudice ordinario in funzione di Giudice del lavoro.
Anche con riferimento a tali controversie, il legislatore - ragionando con l’intento di snellirne i tempi di definizione, che innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali erano quasi “biblici” e cercando di perseguire l’obiettivo del minor affollamento dei suddetti Tribunali - introdusse la previsione dell’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione, da svolgersi sempre presso gli uffici periferici del MLPS, non già innanzi la Commissione bensì davanti ad un Collegio di conciliazione, costituito di volta in volta per ogni controversia.
Pertanto, da un quadro normativo che si basava sull’esperimento del tentativo facoltativo di conciliazione, si passò ad un sistema per effetto del quale l’ordinamento giuridico contemplò l’obbligatorietà dello stesso, sia per rapporti di lavoro privati che per le controversie dei dipendenti pubblici.
Riguardo, poi, alla composizione degli organi collegiali di cui ci stiamo occupando, va evidenziato che la Commissione di conciliazione è istituita in ogni provincia: è presieduta dal Direttore DPL o da un suo delegato ed è composta in maniera paritetica da n. 8 rappresentanti dei datori di lavoro e da n. 8 rappresentanti dei lavoratori, designati rispettivamente dalle Associazioni datoriali e dalle Organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Per la validità delle riunioni della stessa, tuttavia, è sufficiente la presenza di tre componenti: il Presidente, un rappresentante dei datori di lavoro e uno dei lavoratori.
Inoltre, in alcune realtà di particolare rilevanza ovvero per motivi di dislocazione geografica, possono essere istituite (come in qualche caso è avvenuto) sottocommissioni della Commissione Provinciale.
Il tentativo di conciliazione per controversie di lavoro di dipendenti pubblici, invece (ed è stato così fino all’entrata in vigore del collegato), si svolgeva innanzi ad un Collegio di conciliazione, presieduto dal Direttore DPL o da un suo delegato e composto da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell’Amministrazione datrice di lavoro.
Esso si costituiva di volta in volta per ogni controversia, variando dunque nella sua composizione a seconda delle designazioni intervenute, a differenza della Commissione di conciliazione che è, invece, permanentemente insediata e costituita dagli stessi membri.
Il Collegio di conciliazione per l’espletamento del tentativo nelle controversie dei pubblici dipendenti risulta oggi espressamente abrogato per effetto delle previsioni della nuova disciplina normativa.
Qualche indicazione, infine, va fornita in ordine alle modalità di esperimento dei due suddetti tentativi, così come risultanti dal quadro normativo di riferimento ante collegato.
Il tentativo di conciliazione innanzi la Commissione era, per così dire, “ a rito libero”, in quanto non esisteva alcuna disciplina particolare che ne regolasse l’espletamento; inoltre esso doveva essere esperito entro 60 giorni dalla sua attivazione e ciò costituiva condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Invece, il tentativo di conciliazione per le controversie dei dipendenti pubblici, che presentava un iter procedurale più complesso rispetto a quello delle controversie private, si esauriva con il decorso del termine di 90 giorni dalla sua attivazione, trascorsi i quali si rimuoveva la condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Entrambi i tentativi potevano concludersi:
con verbale di accordo, cui non si applicavano le disposizioni di cui ai primi tre commi dell’art. 2113 c.c., con la conseguenza che le intese realizzate erano immediatamente inoppugnabili e, se non rispettate - previo deposito - divenivano titolo esecutivo;
con verbale di mancata conciliazione;
con verbale di assenza/mancata costituzione di una o entrambi le parti .

Qualche considerazione sul tentativo obbligatorio di conciliazione (t.o.c.)

Come già detto, il tentativo obbligatorio di conciliazione fu introdotto nel nostro ordinamento essenzialmente con un intento deflativo, per evitare - cioè - l’eccessivo affollamento delle aule giudiziarie.
A distanza di diversi anni, tuttavia, a livello generale (anche se esistono situazioni in cui si sono realizzati buoni risultati grazie agli enormi sforzi compiuti da Presidenti e/o da componenti di Commissione), non si può che pervenire alla conclusione che l’obiettivo del legislatore del D.Lgs. 80/98 non si è realizzato.
Cerchiamo di analizzare e, se possibile, comprendere i motivi di tale risultato negativo:
a) in molte province, per gli eccessivi carichi di lavoro, la Commissione e/o i Collegi non riuscivano a rispettare i termini di legge (60/90 giorni) per il suo espletamento, con la conseguenza che la parte attrice presentava la domanda giudiziale senza averlo di fatto preliminarmente svolto;
b) in alcune realtà, anche perché non è previsto alcun tipo di compenso per i suoi componenti - nemmeno a titolo di rimborso delle spese sostenute (come già rilevato) - la Commissione non sempre raggiungeva il numero legale per la validità delle sue riunioni;
c) pur essendo previsto dalla legge che il giudice valutasse ai fini delle spese il comportamento tenuto dalle parti nel corso dello svolgimento del tentativo, molto frequentemente la parte convenuta - di solito l’azienda (o l’Ente) - sceglieva strategicamente di non presenziare al suo espletamento; il dato statistico nazionale di questo fenomeno è stato stimato intorno al 25% e cresce sensibilmente in riferimento ai datori di lavoro pubblici, rasentando il 50% per le Pubbliche Amministrazioni.
Ciò si verificava essenzialmente per due ordini di ragioni: in primo luogo, in alcuni casi l’azienda (o l’Ente) confidava nel fatto che parte attrice non desse un seguito giudiziario al tentativo stesso; altre volte, il datore di lavoro valutava conveniente ritardare i tempi di definizione (e quindi di pagamento) della questione oggetto di lite;
d) frequentemente il ruolo della Commissione e/o del Collegio veniva svolto in maniera “notarile”, nel senso che essi si limitavano esclusivamente a registrare le posizioni espresse dalle parti, non formulando proposte conciliative per la composizione della lite.
In conseguenza di tutto quanto sopra, il tentativo obbligatorio di conciliazione era di fatto divenuto soltanto un mero passaggio burocratico, che appesantiva piuttosto che snellirlo l’iter procedurale e che si attivava solo perché era obbligatorio farlo.
Con il collegato lavoro, dunque, si è preso atto del mancato raggiungimento dell’obiettivo che il legislatore si era posto ed è stato ripensato nuovamente il sistema delle conciliazioni stragiudiziali.

Come è cambiato il tentativo di conciliazione con il collegato lavoro

In primo luogo, ribadito che dalla data del 24.11.2010 tutti i tentativi di conciliazione in materia di lavoro, relativi a controversie private e di lavoratori pubblici, sono ritornati ad essere facoltativi, si segnala che l’unica eccezione è costituita dal tentativo di conciliazione inerente i rapporti di lavoro certificati dagli appositi organismi.
Per quanto riguarda eventuali controversie relative a tali rapporti, infatti, la proposizione della domanda giudiziale dovrà essere preceduta dall’attivazione del tentativo di conciliazione (che continua ad essere pertanto condizione di procedibilità dell’azione) innanzi l’organo che ha effettuato la certificazione; in tali casi, dunque, il tentativo rimane obbligatorio.
In merito va precisato che - come espressamente previsto dalla nota MLPS prot. n. 3428 del 26.11.2010 - il tentativo in parola dovrà essere effettuato con le modalità descritte nel nuovo art. 410 c.p.c. e che esso è obbligatorio non solo per le parti che hanno sottoscritto il contratto certificato, ma anche per i terzi interessati (es. gli enti: INPS, INAIL) che intendano agire in giudizio contro l’atto di certificazione.
Dunque, dal 24.11.2010 - ad eccezione delle controversie relative a rapporti di lavoro certificati - chiunque intenda agire in giudizio per una questione inerente il proprio rapporto di lavoro (pubblico o privato) non è più obbligato ad attivare il tentativo di conciliazione presso la DPL ed attendere i 60 ovvero 90 giorni per la proposizione del ricorso, ma potrà farlo direttamente, anche senza espletare alcun tentativo.
Inoltre, per effetto della espressa abrogazione degli artt. 65 e 66 D.Lgs. 165/01, scompare l’organismo deputato all’espletamento del tentativo di conciliazione per i lavoratori pubblici (il Collegio di conciliazione), con la conseguenza che - con il nuovo regime - se vi sarà volontà di attivare un tentativo di conciliazione per un rapporto di lavoro pubblico, dovrà anch’esso essere esperito innanzi la Commissione di conciliazione, che rimarrà dunque l’unico organismo collegiale preposto all’espletamento dei tentativi (facoltativi) in parola.
La Commissione di conciliazione, poi, cambia anche nella sua composizione: anzitutto, la sua presidenza potrà essere affidata, oltre che al Direttore della DPL o ad un suo delegato - come in passato - anche ad un magistrato a riposo: quest’ultima appare una previsione finalizzata a dare maggior prestigio ad un organismo che potrà essere chiamato anche a funzioni arbitrali.
Ma soprattutto, si modifica radicalmente il meccanismo di individuazione della rappresentatività sindacale nel suo seno: mentre in passato, infatti, la composizione della Commissione era basata sul criterio della rappresentanza comparativamente maggiore su base nazionale, la nuova normativa prevede che l’organismo debba comporsi delle organizzazioni ed associazioni comparativamente più rappresentative su base territoriale.
In tale ottica, in conseguenza dell’entrata in vigore della legge 183/2010, le Direzioni provinciali del lavoro dovranno procedere tempestivamente a rifare le indagini di rappresentatività sindacale su base territoriale, secondo criteri già a suo tempo indicati per la ricostituzione dei Comitati Inps.
La già citata nota MLPS n. 3428 del 26.11.2010 fornisce precise indicazioni alle articolazioni periferiche del Ministero del Lavoro, sostanzialmente disponendo da un lato che esse procedano alla ricostituzione delle Commissioni (e sottocommissioni) provinciali di conciliazione entro il termine di 45 giorni dall’entrata in vigore del collegato (ossia entro l’8 gennaio 2011), avendo ben presente che la rappresentatività sindacale va verificata non più su base nazionale ma a livello territoriale e, per altro verso, dando istruzioni per il prosieguo dell’attività delle stesse Commissioni in regime di prorogatio.
A mente del D.L. 293/1994, convertito nella legge 15 luglio 1994, n. 444 in regime di prorogatio gli organi collegiali (e, quindi anche la Commissione provinciale di conciliazione) possono adottare “gli atti di ordinaria amministrazione nonché gli atti urgenti ed indefettibili, con l’indicazione specifica dei motivi di urgenza ed indefettibilità”: non sembrano poterci essere dubbi, al riguardo, che le istanze presentante ed incardinate presso la Commissione di conciliazione siano atti di ordinaria amministrazione e, nel contempo, siano anche atti urgenti ed indefettibili, posto che è intervenuta una riforma dell’istituto che prevede un nuovo rito ed una nuova composizione dell’organismo.

Procedura per l’espletamento del nuovo tentativo di conciliazione

Il nuovo art. 410 c.p.c. prevede che “chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’art. 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’art. 413” .
La richiesta del tentativo di conciliazione deve essere sottoscritta dall’istante e presentata alla Commissione di conciliazione presso la DPL a mano o con raccomandata ovvero inviata a mezzo e-mail certificata (resta escluso, per espressa scelta del legislatore, l’invio a mezzo fax).
Essa, poi, va inviata in copia anche alla controparte, la quale - se intende accettare la procedura di conciliazione - nei 20 giorni successivi alla ricezione della stessa, deposita presso la Commissione di conciliazione una memoria difensiva.
Traspare evidente, dunque, che solo se vi è il consenso di entrambe le parti contendenti potrà espletarsi il tentativo di conciliazione.
L’istanza di tentativo di conciliazione deve contenere una serie di elementi:
dati identificativi dell’istante e del convenuto, con l’indicazione dei loro recapiti o indirizzi o sedi;
il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della cessazione del rapporto (ciò evidentemente ai fini dell’individuazione della competenza territoriale ex art. 413 c.p.c.);
il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura;
l’esposizione dei fatti, delle rivendicazioni e delle ragioni poste a fondamento della pretesa.
Come visto, solo se intende aderire alla procedura conciliativa, controparte si attiverà mediante il deposito presso la Commissione di conciliazione di apposita memoria difensiva, contenente le eccezioni in fatto e in diritto nonché eventuali domande riconvenzionali.
A seguito di istanza di conciliazione di parte attrice ed a ricezione della memoria difensiva di parte convenuta, entro 10 giorni da quest’ultimo evento la Commissione fissa la comparizione delle parti con convocazione delle stesse per l’esperimento del tentativo di conciliazione, tentativo che deve essere tenuto entro i successivi 30 giorni (trattasi, tuttavia, di termini chiaramente ordinatori, non essendo legata alcuna decadenza al loro mancato rispetto).
Ove tutto ciò non avvenga, proprio per il principio di facoltatività del tentativo introdotto dal nuovo sistema, ciascuna delle parti sarà libera di adire l’autorità giudiziaria nei tempi che riterrà più idonei.
Al riguardo, tuttavia, deve ritenersi che - pur in presenza di un rito che prevede una cadenza temporale molto ben scandita e netta - se vi è consenso delle due parti contendenti il tentativo possa ugualmente svolgersi, anche se l’intervento del convenuto viene effettuato oltre il termine di 20 giorni e ferma restando comunque la possibilità per parte attrice di presentare il ricorso giudiziario.
Inoltre, a parere di chi scrive, tenuto conto comunque di un quadro normativo complessivo che tende alla deflazione dei contenziosi giudiziari, non sembrano esservi ostacoli alla definizione innanzi la Commissione di controversie per le quali siano già intervenuti accordi tra le parti, ovviamente previa richiesta congiunta delle stesse ovvero richiesta di attivazione di una ed adesione dell’altra parte.
Deve, altresì, darsi atto di due ulteriori indicazioni contenute nella più volte citata nota MLPS n. 3428 del 26.11.2010: la prima riguarda la rappresentanza del ricorrente e del convenuto, la seconda l’onere di verifica in capo alla DPL della presenza dei requisiti formali prescritti nelle istanze di tentativo di conciliazione.
In ordine alla rappresentanza del ricorrente e del convenuto, viene sottolineato che la delega a conciliare ed a transigere da ritenersi valida è solo quella rilasciata davanti ad un notaio o ad un funzionario della Direzione provinciale del lavoro, con esclusione delle autentiche dei Comuni e dell’avvocato che rappresenta il proprio cliente.
Questo sembra un ulteriore appesantimento dell’iter procedimentale, tenuto soprattutto conto del fatto che fino ad oggi le prassi sono andate spesso in direzione diversa.
Per quanto attiene, invece, alla verifica delle istanze di conciliazione, la DPL controllerà che la richiesta contenga i requisiti essenziali richiesti dalla nuova norma, avendo cura di chiederne l’integrazione qualora verificasse una qualche omissione o carenza.
Si precisa al riguardo che la totale mancanza degli elementi prescritti rende la richiesta improcedibile, a meno che controparte non si costituisca presentando le proprie memorie e quindi sanando le irregolarità; in tali casi la Commissione provvederà ad informare parte attrice affinchè proceda ad integrare la richiesta carente.
In conclusione, si può dire che il nuovo rito previsto per l’esperimento del tentativo di conciliazione è molto più complesso rispetto a quello contemplato dal sistema previgente: in buona sostanza, infatti, chi intende attivarlo deve predisporre un “mini-ricorso” e chi voglia aderirvi deve redigere un atto molto simile ad una comparsa di risposta.
E’ presumibile ritenere pertanto che tale circostanza, unitamente alla obbligatorietà della proposta conciliativa da parte della Commissione (di cui si dirà meglio appresso e che potrebbe risultare per la parte che non la accetta un peso non da poco in un eventuale giudizio, atteso che il giudice può valutare i motivi della sua mancata accettazione e tenerne conto ai fini delle spese e del giudizio stesso), determinerà una sensibile riduzione dei carichi di lavoro dell’organo collegiale in parola.


Modalità di redazione del verbale conclusivo dell’espletamento del tentativo innanzi la Commissione di conciliazione

L’art. 411 c.p.c. novellato dalla riforma prevede alcune modifiche rispetto al passato in tema di redazione di processo verbale conclusivo del tentativo; in dettaglio:
se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una sola parte della domanda, viene redatto processo verbale di conciliazione che deve essere sottoscritto, oltre che dalle parti, da tutti i componenti della Commissione (e non solo dal Presidente, come avveniva in passato);
se, invece, non viene raggiunto alcun accordo, la nuova norma sembra imporre alla Commissione di formulare una proposta alle parti per la bonaria definizione della controversia, proposta della quale deve darsi atto nel verbale finale, unitamente alle valutazioni espresse dalle stesse parti; delle risultanze di tale proposta, se non accettata senza adeguata motivazione, il giudice tiene conto in sede di giudizio. Le novità al riguardo sono: a) l’obbligatorietà della proposta, che nel regime previgente era prevista solo per i Collegi pubblici e non per i tentativi di conciliazione innanzi la Commissione; b) la previsione che il giudice ne possa tener conto ai fini del giudizio (e non solo delle spese, come era in passato), fermo restando ovviamente che il libero convincimento del giudice si forma comunque nel corso dell’istruttoria dibattimentale, con l’acquisizione dei mezzi probatori forniti dalle parti;
la nuova norma (art. 411, ultimo comma), poi, seppur in maniera più articolata, riprende il concetto dell’esonero da qualsiasi forma di responsabilità civile, amministrativa, contabile e disciplinare, fatti salvi i casi di dolo o colpa grave, per i soggetti che rappresentano le pubbliche amministrazioni nei casi di adesione alla proposta conciliativa della Commissione; questo può essere uno strumento di gestione del contenzioso pubblico, per sanare ad esempio errori e/o mancati riconoscimenti, senza ricadute sugli agenti della p.a..

Esecutività del verbale di accordo, tentativi di conciliazione in sede sindacale e tentativo di conciliazione alla prima udienza

Nessuna modifica, invece, è intervenuta sia in ordine all’esecutività del verbale di conciliazione sottoscritto innanzi la Commissione (che il giudice rende esecutivo con decreto, in caso di mancata ottemperanza, su istanza della parte interessata) che in tema di tentativi di conciliazione svolti in sede sindacale, cui non si applica la nuova procedura dell’art. 410 c.p.c. e per i quali restano invariate le modalità di deposito presso la DPL e presso la cancelleria del Tribunale, riscritte come in passato al comma 3 del nuovo art. 411 c.p.c..
Deve infine darsi atto delle nuove modalità di esperimento del tentativo di conciliazione di cui all’art. 420 c.p.c., quello cioè svolto in prima udienza davanti al giudice; esso si arricchisce di una nuova previsione, la formulazione della proposta conciliativa da parte del giudice stesso, cui sembra volersi assegnare una forte valenza deflativa, laddove viene previsto che “il rifiuto della proposta transattiva del giudice, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio”.

Fase transitoria

La nuova normativa in materia di conciliazione non prevede disposizioni di carattere transitorio: con buona solerzia, con la predetta nota n. 3426 in data 26.11.2010 il Ministero del Lavoro è intervenuto al riguardo, fornendo istruzioni operative alle proprie articolazioni periferiche per la gestione della fase transitoria.
Come già detto, l’attività delle Commissioni continuerà in regime di prorogatio fino alla data dell’8 gennaio 2010 (45 gg. dopo l’entrata in vigore della legge 183/2010) e fino a tale data seguiterà la trattazione delle istanze di conciliazione presentate entro la data del 24 novembre 2010.
Più precisamente: per le istanze proposte prima del 24 novembre 2010, evidentemente con il vecchio rito, tanto nel caso in cui siano state già oggetto di convocazione che nell’ipotesi di fissazione della data di convocazione non ancora intervenuta, le Commissioni - per il tramite dei funzionari della DPL preposti all’attività - dovranno informare le parti circa l’intervenuta non obbligatorietà del tentativo e della possibilità di portare comunque a termine il tentativo avanti la sede adita, al fine di pervenire ad una conciliazione, che avrà in ogni caso l’efficacia di cui all’art. 2113 c.c..
Ovviamente, se interverrà consenso di entrambe le parti, l’esperimento del tentativo proseguirà e dovrà concludersi entro l’8 gennaio 2011; in caso di mancato consenso, invece, il tentativo si interromperà e la parte che vi ha interesse potrà proporre azione giudiziaria finalizzata alla tutela dei propri diritti, senza espletarlo.
E’ di ogni evidenza, invece, che le richieste presentate dopo la data del 24 novembre 2010 andranno assoggettate al nuovo rito, con la conseguenza che saranno trattate dalla Commissione solo se vi sarà consenso manifesto di entrambe le parti con le modalità previste dal novellato art. 410 c.p.c. descritte in precedenza.
Infine, per quanto riguarda le controversie dei pubblici dipendenti, atteso che - per effetto dell’abrogazione dell’art. 66 D.Lgs. 165/01 - i collegi preposti all’espletamento del tentativo cessano ope legis la loro attività, se le parti vorranno proseguirle dovranno farlo innanzi la Commissione di conciliazione.
A tal fine, i presidenti dei collegi pubblici abrogati (il direttore DPL o un suo delegato) dovranno comunicare agli altri membri ed alle parti la circostanza e chiedere l’acquisizione del consenso di queste ultime alla prosecuzione del tentativo.
Da ultimo, si ritiene utile evidenziare un possibile profilo problematico che potrebbe incontrarsi in questa fase transitoria: se è intervenuta la proposizione di una domanda giudiziale in vigenza di tentativo obbligatorio di conciliazione (prima, dunque, del 24 novembre 2010), senza che lo stesso sia stato esperito, il giudice adito - a norma dell’art. 412bis c.p.c vigente ante collegato lavoro - deve correttamente sospendere il giudizio e fissare alle parti un termine per l’esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi ad un organo collegiale che per legge non ha più quella competenza.
In tali casi, il Ministero suggerisce alle proprie strutture di non dichiarare improcedibile tali tentativi ma di espletarli, anche se le Commissioni dovranno applicare nel loro esperimento un rito non più vigente.

Scaduto il mio contratto, prendono una stagista!


Contributo del Dott. Olivieri B. pubblicato su:


Scaduto il mio contratto, prendono una stagista!

Vorrei chiedere un vostro parere in merito ad una situazione scandalosa che sto provando sulla mia pelle presso una società multinazionale dalla quale credevo di aspettarmi qualcosa di serio. Presso questa società ho frequentato uno stage (retribuito) 6 mesi+6 dopo di ché sono stato mandato a casa e dopo qualche mese sono stato richiamato a lavoro per la sostituzione di una collega in maternità per circa 10 mesi. Una volta rientrata la collega, mi hanno mandato a casa per circa 20 giorni e poi mi hanno riassunto con un tempo determinato per altri 7 mesi. Dopo questi sette mesi che ho concluso a settembre mi hanno rimandato a casa senza rinnovo motivando la cosa con: “l’azienda non sta assumendo” e che basta una sola persona in ufficio. La questione è la seguente: stanno inserendo una stagista al mio posto e non stanno riconfermando me nel medesimo ufficio in cui ci ho lavorato per quasi 3 anni. Posso far valere i miei diritti e quindi denunciare agli uffici competenti quest’uso distorto dello stage? Ho possibilità di accampare pretese e soprattutto ho possibilità di vincere un’eventuale azione legale?
Martino N.


Risponde l'esperto di Lavoratorio.it, dottor Bruno Olivieri:

"Caro Martino,
comprendo il suo stato d'animo e, secondo una valutazione strettamente soggettiva, sono anch'io d'accordo su questo sconsiderato e distorto uso di contratti di lavoro, come quelli da stagista, al solo fine di eludere adempimenti e non al fine di promuovere figure da immettere formate nel mercato del lavoro. Ma non è senz'altro questa sede di un simil dibattito, quindi vediamo di rispondere al suo quesito.
Essendo stato lei licenziato per scadenza dei termini, in quanto assunto con contratto a tempo determinato, purtroppo non può pretendere nessuna azione nei confronti dell'azienda in quanto era questa legittimata, in virtù degli accordi contrattuali, a non prorogare o alternativamente rinnovare il suo contratto a termine.
La scelta di inserire uno stagista che svolgerà le sue stesse mansioni non è vietata per l'azienda, in quanto la stessa non ha nessun vincolo nella possibilità di reinserimento di una figura da formare alle mansioni da lei svolte in precedenza (poiché non è stato licenziato per motivazioni oggettivamente o soggettivamente determinate dal datore di lavoro, ma per effetto di accordi contrattuali sottoscritti in sede di assunzione).
Nonostante lei veda fini malafede in una simile manovra, l'azienda sta anzi favorendo l'inserimento nel mercato del lavoro di un soggetto oggi tutelato dal Legislatore , ovvero lo stagista.
Alla sua domanda “Posso far valere i miei diritti e quindi denunciare agli uffici competenti quest’uso distorto dello stage?” rispondo che nulla potrebbe nei confronti dell'azienda, che assolutamente ha agito rispettando la normativa in materia di assunzione. Sarebbe comunque opportuno verificare se, nell'utilizzo del tempo determinato quale forma contrattuale (soprattutto in concomitanza con il precedente rapporto di lavoro sempre di tipo “a tempo determinato” in sostituzione della maternità), l'azienda ha rispettato tutte le disposizioni previste dalla normativa in merito a proroga-rinnovo dello stesso contratto a termine, (D. Lgs. del 06.09.2001, n.368).
Capisco che la sua sarebbe una questione di principio, ma in questo caso forse andrebbe solo a rimetterci ulteriore tempo e denaro per intentare un'azione che, a mio avviso, non ha avrebbe prospettiva di successo alcuno per lei, se non nel caso in cui vi fossero vizi nella forma e modalità del contratto a termine stipulato dopo la sostituzione della maternità.

Dott. Bruno Olivieri

Newsletter Lavoro n. 445 del 22 dicembre 2010

 

Direzione Provinciale del Lavoro di Modena  

 

www.dplmodena.it  

                                                                                                                                                                                            

NEWSLETTER LAVORO

n. 445 del 22 dicembre 2010

 

 newsletter settimanale per gli operatori del mercato del lavoro

 

   Comunicazioni                                                                         

Auguri di un Buon NATALE e di un meraviglioso e prospero ANNO NUOVO

 

> In occasione delle festività natalizie auguriamo a tutti Voi ed alle Vostre famiglie un * Buon Natale * e un * 2011 * pieno di Felicità.

Lo Staff della DPL di Modena

 

> Nel periodo natalizio il sito non sarà aggiornato. Il servizio riprenderà la propria attività dal 10 gennaio 2011.

          

   Le Novità in materia di Lavoro                                               

>     Min.Lavoro: misure per l'occupazione giovanile

Presso il Ministero del Lavoro si è riunita l'Unità operativa per l'occupazione giovanile composta dalle direzioni competenti del Ministero, da Isfol, Italia Lavoro e Inps, con riferimento...

per accedere alle notizie  _              

>    Min.Lavoro: azione di Sistema "Welfare to Work" per le politiche di reimpiego dei dirigenti

Nell'ambito dell'azione di Sistema, il Ministero del Lavoro ha promosso e finanziato la realizzazione di azioni a supporto della ricollocazione di ex dirigenti over 50 in stato di disoccupazione, attraverso l'attivazione, mediante apposito avviso pubblico, di contributi destinati alle aziende sotto forma di bonus assunzionali.

per accedere alle notizie  _              

>    Min.Lavoro: vademecum - il distacco dei lavoratori nella Unione Europea

Il Ministero del Lavoro ha pubblicato il Vademecum relativo al distacco dei lavoratori nella Unione Europea, ad uso delle imprese e degli ispettori del lavoro.

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>     Parlamento: misure urgenti in materia di sicurezza

Il Parlamento ha pubblicato la Legge 17 dicembre 2010, n. 217, di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 187/2010, recante misure urgenti in materia di sicurezza.

per accedere alle notizie  _              

>    TFR: aggiornato il coefficiente di rivalutazione per il mese di novembre 2010

A Novembre, il coefficiente per rivalutare le quote di trattamento di fine rapporto (TFR), accantonate al 31 dicembre 2009, è: 2,534794%.

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>     Min.Lavoro: versamento contributi agli Enti Bilaterali

Il Ministero del Lavoro ha emanato la circolare n. 43/2010, con la quale fornisce alcuni chiarimenti in merito alla questione della obbligatorietà del versamento contributivo agli enti bilaterali.

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>    INAIL: finanziamenti alle imprese - anno 2010

L'INAIL stanzia 60 milioni di euro - ripartiti su base regionale - per finanziare le imprese che realizzano interventi per migliorare la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro.

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>     Min.Lavoro: salute e sicurezza nei luoghi di lavoro - lavori in ambienti sospetti di inquinamento

Il Ministero del Lavoro fornisce indicazioni operative che consentano, al proprio personale, una uniforme applicazione della normativa e al contempo una maggiore attenzione nell'adempimento di tali obblighi.

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Il Consulente del Lavoro non può essere apprendista.



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FONDAZIONE STUDI CONSULENTI DEL LAVORO

PARERE N. 25 DEL 08.10.2010

IL QUESITO

Il Consulente del Lavoro non può essere apprendista

Il contratto di apprendistato è incompatibile con lo svolgimento di attività proprie della professionalità disciplinata dalla legge n. 12/79 cui vi si addica un soggetto in possesso del titolo professionale acquisito superando l’esame di abilitazione.
Il contratto di apprendistato, nelle sue diverse forme, rappresenta il tipico contratto di lavoro a causa c.d. “mista”, in considerazione del fatto che al consueto sinallagma prestazione di lavoro vs. retribuzione, si aggiunge l’ulteriore elemento della formazione professionale, essendo tale rapporto destinato all’insegnamento
necessario al raggiungimento della capacità tecnica propria del lavoratore qualificato.

Lo svolgimento della attività professionale tipica del Consulente del Lavoro può atteggiarsi in diverse forme: individuale, associato, societario (art. 3 del Codice Deontologico, Del. CNO n. 209 del 3 ottobre 2008), nonché nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato (art. 32 Codice Deontologico, cit.).

***

Leggi il parere n° 25 della Fondazione Studi

Nuovo DPCM

Pubblicato da Daniele Rag. Scorrano

A cura del dott. Giovanni Loreto


Alcuni organi di stampa hanno dato notizia che, a breve, sarà emanato un nuovo DPCM che determina in n. 98080 le quote dei “flussi di ingresso” per i cittadini non appartenenti all’U.E.

Con tutta probabilità il DPCM potrebbe essere pubblicato in G.U. nel mese di dicembre e diventare “operativo” tra gennaio e febbraio 2011.

Le quote (nazionali) sono così ripartite:

(A)
4500 cittadini albanesi
1000 algerini
2400 bangladesi
8000 egiziani
4000 filippini
2000 ghanesi
4500 marocchini
5200 moldavi
1500 nigeriani
1000 pakistani
2000 senegalesi
80 somali
3500 sri lanka
4000 tunisini
1800 indiani
1800 peruviani
1800 ucraini
1000 Niger
1000 Gambia
1000 di altri Paesi non U.E. che concludano accordi con l’Italia.

Il tutto per un totale di 52.080 quote

(B)

Inoltre 30.000 quote sono attribuite specificatamente per l’ingresso di cittadini non appartenenti alle nazionalità di cui a precedente elenco A) per assunzione nel settore dei servizi alla famiglia in qualità di collaboratrici familiari e /o badanti.

C)

4000 quote sono riservate per l’ingresso di lavoratori che hanno partecipato a programmi di formazione nei paesi di origine.

500 quote sono attribuite per l’ingresso di cittadini argentini, brasiliani, uruguayani e venezuelani discendenti in linea diretta finoi al III grado,di cittadini italiani già emigrati in quei Paesi, e che si iscrivano nelle particolari liste tenute dalle autorità diplomatico consolari italiane.

(D)

11.500 quote, variamente distribuite, sono finalizzate alle richieste di conversione del permesso di soggiorno posseduto regolarmente per studio,formazione professionale, stagionale e permessi per lungo soggiornanti, in permesso di soggiorno per lavoro subordinato e/o lavoro autonomo.Per il dettaglio occorrerà riferirsi al Decreto definitivo.

Tutte le suddette quote, se confermate, verrano poi ripartite a livello regionale e, quindi, provinciale.

Il DPCM prevede inoltre che gli utenti potranno presentare le istanze a decorrere dal 31° giorno (elenco lettera “A”), 32° giorno (elenco lettera “B”) e 33° giorno (lettera “C” e “D”), successivi alla data di pubblicazione in G.U. del DPCM ed a partire dalle ore 8,00.

Le suesposte notizie hanno il carattere della provvisorietà poiché il DPCM, fino alla pubblicazione, potrebbe subire modifiche ed integrazioni.

Cassa Assistenza Sanitaria Quadri (QuAS)

Pubblicato da Bruno Dott. Olivieri



Cosa e perchè

QuAS ha lo scopo di garantire ai dipendenti da aziende del Commercio, del Turismo e dei Servizi, le quali risultino in regola con il versamento delle quote contributive, con qualifica di “Quadro”, assistenza sanitaria integrativa al Servizio sanitario nazionale. L’iscrizione al QuAS, cassa di assistenza integrativa del Servizio Sanitario Nazionale, è obbligatoria per tutti i dipendenti con qualifica di “quadro” ai quali si applica il Ccnl del Terziario, della Distribuzione e dei Servizi stipulato da Confcommercio e Filcams Cgil, Fisascat cisl e Uiltucs Uil, e del Turismo stipulato da Federalberghi, Federreti, Fipe, Fiavet e Faita, con Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil. La Cassa “cataloga” le oltre 3.000 prestazioni sanitarie riconosciute e le relative tariffe ammesse a rimborso. Il Tariffario garantisce piena libertà di cura: medico e luogo di cura non sono vincolati. Sono peraltro state stipulate dalla Cassa convenzioni con strutture sanitarie di ottimo livello.

Le Modalità d'iscrizione

L’iscrizione alla Cassa di una nuova azienda può avvenire utilizzando la procedura on-line oppure mediante trasmissione a mezzo posta della documentazione richiesta.
Per le iscrizioni effettuate on-line, basterà seguire le indicazioni che di volta in volta la procedura fornirà all’utente.
L’iscrizione si intende perfezionata quando l’azienda riceverà una comunicazione mail della Cassa di accoglimento domanda e assegnazione codice d’iscrizione (codice azienda).
Tale codice sarà necessario per l’accesso all’area riservata alle aziende iscritte, da utilizzare per la verifica contributiva e per la comunicazione di variazioni anagrafiche, iscrizione e cessazione quadri.
Per iscrivere l’Azienda si può effettuare anche l’invio postale della documentazione (necessariamente a mezzo plico raccomandato).
In tal caso è necessario trasmettere:
1. Domanda iscrizione datore di lavoro, da compilare attraverso l’apposito form disponibile alla voce modulistica della sezione iscrizioni).
2. Domanda di iscrizione congiunta Quadro e datore di lavoro, da compilare attraverso l’apposito form disponibile alla voce modulistica della sezione iscrizioni).

PER l'INVIO POSTALE DI ISCRIZIONI/CANCELLAZIONI/VARIAZIONI ANAGRAFICHE SI PREGA GENTILMENTE DI INDICARE SULLA BUSTA LA DICITURA "UFFICIO ISCRIZIONI-CONTRIBUTI".

Si rammenta che il diritto al rimborso delle prestazioni spetta dal mese successivo alla domanda d’iscrizione del Quadro alla Cassa (data di comunicazione da parte dell’azienda) e che il contributo è dovuto dalla data di nomina a quadro o di assunzione, anche se la comunicazione dell’azienda è successiva.

LA LEGGE BIAGI INTRODUZIONE AI PRINCIPALI CAMBIAMENTI IN TERMINI DI STRUTTURA, ORGANISMI E CONTRATTAZIONE

Pubblicato su:




LA LEGGE BIAGI
INTRODUZIONE AI PRINCIPALI CAMBIAMENTI IN TERMINI DI STRUTTURA, ORGANISMI E CONTRATTAZIONE
Bruno Olivieri


Breve precisazione alla Legge 30 del 14/02/2003
Prima di addentrarmi a descrivere i principali interventi mossi dalla Legge Biagi, ho ritento opportuna effettuare una precisazione in relazione alla normativa che ha regolato da una parte e che ha reso operativo dall'altro questo piano nazionale di ristrutturazione del mercato del lavoro.
Infatti alla Legge 30 del 14/02/2003 “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”spesso impropriamente viene attribuita la regolamentazione del mercato del lavoro , in quanto quest'ultima è solo una legge delega al Governo. Ad essa ha fatto seguito il D. Lgs.10 settembre 2003 n. 276, "Attuazionedelle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30", che è invece la fonte normativa definitiva e che è conosciuto come “Riforma Biagi”

Legge Biagi e principali cambiamenti
Con l'entrata in vigore della cosiddetta “Legge Biagi” (D. Lgs. 276/2003) si avvia un processo di ristrutturazione che coinvolge Organi, Strutture e Istituti del Mercato del Lavoro e i soggetti che in esso vi operano. Il Legislatore ha riconosciuto necessari una serie di provvedimenti diretti a riformare specifici istituti quali:
Centri per L'impiego ed organismi preposti al fin di valorizzare la sinergia tra agenzie private e pubbliche al fine di semplificare le procedure amministrative;
Incentivi per l'occupazione , in riferimento soprattutto ai giovani , persone meno abili e ultracinquantenni; nello specifico la riforma ha mosso manovre volte alla ridefinizione del contratto d'inserimento, incremento contributivo per part-time < 12 ore/settimanali, inserimento di lavoratori socialmente utili;
Riquadramento dell'Apprendistato, volto all'individuazione di standard nazionali per la formazione e certificazione della stessa al fine di favorire la mobilità degli apprendisti
Con l'entrata in vigore del D.Lgs 276/2003, si attivano una serie di riforme volte ad una ristrutturazione di strutture e organismi del lavoro nonché delle loro funzioni e competenze; il tutto al fine di una più snella e flessibile gestione amministrativa del mercato del lavoro.
E' innanzitutto utile ricordare in questa sede quali sono attualmente questi “organismi” che sono stati oggetto di riforma e cambiamento. Parliamo di Organismi Pubblici in capo ai quali si individuano senz'altro competenze in materia di lavoro e che distinguiamo in:
ORGANISMI A LIVELLO CENTRALE : facciamo riferimento a strutture a livello statale nelle quali individuiamo
1.Commissione centrale per l'Impiego
2.Direzione generale per l'Impiego;
3.Direzione generale per l'Osservatorio del Mercato del Lavoro e monitoraggio statistico.

ORGANISMI A LIVELLO TERRITORIALE : si tratta di strutture di competenza provinciale e regionale e precisamente
1.Direzione Regionale dell'Impiego;
2.Direzione Provinciale del Lavoro;
3.Centro per l'Impiego
Sulla base della suddetta classificazione territoriale, possiamo notare come compiti relativi al collocamento e all'incontro tra domanda ed offerta di lavoro rimangono di competenza delle singole Regioni e Provincie tramite i Centri per l'Impiego .
A livello statale permangono compiti in materia di regolamentazione dei flussi di entrata dei lavoratori extracomunitari controversie di lavoro, monitoraggio del mercato del lavoro e coordinamento con gli organismi internazionali.

Nascita di nuove strutture: Borsa continua Nazionale del Lavoro e Monitoraggio Statistico
La riforma Biagi decreta l'istituzione di un nuovo organismo denominato
Borsa continua Nazionale del Lavoro e Monitoraggio Statistico (D.Lgs 276/2003 art. 15). Costituisce un sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda ed offerta di lavoro basato su una rete di nodi regionali alimentato da tutte le informazioni utili a tale scopo immesse direttamente da imprese, pubbliche e private, e dai lavoratori.
La Borsa è liberamente accessibile da parte di lavoratori e imprese ; inoltre il Ministero del Lavoro ha obbligato alcuni soggetti interessati a collaborare al fine della interconnessione e coordinamento dei dati relativi all'incontro tra domanda ed offerta di lavoro; questi soggetti ricordiamo sono
Centri per l'Impiego;
Agenzie del lavoro iscritte negli appositi albi;
Università pubbliche e private;
Comuni e Camere di Commercio; Associazioni dei datori di Lavoro;
Fondazioni collegate con il Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro.

Sostituzione di Strutture preesistenti con nuove : Elenco Anagrafico
Abbiamo già precisato come la Legge Biagi va attenuando le funzioni del Collocamento in favore di una più snella e decentrata gestione amministrativa del mercato del lavoro. A sostituzione delle vecchie liste di collocamento nasce l'Elenco Anagrafico ma ricordiamo comunque che le liste di collocamento permangono per i lavoratori in mobilità e i lavoratori disabili.
Tale elenco Anagrafico è un archivio in cui vengono inseriti , a cura dei Centri per l'Impiego, i dati anagrafici del lavoratore quali la residenza, il livello di istruzione, e informazioni del genere; vengono iscritti tutti coloro che risultino avere l'età per essere annessi al mercato del lavoro e che risultino senza occupazione.
Questo elenco viene costantemente aggiornato ed integrato in relazione alle informazioni fornite dagli stessi lavoratori sulla base delle comunicazioni obbligatorie fornite dai datori di lavoro. L'iscrizione a questo elenco rimane per tutta la vita lavorativa per ciascun lavoratore ad eccezione che per i lavoratori stranieri in possesso del permesso di soggiorno. Per quest'ultimi l'iscrizione rimane nell'elenco per massimo un anno dall'inizio della situazione di disoccupazione.
Sulla base di tale Elenco Anagrafico vengono elaborate le Liste per L'Impiego, un elenco di tutti i soggetti potenziali destinatari delle misure di prevenzione all'inserimento nel mercato del lavoro.