Per semplici richieste o suggerimenti contattateci cliccando quì (oppure utilizza il form sotto
),
specificando il quesito o la vostra richiesta e provvederemo a contattarvi al più presto per la risposta.

Cassazione: negato permesso di frequentare corsi di formazione? Azienda deve risarcire il lavoratore

Pubblicato da: Bruno Dott. Olivieri

L'azienda risarcito il lavoratore a cui è stata negata la possibilità di seguire un corso di formazione che ne avrebbe potuto migliorare la sua posizione lavorativa. A stabilirlo è la sezione Lavoro della Corte di Cassazione (sentenza 19682/2009) che ha sottolineato come la mancata partecipazione alla formazione rappresenta una "perdita di chance" che l'azienda deve risarcire. Nel caso esaminato dal Palazzaccio è stato accordato un risarcimento ad una dipendente di una casa di riposo a cui per tre anni consecutivi era stato negato il diritto di fruire del permesso delle 150 ore annue per la frequenza dei corsi regionali necessari per conseguire la qualifica di assistente socio-assistenziale. Quella formazione avrebbe consentito alla lavoratrice una migliore posizione lavorativa e un incremento dello stipendio. Dopo la condanna dei giudici di merito la Casa di riposo si è rivolta alla suprema corte che ha respinto il ricorso rilevando che la dipendente "invio' ben sei raccomandate negli anni dal 2000 al 2002 per reclamare il proprio diritto ad ottenere il permesso di 150 ore per frequentare il corso regionale per personale Asa che le avrebbe consentito il formale raggiungimento della qualifica professionale che di fatto gia' rivestiva presso la casa di riposo". Questo diritto, spiega la Corte le "venne negato anche negli anni successivi", creandole una "perdita di chance" che deve essere risarcita.

Mobbing: le conseguenze sulla salute

l mobbing rappresenta un insieme di comportamenti violenti consumati da parte di superiori e colleghi nei confronti di un lavoratore lesivo della dignità personale e della salute psicofisica dello stesso. Gli atteggiamenti producono danneggiamenti anche gravi con conseguenze sul patrimonio della vittima.

Questa pratica di mobbing è condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare da sé il posto di lavoro, senza ricorrere al licenziamento o per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi. Per poter parlare di mobbing, l'attività deve durare più di 6 mesi e deve essere funzionale alla espulsione del lavoratore.

Il mobbing non è una malattia ma può rappresentarne la causa. La patologia più associata è il disturbo dell'adattamento (si compone di una variegata sintomatologia ansioso-depressiva reattiva all'evento stressogeno). Le conseguenze maggiori sono disturbi della socialità, quindi, nevrosi, depressione, isolamento sociale.

In Italia il numero di vittime del mobbing è stimato intorno a 1 milione e 200 mila, che salgono a 5 milioni se si considerano anche le famiglie. Un libro verde del Parlamento Europeo, "Il mobbing sul posto di lavoro", del 16 luglio 2001, introduceva il dibattito in tema di mobbing in sede comunitaria. La successiva risoluzione del Parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro è uno dei primi riferimenti normativi in materia.

In Italia invece non esiste una legge in materia e dunque il mobbing non è raffigurato come specifico reato. Gli atti di mobbing possono però rientrare in altre fattispecie di reato, previste dal codice penale, quali le lesioni personali gravi, anche colpose che sono perseguibili di ufficio. La legge del nostro Paese disciplina anche il risarcimento del danno biologico, associabile a situazioni di mobbing.

Transazione e potestà sanzionatoria della DPL




Saccone Avv. Antonio

Funzionario della DPL di Pescara - Responsabile Affari Legali e del Contenzioso



Di recente sono state fornite indicazioni alle strutture periferiche del Ministero del Lavoro su due importanti questioni.
La prima riguarda i riflessi sulla potestà sanzionatoria della DPL a seguito di intese transattive raggiunte tra le parti del rapporto di lavoro: sull’argomento la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro, in risposta a quesito, ha espresso specifico parere.
La seconda inerisce alla facoltà della stessa DPL di addivenire ad accordi transattivi per definire le procedure sanzionatorie avviate, in particolare nel corso del giudizio di opposizione ex artt. 22 e ss. legge 689/81: sul tema si registra un parere negativo dell’Avvocatura Generale dello Stato, fatto proprio dalla medesima DGAI, che aveva investito il predetto organismo in funzione consultiva.
Il presente commento analizzerà le due suddette problematiche, anche alla luce delle citate determinazioni.
Tratterà, infine, di un'altra situazione che può presentare aspetti di interazione con la materia che ci occupa: la facoltà del Giudice nel corso del giudizio di opposizione di rideterminare, riducendolo, l’importo dell’ordinanza ingiunzione emessa dalla DPL.

(cliccare quì per scaricare l'intero documento in pdf)

Cosa fare se non c'è accordo con le RSA


L'accordo con il Sindacato consente il controllo a distanza dei lavoratori da parte di un'impresa. Ma come si può regolare il datore di lavoro che non lo ottiene?

LAVORATORE CON DISABILITÀ ALL'INTERNO DELL'AZIENDA

Ai lavoratori assunti a norma della Legge n. 68/99 si applica il trattamento economico e normativo previsto dalle leggi e dai Contratti Collettivi.
Il datore di lavoro non può chiedere alla persona con disabilità una prestazione non compatibile con le sue minorazioni.
In caso di aggravamento delle condizioni di salute della persona con disabilità, che comporti l'impossibilità di svolgere le mansioni affidate, il datore di lavoro e/o la stessa persona con disabilità può richiedere l'accertamento, circa la compatibilità tra le proprie condizioni di salute e l'attività svolta, alla apposita Commissione operante presso la ASL di residenza (art. 4 Legge n. 104/92).
La richiesta di accertamento e il periodo necessario al suo svolgimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro.
Qualora si riscontri una condizione di aggravamento che sia incompatibile con la prosecuzione dell'attività lavorativa, o tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione dell'organizzazione del lavoro, la persona con disabilità ha diritto alla sospensione non retribuita del rapporto di lavoro fino a che l'incompatibilità persista. Durante tale periodo, il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo.
La norma è evidentemente volta a consentire al datore di lavoro di ricollocare l'invalido all'interno della propria organizzazione produttiva, anche attraverso i "possibili adattamenti dell'organizzazione del lavoro". Il lavoratore, dunque, potrà essere licenziato solo qualora la Commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire la persona con disabilità all'interno dell'impresa, nonostante gli adattamenti.
Nel caso in cui risulti impraticabile anche tale soluzione, i lavoratori vengono avviati, previo licenziamento, presso altra Azienda, senza inserimento nella graduatoria di cui all'art. 8 Legge n. 68/99.
In caso di risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione, nel termine di dieci giorni, agli Uffici competenti, al fine della sostituzione del lavoratore con altro avente diritto all'avviamento obbligatorio.
Il licenziamento collettivo (ex articoli 4 e 24 Legge n. 223/91) e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sono annullabili, se comportano una riduzione della quota d'obbligo al di sotto di quella stabilita dalla legge. L'annullabilità del licenziamento collettivo o per giustificato motivo oggettivo comporta il diritto del lavoratore invalido alla reintegrazione nel posto di lavoro ex art. 18 Legge n. 300/70 (Statuto dei diritti dei lavoratori).
La Direzione Provinciale del Lavoro dispone la decadenza dall'indennità di disoccupazione, nonché la cancellazione dalle liste di collocamento per un periodo di sei mesi, del lavoratore che per due volte consecutive, senza giustificato motivo, non risponda alla convocazione, ovvero rifiuti il posto offerto dal datore di lavoro corrispondente ai suoi requisiti professionali e alle disponibilità dichiarate al momento dell'iscrizione o reiscrizione nelle liste speciali.
Inoltre, il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto a conservare il posto di lavoro ai soggetti divenuti inabili per infortunio sul lavoro o malattia professionale, a prescindere dalla responsabilità del datore di lavoro. I lavoratori divenuti inabili per malattia o infortunio, sul lavoro o meno, non possono essere licenziati per giustificato motivo qualora possano essere adibiti a mansioni equivalenti o, in mancanza, a mansioni inferiori, in questo ultimo caso con diritto alla conservazione del più favorevole trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.

ll contratto di soggiorno

Il contratto di soggiorno è un accordo scritto tra il datore di lavoro ed il lavoratore extracomunitario ed è essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno.

Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato deve essere stipulato per iscritto e sottoscritto presso lo Sportello unico per l’immigrazione e deve indicare, tassativamente
la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore di dimensioni minime di 15 metri quadri

l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di origine

Termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione

Il tentativo di conciliazione, anche se nelle forme previste dai contratti e accordi collettivi, deve essere espletato entro sessanta giorni dalla presentazione della richiesta.
Trascorso inutilmente tale termine, il tentativo di conciliazione si considera comunque espletato ai fini dell'articolo 412-bis.

Accordo Provincia Pescara-Consulenti del Lavoro




Firmata il 28 ottobre 2010 la convenzione tra la Provincia di Pescara e l'Ordine dei Consulenti del Lavoro. "Un accordo di alto valore sociale, che dà il via alla creazione di una rete di partner sul territorio, pronta a recepire i fabbisogni delle imprese". Ha così sintetizzato il significato della convenzione l'assessore al Lavoro e Formazione della Provincia, Antonio Martorella. Una collaborazione gratuita che consentirà di programmare meglio la formazione professionale, di incrementare il servizio di preselezione, di sperimentare forme innovative di ricollocazione dei lavoratori in mobilità o in cassa integrazione

I tentativi di conciliazione in materia di lavoro dopo il Collegato Lavoro

a cura di Roberto Camera – Funzionario della DPL di Modena

L’articolo nasce dall’esigenza di far conoscere tutte le possibili procedure extragiudiziarie, previste dalla normativa italiana, in merito alla risoluzione delle vertenze in materia di lavoro. In particolar modo, spiegare le nuove modalità previste dal Collegato lavoro che hanno modificato notevolmente lo scenario già presente in Italia, andando a variare i meccanismi previsti dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n.80, sull’obbligatorietà della procedura conciliativa.
In questi anni, la Commissione di conciliazione ha avuto alterne fortune, in relazione alla Provincia di appartenenza e al’organizzazione che si era data. Infatti, in alcune Direzioni Provinciali del Lavoro il tentativo di conciliazione era considerato solo un passaggio obbligato e non un’opportunità per trovare un accordo tra le parti. In altre Province, invece, grazie al lavoro della Commissione, c’è stato un vero e proprio filtro al giudizio di primo grado, riuscendo a conciliare percentuali notevoli di controversie e alleggerendo, così, il lavoro dei giudici.
Prima di elencare le peculiarità dei vari tentativi di conciliazione ed arbitrato, vediamo di chiarire le idee su cosa si intende per controversia individuale di lavoro. (..continua)

(clicca quì per scaricare l'intero documento in pdf)

Con il Collegato Lavoro, “maxi-sanzione” più mirata contro il sommerso

Con l’art.4 del disegno di legge n.1441-quater, approvato dal Parlamento il 19 ottobre 2010, si torna ancora una volta a modificare l’art.3, co.3 del D.L. n.12/02, convertito in L. n.73/02, che disciplina la cosiddetta “maxi-sanzione per lavoro nero”. La gravità e la diffusione del fenomeno del “lavoro nero” nel nostro Paese, infatti, ha indotto i Governi di ogni colore ad inasprire progressivamente le sanzioni previste nei confronti di chiunque si avvalga di lavoratori non risultanti dalle scritture obbligatorie, fino ad arrivare a quella che, proprio per la sua notevolissima entità, è stata ribattezzata “maxi-sanzione”.

(clicca quì per scaricare l'intero documento in pdf)

a cura di Alessandro Millo – Funzionario della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena*

Art. 412. c.p.c.(Verbale di mancata conciliazione)

Se la conciliazione non riesce, si forma il processo verbale con l'indicazione delle ragioni del mancato accordo; in esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando e` possibile, l'ammontare del credito che spetta al lavoratore. In quest'ultimo caso il processo verbale acquista efficacia di titolo esecutivo, osservate le disposizioni di cui all'articolo 411.
L'Ufficio provinciale del lavoro rilascia alla parte copia del verbale entro cinque giorni dalla richiesta.
Le disposizioni del primo comma si applicano anche al tentativo di conciliazione in sede sindacale.
Delle risultanza del verbale di cui al primo comma il giudice tiene conto in sede di decisione sulle spese del successivo giudizio.

Collegato lavoro


La Legge delega 183/2010, pubblicata in Gazzetta Ufficiale, entrerà in vigore il 24 novembre 2010

E' stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 262 del 9 novembre 2010 la Legge delega n. 183/2010 in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego, di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (cd. Collegato Lavoro).


Legge 4 novembre 2010, n. 183 (formato .pdf 4,6 Mb)

Schede e tabelle riepilogative (formato .pdf 75,55 Kb)
(materiale tratto da: Michele Tiraboschi, Il collegato lavoro – Commento alla legge 183/2010, Il Sole 24 Ore Editore, in corso di pubblicazione).

Può il datore di lavoro rifiutare la prestazione lavorativa durante il periodo di preavviso?

Il licenziamento, che non sia sorretto da una giusta causa (ovvero un inadempimento del lavoratore talmente grave, da rendere intollerabile la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto), deve essere intimato con il preavviso stabilito dal contratto collettivo di categoria. Durante il periodo di preavviso, di regola, il lavoratore deve continuare a prestare la sua attività lavorativa. Tuttavia il datore di lavoro può dispensare il lavoratore da tale obbligo; in un simile caso, il datore di lavoro dovrà corrispondere al lavoratore l'indennità sostitutiva, pari alle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito se avesse lavorato durante il preavviso.

Dispensare il lavoratore dall'obbligo di lavorare durante il preavviso comporta vantaggi e svantaggi. Dal primo punto di vista, si deve osservare che il lavoratore mantiene il diritto alla retribuzione, senza dover prestare la propria attività lavorativa. Di contro, con la corresponsione della indennità sostitutiva del preavviso, il rapporto di lavoro viene immediatamente a cessare, e il lavoratore perde gli eventuali benefici che avrebbe potuto conseguire qualora il rapporto di lavoro fosse proseguito, sia pure solo fino alla scadenza del preavviso. Per esempio, il lavoratore non fruirà degli aumenti retributivi che andranno a regime dopo la cessazione del rapporto. Inoltre, il lavoratore perderà i vantaggi derivanti dall'effetto interruttivo che la malattia ha nei confronti del preavviso.

Si vede quindi che, a seconda dei casi, talvolta il lavoratore potrebbe essere interessato a lavorare durante il preavviso; altre volte, l'interesse potrebbe essere quello di percepire la corrispondente indennità sostitutiva. In ogni caso il lavoratore non può, senza il consenso del datore di lavoro, pretendere di non effettuare la prestazione lavorativa, ricevendo in cambio l'indennità. Simmetricamente, il datore di lavoro non può, senza il consenso del lavoratore, pretendere che quest'ultimo non lavori, accontentandosi di ricevere l'indennità.

Più precisamente, se il datore di lavoro rinuncia al preavviso lavorato, il lavoratore non può unilateralmente pretendere di lavorare; tuttavia, può, se lo ritiene, fruire di tutti i benefici economici e normativi che gli sarebbero dovuti se lavorasse. A questo fine, è necessario comunicare tempestivamente al datore di lavoro il proprio dissenso alla dispensa del preavviso lavorato, invitandolo a ricevere la propria prestazione lavorativa e avvertendolo che, in difetto, egli non è liberato dagli obblighi che sarebbero derivati qualora fosse stata adempiuta la prestazione lavorativa durante il preavviso.

Unilav, necessari gli allegati cartacei per completare i licenziamenti e le assunzioni degli apprendisti

I nuovi modelli ministeriali per le comunicazioni obbligatorie, prevedono tra i motivi di cessazione per licenziamento due uniche opzioni: “licenziamento individuale” o “licenziamento collettivo”. Alcuni Centri per l’impiego hanno adottato apposita modulistica aggiuntiva definita necessaria ai fini dell’istruttoria delle domande di inserimento in lista di mobilità ai sensi della L. 236/93.
La Provincia di Udine, ad esempio, con Determinazione dirigenziale nr. 1287/08, ha deciso di adottare (in via provvisoria ed in attesa di opportuni provvedimenti in materia da parte dei competenti Uffici della Regione) il modello denominato "MOB 236 -AZ" per la comunicazione ai Centri per l'Impiego dei motivi del licenziamento. Le aziende che effettuano licenziamenti per “giustificato motivo oggettivo connesso a cessazione, riduzione o trasformazione di attività o lavoro”, devono ora compilare il modello e consegnarlo al lavoratore unitamente alla lettera di licenziamento.
Nel caso di assunzione di apprendisti, oltre alle difficoltà operative create dalla frammentazione regionale che obbliga ad accedere alle diverse procedure a seconda della regione in cui si intende avviare il lavoratore, e per la quale i Consulenti del lavoro ha già espresso le loro perplessità chiedendo l’omogeneizzazione, alcuni modelli devono ancora essere presentati o spediti in forma cartacea. Tra questi il modello che contiene la comunicazione del tutor del giovane da avviare ed il suo Piano Formativo Individuale.

Conviene davvero lavorare a cottimo?

Mi hanno proposto un lavoro a cottimo, senza darmi delle buone spiegazioni sul contratto con relativi contributi. Ma conviene veramente a lavorare a cottimo?
Ivano B.


Risponde Bruno Olivieri, consulente di Lavoratorio.it per le tematiche di diritto del lavoro ed autore del blog www.linformalavoro.blogspot.com :

"Innanzitutto vorrei chiarire cos'è il cottimo, vista la mancanza di informazioni da parte di chi ha proposto il lavoro. Si tratta di una forma retributiva e non di una tipologia di contratto: il cottimo è solo un'altra modalità di calcolo del trattamento economico, mentre le norme e le regole del rapporto di lavoro sono sempre quelle relative al contratto nazionale di categoria applicato per il settore in cui si opera e per le mansioni che si svolgono. Questa forma contributiva è commisurata direttamente e in modo direttamente proporzionale alla quantità di lavoro eseguito; pertanto il cottimista (cioè chi presta l'opera), pur essendo tenuto a rispettare un determinato orario di lavoro, non è retribuito unicamente in ragione della durata delle sue prestazioni ma in base ai risultati raggiunti.
Chiarito che il contratto di riferimento è il contratto nazionale di categoria, di fronte ad una proposta di lavoro a cottimo è aanzitutto necessario chiarire il prezzo delle unità prodotte, tenendo presente il tipo di lavoro da eseguire (ad esempio, la complessità).
Altra cosa che il datore di lavoro dovrebbe precisare è il tipo di cottimo vorrebbe proporti. Esistono infatti un cottimo a tariffa (la quantità del salario si determina sulla base della quantità di lavoro eseguito in un orario prestabilito) e un cottimo a contratto (viene stabilito un salario per il totale del lavoro svolto, quindi non ci sono vincoli orari).
Il lettore chiede notizie anche delle trattenute previdenziali e fiscali applicate; come più volte ricordato, il contratto applicato è quello per categoria e mansione assegnatati, perciò le trattenute non hanno applicazioni diverse.
Molto sinteticamente ho qui descritto il concetto di lavoro a cottimo, ma per sapere se convenga o meno questo tipo di trattamento economico rispetto alla normale paga ad orario, bisogna verificare concretamente quanti pezzi devono essere prodotti e quale è la paga per ogni pezzo. Solamente quando si è in possesso di questi elementi è possibile paragonare il salario a cottimo con quello previsto da una normale retribuzione oraria o giornaliera.

dott. Bruno Olivieri
www.linformalavoro.blogspot.com

Metodo di calcolo dell'assegno di disoccupazione ordinaria.

Si evidenzia che il protocollo del 23 luglio 2007 e la legge n. 247 di attuazione hanno inciso sulla misura dell'indennità di disoccupazione ordinaria, aumentandone la misura.

Per i trattamenti di disoccupazione ordinaria in pagamento dal 1º gennaio 2008 l'importo dell'indennità è fissato al 60% dell'ultima retribuzione per i primi 6 mesi, al 50% per i successivi due mesi (dal 7º all'8º mese), al 40% per gli ulteriori mesi (art. 1, comma 25 della L. n. 247/2007).
Già in precedenza la misura dell'indennità ordinaria di disoccupazione, inizialmente fissata nel 30% della retribuzione, era stata elevata al 40% dal 1º gennaio 2001 (art. 78, c. 19, L. n. 338/2000; INPS circ. n. 54/2001), e successivamente, per i trattamenti di disoccupazione in pagamento dal periodo 1º aprile 2005 era stata così elevata dall'art. 13, comma 2, lett. a), DL. n. 35/2005:
a) lavoratori con età inferiore a 50 anni: 50% per i primi 6 mesi, 40% per il settimo mese;
b) lavoratori con età pari o superiore a 50 anni: 50% per i primi sei mesi, 40% per i tre mesi successivi, 30% per il decimo mese (art. 1, c. 1167, L. n. 296/2006; INPS circc. n. 87/2005 e n. 100/2005).

L'indennità giornaliera di disoccupazione è maggiorata delle quote dell'assegno per il nucleo familiare, alle stesse condizioni e con le stesse modalità previste per i lavoratori in servizio.
Fra i benefici accessori è prevista inoltre la corresponsione, in occasione delle festività natalizie, di un assegno speciale in favore di tutti quei disoccupati i quali, anche per un solo giorno, percepiscano l'indennità di disoccupazione nell'arco di tempo compreso tra il 18 e il 24 dicembre.

Al trattamento ordinario di disoccupazione con requisiti normali si applica, per effetto dell'art. 3, D.L. n. 299/1994, il massimale di cui alla legge n. 427/1980, originariamente stabilito con riferimento al trattamento straordinario di integrazione salariale (v. INPS circc. n. 14/2008 e n. 54/2001).